domenica 31 marzo 2024

"Questo glorioso e trionfante giorno della resurrezione di Cristo". Predica di fra Girolamo Savonarola, Pasqua 1495

PREDICA XLIV SOPRA GIOBBE FATTA NEL DÌ DI PASQUA (19 APRILE 1495)

da GIROLAMO SAVONAROLA

Haec est dies quam fecit Dominus etc. (Ps. CXVII, 24).

La presente solennità, dilettissimi in Cristo Iesù, è di tanto gaudio e di tanta letizia, che a null’altra solennità e a null'altro giorno si può equiparare. Oggi è posta la prima pietra della città di Ierusalem celeste, e però pensa che quivi, in Cielo, è fatta grande preparazione a questa festa. 

Così bisogna che noi ci facciamo grandemente preparati, se vogliamo esser degni d’esser introdotti a questa solennità e a questa festa della quale ognuno debba pigliare grandissimo gaudio, perchè, tolta che fusse via la fede di questa solennità, resterebbono tutti gli uomini in grandissima confusione, nè conoscerebbono dove fusse il fine dell'umana vita, nè dove fusse alfine la quiete dell’uomo e la sua felicità, perchè in questo mondo non può essere, dove ogni dì noi vediamo per esperienzia e proviamo che non ci è alcun vero gaudio nè alcun vero contento, e sia in che cosa si voglia. Se tu poni il gaudio nelle ricchezze o negli onori e dignità o nelle voluttà e piaceri del senso o nelle scienzie e contenti dell'intelletto o in qualunque altra cosa tu vuoi di questo mondo, viene alfine la morte e ogni cosa toglie, e lievati tutti questi contenti e tutti questi piaceri, e è resoluto ogni cosa. 

Raffaello Sanzio, Resurrezione di Cristo,
1501-1502, Olio su tavola, 52 x 44 cm, San Paolo del Brasile,
Museu de Arte de São Paulo

E però, se non fusse la speranza, che ne ha data questo giorno, di resurgere insieme con Cristo nostro capo e nostro signore, e avere a possedere perpetuamente maggior gaudio che nessun altro che trovar si possa in questa presente vita, gli uomini, dico, tutti resterebbono in gran confusione. 

O quanto è orrendo e spaventoso questo nome di morte a tutti coloro che cercano il loro gaudio di qua e ponganlo nelle cose di questo mondo, che solo col pensare alla morte, etiam quando la gli è bene discosto e che loro sono in fiore, disturba ogni loro gaudio e ogni lor piacere e contento! Or pensa quanto più gli disturba quando veggano la morte esserli vicina per tòrre e tagliar via ogni loro gaudio e contento. 

E però questo giorno, a tutti quelli che sono uniti con Cristo in grazia sua, è di tanto gaudio e di tanta letizia quanto mai dir si possa, perchè questo glorioso e trionfante giorno della resurrezione di Cristo annunzia loro la vittoria della morte, e che oggi la morte è superata e vinta; e hanno, questi che così vivano in grazia di Cristo, doppio gaudio e doppia allegrezza, idest di godere in vita eterna e con l'anima e col corpo, quando sarà resuscitato al dì del Giudicio, e doppia letizia e consolazione: della vita spirituale e corporale. E così aranno in Paradiso la sapienzia naturale di tutte le cose che naturalmente può sapere l'uomo, e sì come il capo nostro, Cristo, è resuscitato, così etiam risusciteranno le sue membra. 

Dall'altra parte, perchè questo mondo è pieno di tribulazioni e di travagli, e bisogna patirli, Cristo, alli suoi discepoli, dopo molte e assai persecuzioni promise loro, e così a chi seguita le sue vestigie, una nuova vita dove saranno consolate le menti di tutti e’ suoi eletti. E però Cristo è resuscitato da nuova vita, non solo per sè, ma per giustificare le sue promesse e per dare speranza a' suoi cristiani d'andare in cielo, come lui volse che gli suoi lo vedessino andare e essere assunto in anima e in corpo. La qual cosa, se gli uomini considerassino, esulterebbono pieni di letizia e direbbono, cantando e giubilando: Haec est dies quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea. Quest'è il dì che ha fatto il Signore, esultiamo e rallegriamci di tanto beneficio quanto Dio in questo giorno ha fatto all'umana natura, e celebriamo oggi, in quanto si può, questa solennità, la quale vogliamo che tutta sia piena di letizia.

Haec est dies quam fecit Dominus etc. Se non fusse venuto questo giorno della resurrezione di Cristo, tutta la generazione umana sarebbe piena di ignoranzia, etiam se fusse Aristotile e Platone. Questo dì ha illustrato tutto il mondo più che non fa il sole quando è ben chiaro a mezzogiorno. Venghino qua tutti e’ filosofi che niegano la resurrezione: fatevi innanzi, chè vogliamo disputare con voi, e rimarrete tutti confusi. Dico che se non fusse la illuminazione c'ha portato a noi questo giorno, era tutto il mondo pieno d'ignoranzia. Godiamo e rallegriamoci noi cristiani ch’oggi abbiamo speranza, anzi certezza, che questo nostro corpo e questa carne ha, se noi vogliamo, a passare e’ cieli, e presto, e quietarsi in Paradiso. 

Orsù, fatevi in qua, filosofi! Innanzi che venisse Cristo, che certezza avevamo noi dell'anima dell’uomo, e dov'era il fine suo, e dove aveva andare? Quante opinioni varie erano tra voi, filosofi, di quest'anima? Galieno disse che l’anima nostra era complessione naturale dell’uomo. Questo non può esser vero, perchè spesso vediamo che l’anima nostra repugna alla complessione, e perchè nessuna cosa naturalmente può repugnare a se medesima. Adunque questa opinione è falsa. Altri dissono che l’anima era un'armonia d’elementi, commisti e concordanti insieme. E questa opinione è ancora falsa come quell’altra, perchè seguiterebbe, di questo, che ogni corpo commisto d’elementi fusse animato; il che non è vero. Alcuni altri hanno detto che quest'anima è uno corpo invisibile che vivifica questo corpo visibile. Questo non può esser vero, perchè un corpo, in quanto corpo solo, non vive. E ancora un corpo non può stare nè penetrare naturalmente dove è un altro corpo; adunque bisogna dire che l’anima sia spirito e non corpo. È così, acciocchè il corpo viva, bisogna dir che sia qualche spirito o qualche virtù che faccia vivere il corpo. Altri dicano che l’anima intellettiva non è differente dalla sensitiva. Adunque saremmo tutte bestie, non avendo noi se non anima sensitiva come loro. Altri dissono che nell'uomo è qualche cosa immortale separata dal corpo; e questi si sono più accostati al vero. Come fu Aristotile e molt'altri, che provano con ragioni molto efficaci che l'intelletto nostro è separato da ogni organo del corpo, perchè è impossibile che l'intelletto intendessi quelle cose che lui intende, se fusse coniunto a cosa materiale. 

Tiziano, Polittico Averoldi, 1520-1522,
Olio su tavola, 278 x 292 cm, Brescia,
Collegiata dei Santi Nazaro e Celso

Ma il punto sta se l’anima intellettiva è forma del corpo dell'uomo. Altri, come fu Platone, dissono che l'anima non era forma del corpo, ma ch'ella era uno motore di questo corpo, sì come è il motore alla nave. Ma questo non può essere, perchè l'uomo non sarebbe uomo, perchè sarebbe senz'anima; e poi il motore che lo movesse, e questo tale motore se fusse come è il motore della nave, sarebbe corporeo, e sarebbono in un uomo e in un luogo, a questo modo, due corpi: il che non è possibile. 

Aristotile disse quod anima de foris venit, cioè che questa nostra anima viene di fuori, cioè ch'ella non viene dalli agenti naturali, perchè l’intelletto nostro si vede che supera ogni cosa naturale; ma non disse Aristotile, nè sa, donde la si venga quest'anima. Il commentatore Averrois disse ch’egli era uno intelletto in tutti gli uomini. Questo è impossibile che sia vero, perchè se Dio è giusto come è in verità, noi vediamo molti uomini che fanno bene e molti che fanno male; e però, se fusse un intelletto e un'anima sola in tutti, come si potrebbe punire chi fa male e premiare chi fa bene? Dove sarebbe la giustizia di Dio? E dove sarebbe la sua provvidenzia delle cose del mondo? 

E però io v'ho detto e dico che innanzi che Cristo venissi, ogni cosa era in tenebre e pieno il mondo d'ignoranzia e di cecità e che gli uomini non conoscevono cosa alcuna dell'altra vita; ma venuto Cristo e la sua dottrina e questo santo giorno della resurrezione, ha illuminato il mondo; e Cristo è stato quello c'ha fatto perfetta la filosofia, la quale, insino che non venne Cristo, non aveva trovato la verità dell'anima dell'uomo e del fine suo nè del principio donde ella viene. E hacci demostrato che l'anima nell'uomo è una. Benchè sia sensitiva vegetativa e intellettiva, è sola una con queste tre parte. Ma in quanto intellettiva è separata d'ogni organo del corpo, benchè, quanto all’altre parti, sia colligata col corpo e colla materia. E che questa anima è forma del corpo, e è in mezzo di tutte le forme, e coniunge le cose eminenti e spirituali con l’infime e corporali. E quello ch'è supremo d’una forma tocca all’infimo dell'altra forma, chè così è ordinato da Dio secondo l'ordine dell'universo.

E così la fede ci ha fatta perfetta la filosofia, e non destrutta, come gl’ignoranti dicono; anzi, per la fede e per il lume che n'ha dato Cristo al mondo, conosciamo che l’anima è immortale e che ella non muore col corpo, anzi che ’l fine suo è nell'altra vita, dond'ella è venuta, e che di là sarà premiata del suo ben fare o punita se, nel mal fare, si ritrovasse morto il corpo. E così la fede ci ha dichiarato bene ogni cosa e mostratoci la verità, la quale conosciuta, sono resolute tutte le dubitazioni che prima erano. Tieni adunque saldo questo fondamento per quel che ora io ti dirò.

Con ciò sia, adunque, che l’anima nostra sia forma del corpo, e però sia con questo fortemente unita in grande amicizia, e sempre desidera conservarlo, come per esperienzia quotidiana vediamo, non potrà stare volentieri separata dal corpo; e se stessi, sta violentata.

Ma perchè nessuna cosa violenta può stare perpetua, però è di necessità che, una volta, al suo corpo si riunisca, perchè l’esser perfetto di quest'anima e di questo uomo è d'esser insieme unita l'anima col corpo. Praeterea, beatitudo est bonum perfectum animae. La beatitudine è la perfezione dell'anima; e questa beatitudine non l’ha perfettamente l’anima separata dal corpo, perchè la perfezione sua è d'essere unita al suo corpo; e, avendola Dio creata perchè la si conduca a beatitudine, sarebbe creata invano se l’anima avesse la sua beatitudine in terra e perfetta, laqual bisogna che sia nell'unione col corpo. E però si conclude ch'al tempo suo si riunirà, e, avendo fatto bene, sarà allora perfettamente e totalmente beata. 

Pinturicchio, Resurrezione di Cristo con Papa Alessandro VI inginocchiato,
1492-1494, Musei Vaticani, Appartamento Borgia

Praeterea, Dio governa e regge e giudica tutto l'universo e principalmente l’uomo, ch'è la più nobile creatura di questo mondo; e ha a dare premio conveniente a chi fa bene e punizione a chi fa male. Sed sic est che l’uomo fa o bene o male, quando con l’anima e quando col corpo e quando con tutti due; e però vuole la giustizia o che tutt’a due, facendo bene, siano premiati, o che tutt'a due, facendo male, siano puniti. E però si conclude che e’ corpi resurgeranno e si riuniranno l'anime co’ corpi, acciocchè siano insieme o premiati o puniti secondo e' meriti o demeriti loro. E etiam che questo ce lo dica la fede e gli Evangelii di Cristo, ce lo detta e demostra ancora la ragione naturale, la quale è conforme ancora al lume sopranaturale delle cose della fede. 

Se adunque l’anima debbe riunirsi al tempo suo col suo corpo, o ella s'unirà al corpo, un’altra volta mortale, ovvero ad immortale. Se tu di’ al mortale, adunque dopo un’altra morte si arebbe a riunire per le ragioni dette; e così, di vita in vita e di morte in morte, sarebbe dare uno processo in infinito: il che non è conveniente. Adunque resurgendo una volta al tempo suo, resurgerà col corpo immortale; e se sarà immortale, ergo sarà a’ buoni ancora impassibile, perchè se fusse passibile, sarebbe ancora corruttibile, e però non sarebbe immortale. Adunque concludi che resurgeranno e’ buoni col corpo immortale e impassibile e perpetuo, a gaudio e beatitudine perpetua e perfetta. 

Questi corpi così resuscitati non aranno bisogno di cibo, perchè quello è fatto per sostentazione del corpo insino ch'egli è mortale, perchè senza cibo in breve spazio mancherebbe, ma resuscitando immortale e perpetuo non gli bisognerà più cibo. Così ancora non sarà più in uso il matrimonio, perchè quello è fatto per conservare la spezie, e però, resuscitando e’ corpi immortali, sarà la spezie umana in loro perpetuamente conservata.  

Praeterea, secondo la disposizione della forma sarà la disposizione della materia, e però la qualità del corpo umano sarà simile all'anima, ch'è la sua forma; e perchè l’anima sarà lucida e risplendente, così saranno ancora lucidi e risplendenti e’ corpi de’ beati, sì come è scritto: Fulgebunt iusti sicut sol. Cioè saranno risplendenti e’ giusti come il sole, e l’anima gloriosa farà il corpo glorioso; e per il lume sopranaturale che aranno della grazia e gloria, vedranno Dio, che col solo lume naturale non si può vedere. 

Sarà ancora, l’anima de’ beati, piena di virtù, ma saranno differenti l’uno dall'altro secondo e' più o manco meriti, sì come dice la Scrittura: quod stella differt a stella. L'anima, etiam beata, potrà condurre il corpo in ogni loco, dovunque la vorrà, e saranno glorificati tutti e' sensi del corpo, perchè arà ogni perfezione di beatitudine. Il gusto e gli altri sensi sempre aranno in actu la sua delettazione e perfezione. Seminatum est corpus corruptibile et resurget incorruptibile et gloriosum.  

Tutte queste cose ci sono promesse oggi in questo giorno della resurrezione di Cristo, e però dobbiamo rallegrarci e cantare: Haec dies quam fecit Dominus; exultemus et laetemur in ea. Cioè: Questo è quel dì c'ha fatto il nostro Signore; rallegriamoci e facciamo festa di tanti beneficii quanti questo dì ha portato alla umana natura. E come dice Augustino: Ubi caro Christi regnabit, regnabo et ego. Cioè che tutti regnaremo con Cristo. Ma queste cose non sono credute come si doverrebbe; e pur son vere e toccansi, si può dire, con mano. E tutte sono consonanti alla ragione e alla fede nostra, la quale sapete ch'io v'ho fatta toccare con mano, etiam con ragioni naturali. Orsù, questo ti basti quanto alla resurrezione. Posate un poco e procediamo più avanti di quello che ha fatto Cristo, etiam a quelli santi padri del Limbo, quivi firmati per il peccato originale, aspettando il Salvatore.

Il peccato originale, secondo la fede nostra, ha fatto un circulo dalla persona alla natura e dalla natura nella persona. Sapete ch’el nostro primo padre Adam peccò, e in lui fu contratto il peccato originale, e da lui discese in tutta la natura umana, perchè tutta era ne’ lombi suoi. La iustizia originale fu uno dono dato da Dio ad Adam, primo uomo, non absolute, ma con patto e condizione se lui non peccava e non disubbidiva a Dio del mangiare il pomo vietato, perchè gli disse, poi che l’ebbe trasdotto in Paradiso Terrestre e innanzi che creasse la donna: — In quacumque enim die comederis ex eo, morte morieris. — Cioè Dio disse ad Adam: — Di qualunche frutto che sono qui in questo Paradiso potrai mangiare, eccetto che di quelli dell’arbore della scienzia del bene e del male, perchè se di quello tu mangerai, morrai. — Per la qual cosa, mangiato che n’ebbe, subito perdè il dono della iustizia originale, ch'era dono non di cosa naturale, ma sopranaturale, e incorse in molti mali, come è scritto nel libro del Genesis. 

Caravaggio, Incredulità di san Tommaso,
1601-1602, olio su tela, 118x156,5 cm.

E così questo peccato originale, della persona d’Adam s'indusse in tutta la natura umana, che è poi discesa dal primo parente; e perchè tutta questa massa e tutti gli uomini erano maculati di questo peccato originale, non era alcuno uomo immaculato che potesse sodisfare a tal peccato per tutta la natura umana. Sì etiam, perchè il peccato contra Dio infinito era infinito, però l’uomo, di natura sua finito, non poteva sodisfare nè per sè nè per altri. 

E però venne Cristo, Dio e uomo, e consequentemente infinito, e di virtù e di natura infinita, per sodisfare al peccato infinito e per tutta la natura umana. E così questa sodisfazione per il peccato, ch'era in tutta la natura, si transferì nella persona di Cristo, che sodisfece per tutti gli uomini e per tutte le persone; e così per consequens fu fatto il circulo che t'ho detto, della persona nella natura umana e di quella nella persona di Cristo, potente a sodisfare per tutti. E però lui, in sulla croce, vedendo che al punto della sua morte era sodisfatto questo debito della natura umana, disse quella parola: Consummatum est! Cioè: Qui è sodisfatto e consumato tutto il debito che aveva contratto la natura umana per il peccato.

E per questo, essendo pagato questo debito per il quale erano incarcerati ancora quelli santi padri nel Limbo, e’ quali, etiam che avessino fatte molte buone opere in vita loro e purgatisi in questo mondo con li sacrifici quanto poterno, tamen non erano sufficenti a sodisfare tal debito, fu conveniente ch’allora fussino liberati per la morte di Cristo. E così come, resuscitando Cristo in questo giorno, è causa della nostra resurrezione, così fu conveniente che, pagato il debito per la umana natura, fussino liberati dalla pena quelli santi padri del Limbo; e però l’anima di Cristo, in quelli tre giorni avanti la sua resurrezione, discese al Limbo e spogliollo di quelle sante anime. Pensa tu quanta letizia avessino quelli santi padri quando viddono quell’anima gloriosa intrare nel Limbo, la quale avevano aspettata tanto tempo! Entrò allora, possiamo dire, il Paradiso nell’Inferno, tanto lume rifulse in quel loco dove erano quelli santi, e’ quali dovettono dire: Advenisti tandem, Salvator noster; benedicta sit sancta Trinitas, benedictus qui venit in nomine Domini. Era accompagnata, quest'anima, da moltitudine d'angeli, e' quali discesono con lei al Limbo, ma non all'Inferno de’ dannati nè al Purgatorio, secondo e’ dottori, ma dicono bene che l’anima di Cristo fortemente riprese quelli dannati, benchè laggiù non descendesse. Stette quelli tre dì nel Limbo con quelli santi a consolarli, e poi tornò al sepolcro. 

Alcuni qui vacillano, e dicono che non stette tre dì interi insino alla resurrezione. Rispondi che si piglia la parte per il tutto, come è consueto molte volte nelle Scritture: stette dua notte intere e parte de’ dua giorni e uno giorno intero. Quelle due notte furno in figura, chè 'l Salvatore volse estinguere due morte, l’una corporale l’altra spirituale; e la luce del giorno stette in mezzo di due notte, perchè la divinità mai si partì nè dall'anima nè dal corpo di Cristo. Tornata l’anima al sepolcro, quivi era la morte, che si credeva, avendo morto il corpo, avere avuto la la vittoria; e tamen lei fu vinta, e qui combattete la vita e la morte: Mors et vita duello conflixere mirando

E la morte fu morta dalla vita, perchè quell’anima riprese il corpo e fu in un subito vivificato. La morte teneva quel corpo, pensando avere preso una buona esca, e nondimanco lei e quel corpo fu esca della vita, e la divinità fu il lamo che prese il corpo e fecelo vivo e glorioso, e uscì del sepolcro sanza levare la lapide; e così dua corpi stettono insieme in un medesimo loco. O filosofi, che direte voi qua? Questo effetto è pure contra tutta la vostra filosofia: ecco due corpi in uno medesimo loco. Il sepolcro era serrato, e tamen il corpo di Cristo era uscito fuora, e la lapide non era fevata dall’uscio del monumento, la quale levò poi lo angelo, perchè le Marie vedessino dentro del sepolcro che Cristo non vi era. E gli angeli ne stettono ammirati di questo, che ’l corpo uscissi fuora sanza aprirsi il sepolcro, perchè questo atto miracoloso nun era più stato. 

E così la morte ne venne incatenata e presa innanzi al trionfo di Cristo. Onde, dice la Scrittura, e gli angeli dicevano: - Quis est iste qui venit de Edom tinctis vestibus? - “Edom” vuol dire “sanguineus”, Cioè: - Chi è questo, tinto lui e le sue veste di sangue? - Cioè vuol dire di Cristo, che era stato in croce e aveva sparso il sangue suo per ogni loco. E il Signore rispondeva: - Ego torcular calcavi solus. lo sono stato solo nel torcolo e strettoio della croce, dove s'è stretto e sparso fuora tutto il sangue. - E gli angeli che vedevano la morte morta e vinta, dicevano: - Chi è questa? - E insieme con li beati cantavano: - O mors, ubi est stimulus tuus? Ubi est victorie tua? O morte, dov'è ora lo stimolo tuo? dov'è la tua vittoria? - 

E essendo tutti in questo trionfo, l’angelo Gabriele andò a trovare Maria Vergine e madre di lesu, dicendo e cantando: Regina caeli, laetare (alleluia) quia quem meruisti portare (alleluia) resurrexit sicut dixit (alleluia). 

 

Filippino Lippi, Apparizione di Cristo alla Madonna, 1493

E ecco il Salvatore, resuscitato, entrò a Maria, nel loco dov'ella era con tutta quella compagnia, e quivi dolcemente amplessati l'uno l'altra, e le baciava le piaghe di quelle sante mani e de piedi del Salvator nostro, suo figliuolo, fatto glorioso. Pensa tu che letizia e che gaudio fu questo! Gl'increduli e li persecutori della fede non credano queste cose e dicono che le sono favole; ma tutte sono vere e non ne dubitare punto, chè oltre alla fede che così ce le mostra, io te ne saperei ancora assegnare molte ragioni. Ma per al presente questo ch'io ti dico ti doverrà bastare sopra questo salmo che ora io ti dirò. 

Dominus regnavit, exultet terra etc. Il profeta, in questo salmo, parla di Cristo, e dice che lui ha regnato; e pone il passato per il futuro, perchè il lume profetico fa vedere le cose tanto chiare che, etiam che allora non siano ancora state, le vede come presente e etiam come già passate. Or Cristo, dopo questo salmo fatto centinaia d'anni, è poi venuto, e dice qui David che egli ha regnato e che egli ha avuto regno. E però, se noi vediamo questo, che Cristo ha regnato în tutto il mondo, come dice qui David in questo salmo e com'io ti posso mostrare e mostrerò, adunque per questo noi diciamo che la fede di Cristo e le cose che lui ha fatte in questo mondo sono vere. 

Ma tu, savio, che ti tieni così sapiente e intelligente d'ogni cosa, io vorrei sapere da te dove Cristo ha avuto questo reame, e in quale città tu mi mostri che Cristo vi sia stato re e che lui vi abbi regnato e in che modo. E se tu me lo mostri e sappimelo insegnare, io voglio perdere questa cappa: io dico però s'ella fusse mia. Orsù, io son contento mostrartelo io che Cristo ha regnato per tutto il mondo, come dice qui David, ma non già come tu intendi tu il regnare. Dico che Cristo ha avuto un regno spirituale, e ha condotto gli uomini alla sua ubbidienzia più che non fanno e hanno fatto e’ re di questo mondo sopra delli loro sudditi. E prima dico quanto all’intelletto umano: Lui ha regnato e soggiogato l'intelletto degli uomini a cose a che re alcuno nè forza umana non arebbe mai tirato e' suoi sudditi.

Cristo ha detto agli uomini e servi suoi: — Io voglio che voi crediate e teniate per fermo, chiaro, che Dio è trino e uno, e così che uno sia tre e tre siano uno; e voglio che voi crediate ch'io sia nato d’una vergine sanza via umana, e che lei sia così vergine dopo il parto come innanzi al conceputo parto; e voglio che voi crediate che nel sacramento dell’altare vi sia il corpo mio in quel modo e grandezza ch'io fui in sulla croce. — E così molt'altre cose della nostra fede ha voluto che gli uomini credino, alle quali il senso e la ragione naturale in tutto repugna. E ha ottenuto, questo ch'io ti ho detto, Cristo, ne’ suoi credenti e ne’ suoi sudditi, chè ’n questo tutti l'hanno ubbidito come al loro re e signore.  

Item quanto all’affetto e alla volontà ha detto alli suoi servi: — Io voglio che voi amiate me sopra d'ogni cosa e come vostro Signore mi teniate, etiam che voi non mi vediate; voglio che voi amiate cose invisibili e etiam cose che voi, naturalmente, non potete intendere; e voglio che voi soggioghiate e sottomettiate il senso e la ragione del lume naturale alle cose della mia legge; e voglio che voi amiate li nimici vostri e facciate lor bene a chi vi facessi male. — E ha ottenuto questo, Cristo, in tutti quelli che hanno seguito le sue vestigie, e ha sparso questa sua volontà per tutto il mondo, e è stata seguita da migliaia e migliaia e milioni di varii e di diversi uomini in universo mundo. E benchè ancora che siano stati di diverse e varie nazioni, nondimeno per questo sono stati tutti un cuore e un'anima e amatisi come se fussino nati d’una madre, e in tanto amore e affezione hanno amato questo loro re e signore, che hanno voluto prima perdere la vita e provare tutti e' tormenti, che dir pure una parola che fusse contraria a Cristo e alla sua legge. E tanto più è mirabile questo effetto o volontà de’ servi di Cristo, che amano e aspettano vedere un regno, ch'è a loro in questa vita invisibile, e per questo hanno disprezzato tutti e’ regni e ricchezze di questo mondo, come quelli che sentano in sè maggior ricchezza e dignità che non sono tutte le dignità e tesori di questo mondo, e sempre sono stati in povertà, e con quella e con la buona e virtuosa vita e sanza armi e sanza forza umana hanno superato e vinto e’ principi e signori insino al regno dei Romani, ch'era sì grande monarchia che teneva tutto il mondo. 

Ecco dunque, come noi vediamo, che Cristo ha regnato, come dice qui il salmo, e per profezia di David e come ancora dice Esaia, civitatem sublimem humiliavit. Ha umiliato la città sublime. E quale è stata più sublimata che fu Roma? E tamen è spento il suo regno e èvvi entrato il regno di Cristo. Et conculcavit eam pes pauperis. E èssi umiliato questo imperio sotto il piede del Pescatore. Ha dunque regnato e regna Cristo, come hanno detto le profezie; e però gli crediamo, e non sono favole, queste, come dicono gl’increduli. Dominus ergo regnavit: e questo giorno della sua resurrezione ci ha confermato il tutto. Et ideo haec est dies quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea. Facciamo festa e letizia in questo giorno, adunque, di tanta solennità e di tanto gaudio.

La Resurrezione, di Piero della Francesca

 

Seguita il salmo e dice: Exultet terra. Cioè: Gli uomini terreni e peccatori hanno ancora da esultare, perchè Cristo è morto e resuscitato ancora per loro, se si vogliano convertire. Laetentur insulae multae. E si rallegrino ancora molte insule, nelle quali gli apostoli e discepoli di Cristo andorno e furno convertite alla fede, come fu l’insula di Patmos e di Corinto e altre assai. Nubes et caligo in circuitu eius. Le nuvole e la caligine, la ignoranzia e la idolatria, quando Cristo fu resuscitato, erano intorno in circuitu per tutto. Le nube erano la dottrina degli astrologi, de’ poeti, de’ filosofi e altri sapienti del mondo, che con loro dottrine vane e piene di errori avevono onnubilato e intenebrato tutto il mondo, e ogni cosa era piena d’ignoranzia. L’idolatria era per tutto, e in ogni luogo si sacrificava agli idoli, e li diavoli si facevano adorare, e la caligine era in tutti e' popoli. Venne Cristo, e mediante e’ suoi apostoli e suoi discepoli, poi che fu resuscitato, andorno per tutto spegnendo queste nuvole e predicando la dottrina di Cristo, in mezzo delle tenebre feciono vedere la luce, cioè Cristo, e discoprire il cielo e le cose divine; e predicando questo Crocefisso feciono cose maravigliose, le quali per nessun modo arebbono potuto fare, nisi digitus Dei fuisset cum eis, cioè se la mano di Dio non fusse stata con esso loro.  

Iustitia et iudicium correctio sedis eius. Predicavano la giustizia, la quale è Cristo e la sua fede, che giustifica l'anima di chi perfettamente la crede, Predicavano il giudicio, ch'è l'Inferno, dove chi non crede a Cristo iam iudicatus est. Dicevano: — Credete in Cristo crocifisso, et salvi eritis —, come dice l’apostolo Paulo; e questo loro predicare era correctio sedis eius. Era correzione della sedia, cioè della sua Chiesa, la quale è la sedia di Cristo, dove tutti li suoi fedeli siedono e si riposano, Ignis ante ipsum praecedet, Il fuoco dello Spirito Santo era innanzi a loro che gli istruiva e ammaestrava.  

Et infiammabit in circuitu inimicos eius. E infiammava per tutto e in ogni luogo e’ nimici suoi. Cioè, quelli che prima gli erano inimici adorando gli idoli, si convertivano alla santa e vera fede, infiammati dello amore di Cristo e della verità, sì come dice quell'altro salmo, Dominare in medio inimicorum tuorum, che Cristo dominò e signo reggiò in mezzo de’ suoi inimici. Convertivansi dimolti popoli alle predicazioni degli apostoli, non per filosofia, non con retorica, non con logica, ma con l'amore e semplicità e con l'esempio della buona vita. Questa è quella che più converte le persone che non fanno e’ miracoli, benchè vi furono ancora e’ miracoli. Illuxerunt fulgura eius orbi terrae. Illustrorno e illuminorno molti ancora e’ miracoli, che erano come fulguri e splendori a tutti quelli che erano disposti nell'inte riore, perchè il miracolo non converte se non chi ha previa disposizione. La buona vita è quella che converte più che non fanno e’ miracoli. 

Vidit, et commota est terra. Vedevano e’ popoli la buona vita delli apostoli, oltra li miracoli, e commovevansi gli uomini ter seni e peccatori. Montes sicut cera fluxerunt a facie Domini. Idest e' monti si liquefacevano come cera; cioè e' principi e molti uomini gran maestri, come infiammati dell'amore di Cristo, ne venivano alla fede. Non solamente le donne e le persone basse, ma etiam e’ re e signori ne venivano liquefatti come cera. Et a facie Domini omnis terra. E così d'ogn’altra sorte di persone del mondo si convertivano dalla faccia del Signore, cioè dall'amore di Cristo crocifisso. Annuntiaverunt caeli iustitiam eius. Annnunziavano e' cieli, cioè li uomini elevati e celesti, la giustizia di Cristo; e questi erano e’ suoi apostoli e discepoli che predicavano e annunziavano per tutto lo Evangelio e la verità venuta nuovamente al mondo. Questi erano pescatori e semplici uomini, che convertirono il mondo con la loro semplicità; e però dice santo Ambrosio: Piscatoribus credimus et non philosophis. Noi vogliamo credere alli Pescatori e non a’ filosofi.  

Confundantur omnes qui adorant sculptilia et qui gloriantur in simulacris suis. Seguita il salmo nostro e dice contra quelli pagani che adoravano gli idoli, e dice: Siano confusi tutti quelli che adorano questi idoli e che in quelli si gloriano, ma venghino ad adorare Cristo il quale è vero Dio e uomo. Adorate eum, omnes angeli eius. Tutti gli angeli adorino questo Cristo, il quale è loro Signore e loro Dio. Quelli idoli non erano dii. Io te lo pruovo. Vedi che tutti furono vinti da questo Crocifisso: se loro fussino stati dii, non si sarebbono lasciati vincere nè buttare per terra da un uomo crocifisso e da pescatori e uomini semplici e vili. E se tu di’ pure che fussino dii, rispondi a me: o che non seppono o che non potettono difendersi da questo Crocifisso e da questi poverelli e semplicelli. Se non seppono, adunque erano ignoranti, adunque non erano dii. Se non poterno, adunque non erano dii, perchè in Dio è somma bontà e somma potenzia e somma sapienzia. Questo Cristo adunque, che gli ha superati, è il vero Dio: adorinlo adunque gli angeli suoi.  

Audivit et leatata est Sion Cioè: L'ha udito Sion e èssene rallegrata. « Sion » è interpretata « specula », cioè un luogo alto e eminente dal quale si veggano e speculansi le cose che sono a basso. Questo vuol dire la Chiesa trionfante, cioè il Paradiso, dove sono gli angeli e li beati, e’ quali veggano e speculano quaggiù la Chiesa militante. Quegli angeli e spiriti beati hanno adunque veduto che Cristo è loro Signore, et etiam, in quanto uomo, è lor capo, perchè è congiunto con la divintà; e sonsene ralegrati e fattone festa di questa resurrezione, e vediamolo che dopo la resurrezione l'angelo non ha voluto più essere adorato, ma disse: Conservi sumus, com'è scritto in san Giovanni nell’Apocalissi. 

Or seguita il salmo: Et exultaverunt filiae Iudae. Hanno ancor esultato le figliuole di Iuda. Voi sapete che « Iuda» vuol dire « confessio ». Queste sono le verginelle c'hanno confessata la fede di Cristo in tanto fervore e in tanto amore, c'hanno aspettato tutti e’ martirii e la morte per amor di Cristo. Et propter iudicia tua, Domine. E hanno considerato che Cristo ci ha a giudicare, e però si sono aderite alla sua fede. Quoniam tu Dominus altissimus, super omnem terram nimis exaltatus es super omnes deos. Quest'è Signore altissimo, e è stato esaltato sopra tutti gli altri dei che già prima erano adorati dagli uomini, e tutti da questo sono stati superati e vinti. Quest'è, dico, il capo nostro, quest'è il Signore nostro, com'io v’ho detto e provato tante volte. 

Che state voi dunque a fare, cristiani? Se quest’è il nostro capo, datevi tutti a lui, perchè egli è il vero Dio e le sue leggi sono vere. Lui ci governa: lasciatevi governare da Cristo, e non fate come quelli che dicono che lo Stato non si governa co’ paternostri. Lasciateli dire, chè non dicono il vero. Questi che così dicono, o e’ sono ignoranti o e’ sono cattivi, e vorrebbono tiranneggiare. Qui diligitis Dominum odite malum. Voi che amate il Signore fate bene e abbiate in odio il male, e punite e’ cattivi e scellerati peccatori. Come io v'ho detto più volte, state uniti e state in pace nel regno di Cristo. Lui è quel che regna per tutto, come v'ho demostrato nel principio di questo salmo.  

Dominus regnavit, chè così l'ha profetato David e altri profeti tanto tempo innanzi; e il regno di Dio è misura di tutti gli altri regni. Io non v'ho predicato più tempo fa che ’l regno di Cristo è l’unione? Se voi v’assimiglierete al regno di Cristo, buon per voi! Custodit Dominus animas sanctorum suorum; de manu peccatoris liberabit eos. Il Signore vi custodirà e libereravvi dalle mani del peccatore e da ogni tribulazione. Questo non lo credono gli uomini perversi e gli increduli, e io v'ho detto e dico che non è al mondo il migliore regnare che quello ch’è secondo la legge di Cristo, nè è la migliore politia che la cristiana: chi non la crede non ha luce, e non lo vede per li suoi peccati, e non può venire a loro la luce.  

Lux orta est iusto et rectis corde laetitia, come dice qui il salmo nostro. Alli giusti e alli retti di cuore Dio manda la sua luce, e non alli cattivi. Io vi ho promesso bene, e bene arete se voi farete bene, e Dio vi libererà. Laetamini iusti in Domino et confitemini memoriae sanficationis eius. Rallegratevi, voi buoni, rallegratevi nel Signore, il quale alli giusti farà venire la luce. Qui est benedictus et vivit et regnat in saecula saecuIorum. Amen.

venerdì 29 marzo 2024

Sentimenti di un cuore cristiano alla vista della croce

Dal "Dizionario apostolico" del padre Giacinto di Montargon: "Passione di Nostro Signor Gesù  Cristo"

SENTIMENTI
onde un cuore cristiano deve essere compreso alla vista della croce

Gesù è morto, l'autore della vita è morto, il Signore della natura è morto, l'Uomo Dio cotanto famoso per li suoi miracoli, il quale così spesso tornò la salute ai malati, la vita stessa ai defunti. Ah! non mi dà maraviglia vedere la natura tutta quanta in tristezza, le creature tutte quante in dolore, il sole ecclissato, gli elementi sossopra sconvolti, non mi dà meraviglia, Gesù è morto. 

Ben mi sorprende e fammi stupire che l'uomo solo, il quale ha il cuore così tenero e sensitivo, l'uome pel quale Gesù Cristo s'è immolato e incontra crudelissima fine, l'uomo solo duri insensibile ai tormenti di colui che riconosce padrone, e adora qual Dio. Gli stessi Giudei che l'hanno crocifisso, ritornano picchiandosi il petto; le pietre si spezzano: anime cristiane, sareste più dure dei Giudei e delle pietre? 

Ah! Cristiani, ascendiamo il santo monte, consideriamo il Dio che dà il proprio sangue e la vita per la salvezza di tutti gli uomini. Egli è il nostro Salvatore, deve destare la nostra confidenza; è il nostro Redentore, deve eccitare la nostra gratitudine; le nostre colpe l'han confitto alla croce, questo deve formare il nostro dolore. La croce cancella i nostri peccati; che altro bisogna perchè ci leghiamo a lui con vincoli di tenerissimo amore? 

Son questi, o Cristiani, i sentimenti the io mi sforzai di generare nel cuor vostro per tutto il corso del presente trattato; ma, costretto a ristringermi, ne scelgo in ispezieltà quattro, coi quali fo fine. Dico dunque che la vista del crocifisso dee generare nel cuor nostro, 1. un sentimento di confidenza, 2. un sentimento di dolore per li nostri peccati, 3. un sentimento di gratitudine; 4. in fine, un sentimento di amore.


PRIMO SENTIMENTO
Sentimento di confidenza la vista di Gesù  crocifisso

Ve lo dissi, e di nuovo ve lo ripeto, nulla dover ispirar a voi tanta confidenza quanto la vista del vostro Salvator crocifisso. Io non parlo a’ presuntuosi peccatori nei quali la confidenza è delitto e principio di colpa; parlo ai peccatori timidi i quali troppo si conturbano alla memoria del passato e al timor dell’avvenire. 

Ah! Cristiani, esclama santo Agostino, qual maggior consolazione che ei medesimo c’inviti a fin che l’offriamo in riscatto della nostra salute? Tolle me et redde pro te. (D. Aug.) Come se dicesse: Io so che mal potendo voi di per voi soddisfare alla giustizia del Padre mio, ogni cosa avete a temere dalla Divinità oltraggiata; però offritegli il mio sangue, presentategli la mia croce, sperate tutto da un Dio cui porgete per vittima un Dio. Padre eterno, coperto del sangue del Figliuol vostro, potrete voi condannarmi? In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. (Ps. 30, 4; et 70, 4.)

O Gesù crocifisso, Gesù spirante per amor mio sovra una croce, per quanto io abbia materia di temere, no, io non perirò; per quanto indegno sia della gloria, non ne sarò privato: In te, Domine, etc. (Id. ibid.) 

Corranmi in foga i miei peccati allo spirito, tenti il Demonio di turbarmi col mostrarmene la gravezza ed il numero; se io, per mia sventura, perdei la vostra grazia, non perda almeno giammai la confidenza che il sangue vostro m'ispira: In te, Domine, speravi, etc. (Idem. Ibid.) 

Ma potrò io sfuggir dalla colpa? Così fatto sentimento oh! quanto insulterebbe Gesù! Dicite pusillanimis: confortamini et nolite timere: ecce Deus vester. (Is. 35, 4.) Anima troppo timorosa, rassicurati gittando lo sguardo verso Gesù Cristo: Confidite, ego vici mundum (Joann.46, 33), ti dice il Salvatore dall'alto della croce, fa cuore, io vinsi il mondo. 

No, Signore, io più non temo; sostenuto dalla divina grazia, bagnato del vostro prezioso sangue, sfido tutti i nemici che mi circondano: Si consistat adversum me castra, non timebit cor meum. (Ps. 26,3.) L'inferno, il mondo, le passioni mi dichiarino apertamente la guerra: Si exurgat adversus me praelium (14. ibid.), afforzato dalla vista del mio Dio crocifisso, all'ombra della sua croce, escirò vittorioso dalla pugna: In hoc ego sperabo. (Id. ibid.) Invano cercherà la colpa d'insinuarsi nel mio cuore, perchè la croce del mio adorabile Salvatore, a cui tutto m'affido, sarà la mia forza e il mio coraggio: In hoc ego sperabo. (Idem, ibid.)

SECONDO SENTIMENTO
Sentimento di dolore e contrizione alla vista di Gesù  Crocifisso

Io intendo come la passione possa in certi momenti accecar l'uomo a fine ch’egli ponga amore al peccato, ma non so recarmi nella mente come l'uomo possa contemplare Gesù crocifisso senza piangere le proprie colpe. Io dunque sono colui, Dio mio! che vi appese a questo infame tronco; io colui che v'insultò per bocca de’ Giudei! lo vi straziai colle loro mani, io vi ho crocifisso! Io insultare, oltraggiare, crocifiggere un Dio, perchè? Chi 'l crederebbe? pel diletto di un istante, per una caduca soddisfazione, ecc. ingrato servidore tradii il miglior dei padroni, ribelle suddito oltraggiai il più potente dei re, snaturato figliuolo conculcai il più affettuoso dei padri: che vi dirò ancora, mio Dio? 

La vostra croce mi diserta, mi confonde, m'inspira contro me un generoso dispetto; sento quello che non posso esprimere, e, raffigurando le mie varie colpe nelle varie piaghe del vostro corpo, il dolore non mi  permette di dire altro che ho peccato: Tibi soli peccavi. Tibi, etc. (Ps. 50, 6.) 

Peccai contro un Dio tanto buono, contro un padre tanto tenero, contro un benefattore tanto liberale! Deh! qual conforto avrei nel dolore se il mio peccato fosse riuscito funesto a me solo! ma quando veggo il mio Dio sopra una croce, e ciò perchè io l'offesi, perché, ec., io non mi so più che dire o che pensare; maravigliato, attonito, ammiro e piango ad un tempo; la vostra bontà mi sbalordisce, la mia iniquità mi costerna. Non ascoltate, adorabile Salvatore, altro che il suono delle mie lagrime, e i sospiri del mio cuore vinto da sincere dolore. 

Permettete, divino Gesù, che io qui vi indirizzi, per tutti coloro che mi leggeranno o udiranno, le parole da voi profferite a pro dei vostri carnefici: Pater, dimitte illis. Pater, etc. (Luc. 23, 4) Padre pieno di bontà, Padre pien di tenerezza, Padre amabile, di cui è proprio il perdonare, la cui misericordia è infinita, perdonate al vostro popolo le sue iniquità: Pater dimitte, (Idem, ibid.) Perdonate i loro falli che piangono e detestano, dimitte illis. Vi risovvenga che per essoloro soltanto spargeste il vostro sangue e vi sottoponeste a morire. Tanto soffrire, tanti supplizii, e specialmente sì caldo amore, sarebbe dunque per essi inutile? Dimitte, non enim sciunt quid faciunt. (Id. Ibid.) 

No, que' peccatori non vi conoscono, quel garzoncello non sa ciò che si faccia, quella mondana donna non vi ravvisa; qualora vi conoscessero, senza dubbio vi amerebbero; il mondo li trascina, il bollore dell'età li divora, la forza dell’esempio, la violenza dell’abitudine, ec., tutto cospira ai loro danni, tutto gli invola alla bontà del loro Padre, essi non lo conoscono: Pater dimitte, ec. (Id. Ibid.)

TERZO SENTIMENTO
Sentimento di gratitudine alla vista di Gesù crocifisso

Uomini che vi vantate di generosità, voi i quali non potete tollerare un cuore malvagio, voi cui la taccia d’ingrati offenderebbe più d’ogni sopruso, che cosa diventano questi sentimenti alla vista di Gesù crocifisso? Perchè siete così diversi da voi stessi! Sembra che siate altri uomini. Parvi infame la ingratitudine quando riguarda al mondo, gloria quando riguarda a un Dio, e un Dio crocifisso per amore di voi? Ma io non mi farò, Cristiani, a insinuarvi la riconoscenza con ragioni tolte dai vostri interni sentimenti. 

Contemplate Gesù crocifisso, miratelo, uditelo. Qual cosa di ciò che doveva fare non fece: Quid est quod debui ultra facere et non feci? (Is. 5, 4.) Tutto ciò che stato sin qui ingratissimo contro di me, se tu levi gli occhi verso la mia croce, ti sparirà dinanzi la tua ingratudine. 

Ancora una volta. Qual cosa di ciò che doveva fare non feci? Quid est quod debui ultra facere et non feci? (Ibid.) Udite, voi ne dovete essere i giudici. Trista vittima venduta all'inferno, io ti riscattai; ma a qual prezzo? Discesi dal trono della mia gloria, mi vestii di tutte le debolezze, ec. Poteva soffrire di più? Poteva mostrare più amore al mio popolo, cioè a voi che siete veramente il mio popolo, e foste da me conquistati col mio sangue? Popule meus, che cosa dunque io ti feci? Quod feci tibi, In che cosa ti offesi? Aut quid molestu fui? Rispondimi, responde mihi. (Mich, 6, 3.) 

Il mio fallo è dunque di averti amato soverchio? Di averti francato da una dura cattività? Quia eduxi te de terra Aegypti? (Idem, 4.) Dimmi, potevi aspettarti d'avanzo da un Dio? E un Dio poteva aspettarsi di meno da te? Ah, mio adorabile Salvatore, perchè opprimermi con rimproveri giustissimi, è vero, ma troppo sensibili ad un cuor che vi ama? Pure che posso io far mai per un Dio crocifisso per me? Divino Gesù, se minori fossero stati i vostri beneficii, porterei speranza di poter riconoscere il vostro amore. Che non posso io rendere Sangue per sangue, vita per vita? Debole gratitudine, tuttavia. Che è la vita di un uomo a petto a quella di un Dio?

QUARTO SENTIMENTO
Sentimento d'amore alla vista di Gesù  crocifisso

Se durate fatica ad amare il nostro Dio: Si amore pigebat, durereste anche a rendergli amor per amore? redamare ne pigebat? (D. Bona. Serm. de pass.) E che potete far meno, che dar meno ad un Dio il quale si dà tutto a voi? Questa è la conchiusione che ne trae il prediletto discepolo. Amiamo un Dio che fu primo ad amarci: Nos  ergo diligamus Deum, quoniam Deus prior dilexit nos. (1 Joann. 4.) Non amiamolo, continua lo stesso discepolo, con le parole o con la lingua, non lingua et sermone (Idem, 3, 48), ma in fatto e in realtà, sed opere et veritate (Idem, ibid.) 

Consultate la croce, essa v'insegnerà di che amore dobbiate amare un Dio che tanto fece per voi, che fu primo all’amarvi, Prior, etc 1. di un amor generoso come il suo; molte egli sofferse per voi, e voi che soffrite per lui? 2. di un amor efficace che v'inciti a rompere ogni ostacolo il quale vi separa da lui; 3. di un amore dilicato; ad onta della vostra ingratitudine, il suo cuore ferito, è ancora aperto per voi, e sente più tosto la propria tenerezza che la vostra ostinazione. Or dov'è la tenerezza di voi? La provate così forte pegli uomini, e non la proverete per Dio? 4. di un amore costante; questo costante amore lo fece nascere in una stalla e spirar su una croce; il vostro oh! come di leggieri svanisce! Voi lo amate, e tuttavia l'offendete a ogni istante. 

Ah! qual vergogna per me, posso dirvi col più illustre dei penitenti, amabile mio Salvatore, qual vergogna per me, aver cominciato sì tardi ad amarvi! Sero te amavi. (D. Aug. Lib. Conf.) 

Oimè! a cui ero io liberale della mia tenerezza? a uomini che non ne facevano verun conto, a uomini che non la meritavano, a uomini che non la ricercavano. Ora, tanto sensitivo all'amicizia degli uomini, come potei esser tanto insensibile all'amore del mio Dio? Ciò è il mio tormento, ciò è il mio dolore; ma lo zelo e la sollecitudine onde assunsi talvolta alcuni sacri offici, mi dischiudono gli occhi, e m'insegnano oggidì che ogni cosa del vostro servigio debb'essermi cara, che nulla deve ritrarmi; fate, o mio Dio, per l’efficacia della grazia vostra, che io sia verso voi quello almeno che fui verso un mondo colpevole: Sero te amavi. (Id. ib.) Egli è un cominciare ben tardi; ma fate che sia per sempre nel tempo e nella eternità.

mercoledì 20 marzo 2024

La detronizzazione della verità - Dietrich von Hildebrand (parte 3)

Qui ci si può giustamente chiedere: se il relativismo, il pragmatismo, lo storicismo, lo psicologismo hanno portato alla detronizzazione della verità, quale è la causa di tutti questi diversi “ismi” e, soprattutto, del fatto che non sono rimasti nella sfera teorica, ma hanno infettato e corroso l'approccio ingenuo e vissuto dell'essere? 
 
 

L'attuale sistema educativo ha la sua responsabilità nella corrosione dell'approccio ingenuo all'essere delle masse. Nella nostra epoca, e specialmente negli Stati Uniti, che ciascuno dovrebbe essere istruito e avere un'educazione intellettuale, è un'idea ampiamente diffusa. La convinzione che tutto si può imparare se correttamente insegnato, che un bene elevato sarebbe ingiustamente negato a una persona se non ricevesse la sua parte del moderno tesoro del sapere, è alla base di questo ideale. Senza discutere la verità di questi due presupposti, possiamo facilmente vedere che la nuova situazione relativa all'istruzione delle masse apre la porta alla diffusione di pseudo filosofie tra il pubblico.
Attraverso il nuovo ideale educativo, il decotto di tutti questi “ismi” distruttivi viene riversato nella mente dei giovani e da essi rispettosamente accettato. A questo, aggiungiamo ancora la perpetua “manipolazione” delle nostre menti da parte di film, giornali, riviste e radio, e possiamo capire perché la detronizzazione della verità oggi non è più di competenza di certi professori, ma ha contagiato con successo l'approccio immediato all’essere dell’uomo medio.

Tuttavia, è vero che dobbiamo scavare ancora più a fondo per raggiungere le radici ultime della detronizzazione della verità. Infatti, non pretendiamo di essere in grado di svelare l'origine di una perversione della mente come questa, perché in definitiva è misteriosa quanto l'origine stessa del male. Ma un unico elemento che sta dietro a queste negazioni teoriche o alle eliminazioni della verità, oltre che essere dietro l’intero atteggiamento che si manifesta in queste teorie, è accessibile alla nostra analisi. È l’apostasia di Dio, la ribellione dell’uomo contro il Padre di ogni verità, il rifiuto di accettare la condizione di creatura e la vocazione gloriosa di essere immagine di Dio. Nel cercare di scrollarsi di dosso la religio - cioè la fondamentale dipendenza, dovere verso Dio in cui siamo radicati, l'orientamento verso Dio -, diventiamo necessariamente vittime della falsità e corrodiamo il nostro rapporto di fondo con la verità.
L'atteggiamento del non serviam, il desiderio di seguire la tentazione dell'eritis sicut Dii, la ribellione contro Dio, è la radice ultima della detronizzazione della verità

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Il problema di mostrare come superare la detronizzazione della verità è di gran lunga più difficile di quello di rintracciarne le fonti. Nella nostra analisi ci limiteremo a chiederci come combattere contro di essa.

In primo luogo, la classica confutazione di tutti i marchi dello scetticismo e del relativismo dovrebbe essere più volte ribadita. Per quanto riguarda l'influenza del relativismo e del positivismo, dobbiamo sradicarlo con argomentazioni filosofiche. Non dobbiamo temere di apparire all'antica, antiquati, o addirittura banali nel ripetere ciò che non perde né la sua forza né la sua profondità per essere stato spesso affermato. Il fatto che la moderna negazione della verità oggettiva abbia più îl carattere di un presupposto incontestabile che quello di una tesi positiva - come nello scetticismo - non deve distogliere la nostra attenzione e portarci a una sospensione di tale questione mentre ci occupiamo di filosofia. È una sorta di snobismo che impedisce a molti pensatori di ribadire ancora e ancora una volta la rigida confutazione di ogni forma di scetticismo. Essi scansano l’apparenza di essere uniformi, primitivi e senza senso per i problemi della nostra epoca. Certamente lo smascheramento della contraddizione intrinseca e dell’incoerenza di ogni negazione della verità oggettiva non dovrebbe essere proposto come una formula puramente schematica ed esangue. Ripeterla più e più volte non significa ripetere una formula stereotipata; al contrario, ogni sua ripetizione contiene un'intuizione completa che, in tutta la sua inesauribile efficacia, smaschera îl carattere vuoto e insensato di ogni scetticismo radicale. Come ha giustamente affermato Goethe: “L’errore trova una ripetizione incessante nei fatti, per cui non ci si deve mai stancare di ripetere la verità a parole”, Dobbiamo renderci conto che l’incoerenza del relativismo radicale è tale che un filosofo, che presuppone anche tacitamente la negazione della verità oggettiva, ha oggettivamente condannato tutta la sua filosofia. Ancora di più, ogni scienziato che nega la possibilità di raggiungere la verità oggettiva pronuncia parole senza senso, mero balbettío.

Dobbiamo insistere sulla ridicola incoerenza di tutti coloro che professano una negazione della verità oggettiva e contemporaneamente arrogano la verità oggettiva alla loro teoria. Nulla può essere più fatale per una teoria che negare nel suo contenuto ciò che essa presuppone necessariamente già nell’atto della sua affermazione. Non dobbiamo smettere di smascherare l’inevitabile, flagrante contraddizione che è necessariamente voluta in ogni tentativo di negare la verità oggettiva e la possibilità della sua conoscenza. Sempre più contraddizioni si accumulano su questa contraddizione immanente tra il contenuto di un'affermazione e l'implicita pretesa formale di ogni affermazione in quanto tale. Quando offrono argomentazioni o addirittura scrivono interi libri per mostrare la tesi che la verità assoluta non esiste, questi relativisti presuppongono come incontrovertibili vari fatti: in primo luogo, le premesse da cui iniziano a discutere; in secondo luogo, la validità dei principi di logrca su cui si basano le loro conclusioni. Non appena sospendono la validità di uno dei suddetti presupposti, le loro argomentazioni o le loro tesi perdono ogni potere e decadono completamente.

Allo stesso modo, dobbiamo sottolineare ancora e ancora una volta che la dissoluzione da parte di Kant del significato autentico della conoscenza come la presa di un essere come tale oggettivamente esso è (o, per usare un termine tradizionale, come la presa in carico intenzionale della natura stessa di un essere) sostituendola con la nozione di costruzione dell’oggetto, implica una contraddizione immanente. In tal modo, Kant pretende di cogliere la natura della conoscenza così com'è, e di offrire non semplicemente una costruzione soggettiva di ciò che è la conoscenza. Il fatto che egli consideri la sua tesi come una scoperta fondamentale, come una “rivoluzione copernicana”, testimonia chiaramente questa affermazione. Incontriamo così qui un’immanente contraddizione nell’interpretazione della conoscenza, analoga a quella che fa parte di ogni relativismo rispetto alla verità oggettiva. Nel pretendere di rivelarci la reale natura della conoscenza, Kant presuppone la nozione di conoscenza che nega nel contenuto della sua tesi.

Anche in questo caso, analogamente, questa contraddizione si ritrova chiaramente nel pragmatismo. Quando il pragmatismo sostiene che la verità non significa altro che utilità e che una proposizione è vera quando è una base utile per i nostri compiti pratici, la verità nel suo significato autentico è implicitamente presupposta. Il pragmatista vuole dimostrare che la verità non è altro che utilità e sostiene che questa affermazione almeno è vera e non solo utile. Se lo negasse, il significato della sua tesi decadrebbe completamente. Allo stesso modo, egli fa riferimento alla verità nel suo senso autentico in tutte le sue premesse e conclusioni. Nel proporre argomenti a sostegno della sua tesi, il pragmatico presuppone tacitamente che le sue premesse corrispondano a fatti reali, e nelle sue conclusioni presuppone la verità dei principi logici. Anche l’affermazione che un'idea concreta è utile presuppone la verità implica l’affermazione che l’idea è veramente utile. Ogni tentativo di negare la verità oggettiva e di cambiare il suo significato o il significato della conoscenza implica necessariamente una contraddizione immanente, perché la verità e la conoscenza, sono dati elementari, ultimi, evidenti, presupposti di ogni affermazione e tesi, Chiunque neghi questi dati ultimi si comporta come un uomo che vuole saltare dietro a se stesso.

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Se vogliamo combattere la detronizzazione della verità, dobbiamo soprattutto abbandonare un atteggiamento prevalentemente difensivo in campo filosofico. Per secoli l'energia filosofica di molti filosofi scolastici è stata assorbita da una difesa distorta del tomismo. La domanda se alcune tesi filosofiche proposte da un non cattolico o da un filosofo cattolico siano vere o meno sembra essere diventata equivalente alla domanda se la si possa trovare direttamente o indirettamente nel tomismo.

Invece di cercare di capire una tesi dall'interno e di confrontarla con la realtà, spesso ci si è solamente avvicinati ad essa rimanendo imprigionati in un certo insieme di concetti tradizionali e spesso anche in un vocabolario tradizionale, senza prendersi la briga di consultare la realtà con un approccio immediato ad essa, si è solamente confrontato la tesi con un manuale tomista, e condannata non appena ha affermato qualcosa che non era stato detto in esso.

È in gioco uno sfortunato e implicito malinteso di filsofi. La filosofia è spesso identificata con un sistema logicamente coerente in cui tutto deve essere integrato con tutto il resto. Anche se l'ideale di Cartesio è biasimato come razionalistico, una nozione altrettanto razionalistica di filosofia e di processo di scoperta filosofica è inconsciamente presupposta. È una “logicizzazione” della realtà e dei suoi misteri. Chevalier si è opposto a questo tipo di razionalismo quando ha detto:

Abbiamo dovuto aspettare fino a questi ultimi anni, abbiamo dovuto aspettare proprio questa guerra (1914) perché a Pascal, il pensatore, venisse riconosciuto il suo vero grado: il primo, È perché la guerra ci ha ricordato o ci ha rivelato quale deve essere veramente la filosofia: non un vano gioco dialettico di concetti, ma la risposta alle domande che l’uomo si pone di fronte alla morte.

Che sia tomista o no, un vero filosofo si sforza di scavare sempre più a fondo nell'inesauribile pienezza dell’essere, di scoprire nuovi aspetti e verità; e così facendo sarà più fedele alla realtà che a un “sistema” che ha costruito. Nella storia della filosofia notiamo che i grandi filosofi non si sono astenuti dall’affermare ciò che la realtà rivelava loro, anche se avrebbero potuto non rientrare in alcune teorie che hanno costruito. Non permettono a se stessi di essere tagliati fuori dalla realtà attraverso concetti che hanno formato e tesi che hanno ottenuto come deduzioni da precedenti intuizioni.

A volte l’Eros filosofico - lo “stupore” e il desiderio di consultare la realtà più e più volte - sono sostituiti dalla preoccupazione di difendere ogni dettaglio del sistema aristotelico-tomistico. Ciò che è legittimo e persino obbligatorio rispetto alla verità rivelata, così come formulata nei dogmi della Chiesa, è qui inconsciamente applicato a un sistema filosofico.
Questo atteggiamento non solo frustra qualsiaa esplorazione filosofica. ma è anche un'ingiustizia nei confronti della grande conquista filosofica di San Tommaso. Invece di affermare che è impossibile rimanere fedeli alla concezione di un grande filosofo se non ci si sforza di scoprire da soli i dati da cui ha tratto il suo punto di partenza, l'intuizione che è stata il punto di partenza dei suoi concetti, si ritiene spesso che sia sufficiente dare definizioni astratte dei concetti e sembra cosa soddisfacente se il percorso che porta da un concetto all’altro è agevole e logicamente corretto.

A volte questi filosofi non hanno nulla a che fare con colui di cui pretendono di essere i discepoli. Così, anche dal punto di vista del rendere giustizia a un grande e venerabile filosofo, dobbiamo tornare all’essere, ad un'intuizione intellettuale della realtà da lui scoperta, e dobbiamo essere più ansiosi di rimanere fedeli a questa scoperta che alla sua concettualizzazione di essa, e a maggior ragione, più che alla sua terminologia.

Ma soprattutto dobbiamo essere più desiderosi di trovare la verità che di esaminare se qualcosa è in accordo con il sistema di un filosofo, per quanto grande possa essere il filosofo. Se l'apprezzamento genuino di un filosofo da parte di uno storico della filosofia richiede già che il pensiero del filosofo sia confrontato con la realtà e misurato dalla verità, dobbiamo, in un'esplorazione sistematica della realtà, cedere a fortiori all'imperturbabile ricerca della verità.
Questo vero apprezzamento implica che non ci si lasci mai precludere l'approccio immediato alla realtà diventando prigionieri di concetti fossilizzati, non potendo lasciare una traccia regolare, abituale, frustrando ogni contatto fecondo con l'essere e ogni arricchimento, completamento e correzione della realizzazione filosofica di un grande e venerato maestro. In questo senso, Sciacca scrive in onore della memoria di Blondel:

Questa rivista... continuerà a onorare la sua memoria e a partecipare al suo pensiero nell'unico modo in cai si onora veramente la memoria di un filosofo e in cui si dimostra la vitalità della sua speculazione: nell’approfondire i problemi della filosofia cristiana con Blondel, ma al di là di Blondel.

Alcuni filosofi sembrano limitare il vero lavoro filosofico ad una mera elaborazione di tutte le conseguenze immanenti del sistema tomista, un lavoro che può essere realizzato con l'acutezza intellettuale senza interpellare la realtà. Altri vedono il compito principale della filosofia nell’integrazione dei risultati scientifici e psicologici moderni all’interno del sistema, cioè nell’ampliamento del sistema con elementi che appartengono alla sfera extra-filosofica. È chiaro, tuttavia, che ogni vero lavoro filosofico consiste in una sempre rinnovata e continua esplorazione dell’essere e nel confronto di tutti i concetti della scuola con la realtà. Solo questo può darci la possibilità di apprezzare pienamente la scoperta che ha portato alla formazione di questi concetti, e di arricchire e completare i risultati precedenti, di procedere a nuove differenziazioni, e talvolta di eliminare i problemi artificiosi derivanti solo da un uso troppo vago di certi termini.

Se accettiamo con gratitudine la distinzione di Aristotele delle quattro cause e dei rapporti metafisici basati su di esse, dobbiamo quindi ab ovo escludere la possibilità che ci possano essere ancora altri principi metafisici oltre a quelli scoperti da Aristotele? Perché non dovremmo avere il diritto di esplorare l'essere con lo stesso approccio privo di pregiudizi e la stessa apertura dell'intelletto di Aristotele?

Per ciò che riguarda le dottrine sull’anima tramandateci dai nostri predecessori può bastare quanto si è detto. Riprendiamo ora di nuovo la strada come dall'inizio, cercando di determinare che cos'è l’anima e qual è il suo concetto generale (Aristotele De Anima)

Perché si dovrebbe escludere ab ovo che un’analisi dell'essere senza pregiudizi possa in modo analogo superare la conquista delle quattro cause da parte di Aristotele, poiché la sua scoperta ha superato la conoscenza dei presocratici? Facciamo comunque un'ingiustizia alla scoperta di Aristotele, neghiamo la verità della sua distinzione tra causa efficiens e causa finalis, se la nostra analisi della realtà ci costringe ad ammettere che esistono ancora altre cause o relazioni metafisiche fondamentali? Non è forse per noi la peggiore offesa a un grande filosofo presumere che egli affermi di aver scoperto tutto, di aver visto tutti i problemi e di avervi risposto in modo completo - tale pretesa non sarebbe proprio l’antitesi assoluta dell’affermazione socratica: “So solo una cosa, che non so?” Ciò che, precisamente, distingue il vero filosofo dal mero maestro di scuola è la coscienza che la pienezza e la profondità dell'essere superano in modo incomparabile la gamma di vere intuizioni che egli può aver acquisito.

La vera filosofia deve sempre distinguere chiaramente tra verità che sono il risultato di un’intuizione reale, che si riferiscono a dati forniti o accessibili attraverso una rigorosa deduzione, e mere ipotesi che non possono mai essere verificate o provate, ma possono essere giudicate solo in base alla loro plausibilità.

La distinzione tra la conoscenza empirica e la conoscenza assolutamente certa di fatti strettamente necessari e intelligibili nel Menone di Platone è, ad esempio, un classico esempio di scoperta filosofica fondamentale, di intuizione basata su qualcosa di evidentemente dato. La teoria dell'anamnesi, al contrario, è una tipica ipotesi destinata a spiegare la possibilità di una conoscenza a priori, ma profferendo proposizioni e tesi che non possono essere verificate come tali, perché si riferiscono a ciò che non è accessibile né alla nostra esperienza (intuitiva o induttiva) né alla deduzione.

La distinzione tra una proposizione che si riferisce a una sfera di realtà accessibile all’intuizione intellettuale o alla deduzione e una proposizione che si riferisce a una sfera di realtà inaccessibile all’intuizione e alla deduzione, non nega la necessità e il valore di un'ipotesi, né esclude la possibilità che un'ipotesi possa essere oggettivamente conforme alla realtà. Ma non appena non le distinguiamo più chiaramente, e affrontiamo un'ipotesi come se fosse un fatto innegabile ed evidente, noi rischiamo di allontanarci dalla realtà. Ci avviciniamo allora all'essere attraverso una rete di concetti derivanti da un'ipotesi; e non solo interpretiamo ogni dato alla luce di questa ipotesi, ma perdiamo il contatto col dato immediato. Noi quindi deduciamo come l’essere dovrebbe essere da concetti che vengono spogliati del loro contenuto originario; soprattutto si spreca la propria energia intellettuale per problemi artificiali derivanti esclusivamente dalla fossilizzazione di certi concetti. L'essere ha così tanti misteri filosoficamente ancora inesplorati; offre così tanti dati di cui manca ancora la prise de conscience filosofica, che sembra incredibile che tanta intelligenza venga sprecata per risolvere problemi immaginari che nascono solo da concetti inesistenti o dall’estensione di certi concetti in sfere dell'essere in cui non hanno alcun fundamentum in re.

Molti termini sono usati in modo così ampio che le differenze di significato (che sono proprio ciò che conta) non sono realmente colte. La volontà, per esempio, è usata per comprendere tutte le risposte affettive significatrive, cioè amore, ammirazione, stima. Ciò che oggi abbiamo in mente, però, parlando di volontà, è la risposta specifica diretta a qualcosa di non ancora reale, il cui contenuto potrebbe essere circoscritto, come “tu sarai”, un atto che è libero nel pieno senso della parola e che è il padrone di tutte le azioni. La volontà in questo senso specifico è la causa exemplaris di ogni atteggiamento che includiamo in questo termine. E così, chiamando l'amore un atto di volontà, falsifichiamo de facto la natura stessa dell'amore, la quiddità specifica dell'amore, che lo distingue da tutte le altre risposte. Dobbiamo renderci conto del pericolo derivante dall'uso di certi termini quando ti definiamo in senso totalmente analogo, ma li usiamo in senso molto più univoco non appena li applichiamo in concreto. Tale è l'uso del termine finis. Se vogliamo usarlo in un senso che includa ogni direzione significativa verso qualcosa, dobbiamo non solo distinguere chiaramente questo termine generale dal significato originario di causa finalis, ma anche non dobbiamo permettere che îl rapporto “mezzi-fine” rimanga nella nostra mente come lo schema nascosto della finalità.

Dobbiamo tornare ad un vivace proseguimento del magnifico processo di reale esplorazione filosofica che ha portato dai presocratici a Socrate, Platone, Aristotele, Sant'Agostino, San Bonaventura, San Tommaso d’Aquino, ad una completa restaurazione del “domandarsi” davanti al cosmo nella sua inesauribile profondità!

Solo una filosofia che si riempie di vero eros filosofico, che ci rivela nel suo ordinato movimento le parole di Sant'Agostino: Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?, può eliminare il discredito della ragione e della verità e ripristinare il pieno rispetto della verità in tutti i campi della vita. Solo una filosofia profondamente radicata in una coscienza viva della pienezza dell'essere restituirà alla filosofia il suo ruolo organico di aprire gli occhi ai misteri dell’essere, di approfondire il contatto vissuto con l'essere e di preparare il nostro spirito alla verità infinitamente superiore della rivelazione, il vero senso della philosophia ancilla theologiae. All’incoerenza dei soggettivisti moderni che si sforzano di perseguire ideali di cui negano il presupposto ontologico - come l'ateo devoto del 1848 che ogni mattina ringraziava Dio per averlo reso ateo - si deve opporre una piena consistenza, cioè una verità vissuta, rivelando nel nostro approccio a qualsiasi problema pratico, che siamo “radicati e fondati” (Ef 3,17) nelle verità naturali fondamentali, e soprattutto in Cristo, “che è la soluzione di tutti i problemi”, Quante volte incontriamo cattolici che negano Cristo e persino le verità naturali fondamentali non appena si trovano ad affrontare problemi sociali o politici nel campo pratico della vita! Permettere alla luce della verità naturale e soprannaturale di penetrare pienamente ogni problema, è la via principale per ristabilire il pieno rispetto della verità come giudice supremo in tutte le questioni e come norma dei nostri atteggiamenti.

Il compito della reintegrazione della verità implica soprattutto lo sradicamento delle radici morali che hanno portato a questo atteggiamento disastroso nei confronti della verità. In “Catholicism and Unprejudiced Knowledge” affronteremo questo aspetto. Qui può bastare sottolineare che, per ristabilire il rispetto della verità e l'accettazione del suo carattere di giudice supremo, non basterà una semplice contromossa intellettuale. Se gli abusi della ragione distorta hanno portato alla detronizzazione della verità e hanno aperto la strada alla divinizzazione di tutto ciò che è inferiore all'uomo e alla ragione umana, solo la luce sovrarazionale di Cristo può ristabilire la verità nel suo posto dato da Dio e riportare la ragione al suo ordine verso la verità; in altre parole, ristabilire anche la ragione e salvarla dall’autodistruzione.

martedì 19 marzo 2024

La detronizzazione della verità - Dietrich von Hildebrand (parte 2)

Di fronte a questi sintomi allarmanti, sorge spontanea la domanda: quali sono i fattori che hanno portato a questa malattia dello spirito? Quali sono le sue cause?


Le cause più evidenti della detronizzazione della verità sono varie forme di relativismo, che vanno dal soggettivismo moderato fino allo scetticismo assoluto che, con ritmo crescente, sono diventate la filosofia “ufficiale” insegnata e professata nelle università laiche. Oggi sembra che ci sia un solo punto in cui le varie teorie filosofiche non cattoliche sono d'accordo: la negazione della possibilità di raggiungere la verità oggettiva. Certamente tra questa negazione teorica della verità oggettiva e l'indifferenza realmente realizzata e vissuta verso di essa c'è ancora un abisso. Come accade nel suo contatto diretto con l’essere, l’uomo è protetto per un certo periodo di tempo dall’accettazione delle svariate assurdità che può professare nelle sue analisi teoriche.


“Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino – Cappella Sansevero, Napoli


In generale, si può osservare che la voce dell'essere è talmente convincente che nel contatto vissuto e immediato con essa l’uomo dimentica le diverse errate interpretazioni che crea nel riflettere teoricamente su di esse. Fortunatamente, l'uomo non è così coerente che il suo approccio diretto all'essere è immediatamente influenzato dalle sue teorie. I dati convincenti ed evidenti, e non le sue assurde teorie, rimangono alla base delle sue risposte. Quando, per esempio, un inverno Nietzsche vide una strada ghiacciata, pianse di compassione per i bambini poveri che avrebbero potuto caderci sopra, nonostante il fatto che nella sua asserzione teoretica dichiarasse che la compassione non era altro che un sintomo di deplorevole debolezza e di decadenza della vitalità. Eppure non ha vissuto la sua risposta immediata come una deplorevole debolezza, ma come qualcosa di oggettivamente giustificato. Nella loro lotta contro il capitalismo, i marxisti hanno fatto appello alla giustizia e ai diritti degli uomini, anche se teoricamente professavano un materialismo che non lasciava spazio né a valori etici assoluti né ai diritti degli uomini. Perché, evidentemente, un essere che non è una persona, ma solo una materia più elevata e sviluppata, non può avere alcun diritto.

Inoltre, nella vita l'approccio diretto all'essere rimane per un certo periodo protetto dalle perversioni della sfera intellettuale. Vediamo, ad esempio, che dal Rinascimento fino all’inizio dell'Ottocento, l’arte e la cultura erano ancora radicate nel patrimonio cristiano, nonostante la progressiva secolarizzazione spirituale in ambito teorico avvenuta in quest'epoca. Ma questa "protezione", dovuta a una fortunata incoerenza, non dura a tempo indeterminato. Ogni volta che l’uomo si perde negli errori, Dio gli concede un certo periodo di tregua. Mentre consuma l’eredità paterna, il figliol prodigo può viverci per un certo tempo. Ma dopo un po' l'eredità si esaurisce. Analogamente, dopo un certo tempo gli errori in ambito teorico cominciano a influenzare l'approccio immediato dell’uomo all'essere e corromperanno e pervertiranno i suoi atteggiamenti spontanei.

Questo è ciò che accade realmente rispetto alla verità. La secolare propagazione del relativismo e del soggettivismo, pur implicando in modo incoerente un tacito rispetto per la verità, ha influenzato infine l'approccio diretto all'essere e ha creato l'atteggiamento di indifferenza e di mancanza di rispetto per la verità nella vita stessa. A lungo andare, l’uomo non rimane incoerente: ciò che viene professato in teoria, diventa, a un certo punto, un fattore determinante dell’atteggiamento vissuto dell’uomo. Così la responsabilità di tutti i soggettivisti e relativisti per la detronizzazione della verità deve essere pienamente riconosciuta, anche se, a causa della loro incoerenza, si sono appellati alla verità nella pratica.

Non è però esclusivamente il relativismo tematico - cioè l'attacco alla verità oggettiva - che è alla base della detronizzazione della verità. Nel sistema gigantesco di Kant troviamo una completa inversione del processo e della natura della conoscenza. Secondo Kant, la conoscenza non è più intesa come la comprensione di un essere come oggetto - un possesso spirituale di esso, o una partecipazione intenzionale all'essere -, ma un processo di costruzione dell'oggetto della nostra conoscenza.
Infatti, in questa deformazione della nozione di conoscenza - una deformazione equivalente a una negazione della natura stessa della conoscenza - Kant è coerente come ogni scettico o relativista è destinato ad essere, Pur sostenendo che in realtà la conoscenza consiste nella costruzione di un oggetto, egli chiaramente non dice che ci offre una costruzione della conoscenza, ma che ha scoperto la natura reale e autentica della conoscenza. La sua conoscenza della natura della conoscenza viene introdotta come conoscenza nel senso classico del termine. Chiaramente, Kant è condannato all’incoerenza, come ogni scettico, perché nel tentativo di negare dati finali come l'essere, la verità o la conoscenza, li presuppone necessariamente nello stesso respiro.

Tuttavia, avendo bandito la conoscenza di qualsiasi realtà oggettiva e metafisica, Kant ha introdotto la pericolosa nozione di postulato e quindi ha sostituito la verità con l’indispensabilità. Alcuni fatti metafisici fondamentali ora non sono più accettati in forza della loro verità, cioè della loro realtà, ma solo per la loro indispensabilità per l'etica. Lo spostamento in direzione del postulato, o della sostituzione di un presupposto indispensabile per la verità, si è già manifestato nella Kritik der Reinen Vernunft. Il grande scopo della costruzione di Kant era quello di salvare la matematica e la scienza dallo scetticismo di Hume, o, per così dire, di dimostrare la possibilità di giudizi sintetici a priori nella matematica e nelle scienze. Così tutto il suo modo di procedere ha in qualche modo un carattere apologetico. Invece della pura sete di verità e dell’autentico “stupore” di Platone e Aristotele, invece dell'esplorazione non distorta dell’essere in quanto tale, i fatti metafisici ed epistemologici più fondamentali vengono affrontati nell'ottica di una difesa di un oggetto relativamente contingente e secondario come la scienza. Mentre Platone scoprì nel Menone l’esistenza di una verità oggettiva assoluta indipendente dall'esperienza nel senso dell’osservazione e dell’induzione, Kant si preoccupò dell'ipotesi destinata a salvare a priori la possibilità di giudizi sintetici, e finì per sacrificare la nozione di verità oggettiva sull’altare della scienza. Egli ha sacrificato la verità oggettiva in favore del giudizio a priori. Come metodo, è grande e profonda la deduzione trascendentale, come un'analisi dell’esperienza concreta scavando sempre più a fondo in tuttii suoi presupposti metafisici; allo stesso modo è un caso tipico del chirurgo che dichiara che un'operazione è stata eseguita con pieno successo, ma purtroppo il paziente è morto. Ovviamente, se si abbandona sia la nozione di conoscenza come comprensione dell'essere così com'è oggettivamente, sia la nozione di verità che non è solo relativa alla mente umana, la possibilità di giudizi sintetici a priori non ha più importanza.

La libertà della volontà, l'immortalità dell’anima e persino l'esistenza di Dio non dovevano più essere dimostrate come fatti reali e professate come verità, ma erano ora semplicemente assunte perché non si poteva fare a meno di esse. La sostituzione dell’indispensabilità pratica con la verità è una perversione del più grande peso. I fatti più importanti, dai quali tutto il resto dipende, non vengono più affrontati dal punto di vista della verità, ma solo dal punto di vista della loro indispensabilità per l'etica. Qui la questione della verità è addirittura espressamente sospesa. Qui incontriamo un completo capovolgimento della vera gerarchia dell’essere. Ciò che è vero non è più alla base dei nostri atteggiamenti perché è vero, ma accettiamo un fatto arbitrariamente come se fosse vero, perché ne abbiamo bisogno come base della nostra vita morale.

Qui bisogna fare alcune importanti distinzioni. La nozione di postulato non deve essere confusa con i presupposti necessari che abbiamo il diritto di dedurre da alcuni dati reali. È in nome della verità oggettiva che si deduce, ad esempio, l’esistenza di una causa prima, dall’esistenza di esseri contingenti. L’esistenza di un essere contingente garantisce la nostra conoscenza dell’esistenza di un essere assoluto. Questa conclusione è assolutamente corretta. Essa è radicata nell’interesse genuino per la realtà e si basa su un procedimento valido e classico che porta all’ottenimento della conoscenza.

Il postulato, al contrario, non pretende di essere accessibile attraverso il processo di inferenza di una causa dai suoi effetti. Piuttosto, deve essere presunto per salvaguardare una cosa che per ragioni pratiche (nel senso più ampio del termine) non possiamo permetterci di sacrificare. Il postulato mostra la stessa nobile sospensione nell'aria dell'imperativo categorico; tanto importante e fondamentale è l'intuizione di Kant sul carattere categorico dell'obbligo morale, quanto insoddisfacente è il suo ignorare il valore da cui questo imperativo categorico deriva. Egli priva l'imperativo categorico della sua base ontologica e vede addirittura in questa privazione la condizione della sua validità oggettiva. Non c'è ragione che garantisca l’esistenza di un postulato. Si tratta, al contrario, di eliminare la domanda di verità e di sostituire la verità con l’indispensabilità pratica. Senza chiedersi se qualcosa lo sia o meno nella realtà, dobbiamo accettarla per il suo ruolo indispensabile nella nostra vita. Anche il postulato deve essere distinto dall'ipotesi. L'ipotesi, pur essendo una costruzione offerta come possibile spiegazione di un fenomeno e non il necessario risultato di un’inferenza, è tuttavia un tentativo nella direzione della ricerca di una verità, e con la dimostrazione della sua plausibilità è sicuramente posta sotto l’egida della verità. Essa fa appello alla nostra ragione “critica” e non alla nostra ragione “pratica”. 

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In terzo luogo, dobbiamo distinguere tra l'indispensabilità del postulato e il carattere classico di una verità che si manifesta attraverso la sua fondamentale congenialità con la totalità del cosmo. Abbiamo detto sopra che l’uomo nel suo contatto diretto con l’essere contraddice spesso le sue stesse teorie. Ma non pensiamo al fatto che nella nostra debolezza spesso non agiamo in conformità con i principi che la nostra ragione accetta come veri. Intendiamo dire che nel confrontarsi con l'essere in un contatto immediato, vissuto, la realtà smentisce molte teorie assurde che sono il risultato di costruzioni astratte e sono ottenute deducendole per mezzo di sillogismi dubbi, da premesse vaghe, invece di ascoltare la realtà. Qualcuno, per esempio, può teoricamente negare l’esistenza del bene e del male morale oggettivo, ma non appena si trova di fronte a una nobile azione morale o a un atteggiamento meschino e malvagio, dimenticando la sua teoria artificiale, coglie la realtà elementare dei valori morali oggettivi.

Questa correzione delle teorie astratte e artificiali da parte della voce non distorta della realtà, la voce della realtà che non è stata messa a tacere dai pregiudizi, avviene nel quadro della conoscenza e fa appello alla verità invece che all’indispensabilità pratica. Quindi non ci limitiamo a postulare la realtà oggettiva dei valori morali quando, nel discutere contro il relativista morale, proponiamo come argomento il fatto che egli ammette valori morali oggettivi nella sua vita almeno nella sua risposta di indignazione o ammirazione. Non sospendiamo affatto la questione della verità argomentando così, non ci basiamo sulla mera affermazione: “Devi rinunciare alla tua teoria perché non funziona. Bisogna, in ogni caso, supporre valori morali oggettivi, altrimenti non si va lontano”. No, noi affermiamo, al contrario, che nel contatto ingenuo e immediato con l’essere il relativista coglie intuitivamente la realtà di ciò che cerca di negare sul piano teorico. Affermiamo che la sua teoria non è il risultato di una reale intuizione, ma della combinazione artificiale di pregiudizi, non provati, taciti presupposti, sofisticati pseudo-argomenti; e che è dettata anche da molti motivi estranei alla sfera della ragione, essendo un'intrusione di orgoglio e concupiscenza. Al contrario, la convinzione che informa il suo contatto immediato con l’essere è il risultato di una percezione reale; è il risultato della forza convincente della realtà, che si rivela indipendente da tutti i pregiudizi, e sebbene la conoscenza in questione non sia critica e sistematica, essa dà prova dell’esistenza oggettiva di valori morali, ed è conoscenza autentica e valida.

Esistono vari modi in cui una realtà metafisica può rivelarsi alla nostra mente, e sarebbe ridicolo affermare che solo il modo che si può dedurre more geometrico si rivolge al nostro intelletto. La sfera della nostra intelligenza si spinge più lontano di quella della deduzione matematica. Appellarsi a un'esperienza di una cosa immediatamente data senza poterla provare con argomentazioni non significa sospendere la questione della verità e sostituirla con qualcos'altro. La questione della verità supera di gran lunga la portata anche di ciò che può essere colto dall’intelligenza umana. Vedremo, più avanti, che un razionalismo falso e fossilizzato ha la sua parte di responsabilità nella detronizzazione della verità, anche se in modo più indiretto. Ma il postulato comporta sicuramente la sospensione della questione della verità e il suo spostamento per l'indispensabilità pratica. Rifugiandoci nella nozione di postulato, accettiamo una verità metafisica non perché si manifesti nella sua verità intrinseca e nel suo carattere classico, ma solo perché ci comportiamo “come se” fosse così, perché “non possiamo farne a meno”. La linea che porta dal postulato alla filosofia del “come-se” di Vaihinger e al pragmatismo è evidente. E non è difficile vedere che l’atteggiamento che si manifesta in queste teorie ha contribuito, guadagnando sempre più terreno, a detronizzare la verità. 

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Una terza causa di questa detronizzazione è lo storicismo. Il relativismo che deriva dal vedere ogni filosofia e teoria come un mero fenomeno storico elimina tacitamente la verità come norma e fissa la nostra attenzione sul significato di un'idea come espressione di una certa epoca. Questo atteggiamento è brillantemente descritto da C. S. Lewis:

Il “punto di vista storico” significa, in poche parole, che quando un uomo dotto incontra una qualsiasi affermazione in un libro vecchio, la domanda che non si farà mai è se tale affermazione sia vera. Si chiede chi ha fatto sentire il suo influsso sul vecchio scrittore, e fino a qual punto l'affermazione s'accorda con ciò che ha detto in altri siti, e quale fase esso illustra nello sviluppo dell'autore, o nela storia generale del pensiero, e come incise su scrittori più recenti, e se è stato spesso capito male (particolarmente dai colleghi dell'uomo dotto), e quale è stata la tendenza generale della critica negli ultimi dieci anni, e quale è lo “stato attuale della questione”, Considerare l'antico scritore come una possibile funte di conoscenza - anticipare che ciò che egli disse potrebbe possibilmente modificare i tuoi pensieri o il tuo modo di comportarti - sarebbe rigettato come segno di un’indicibile semplicità di mente.

Il veleno dello storicismo è particolarmente pericoloso per due motivi. In primo luogo, lo storicismo è una perversione di verità preziose e importanti. In secondo luogo, non si occupa direttamente della negazione della verità oggettiva, ma concentrandosi esclusivamente sull'aspetto storico elimina tacitamente la questione della verità. Nell’affermare che lo storicismo è una perversione o un abuso di visioni di valore si pensa al fatto, indubbiamente vero, che nell’esplorazione delle verità filosofiche esiste un ritmo storico, poiché la piena, filosofica prise de conscience dei fatti fondamentali richiede un certo momento storico - la sua ora nella storia, richiede, inoltre, che un'evoluzione delle idee abbia preparato questa possibilità, e così via. Non è un caso che la scoperta delle quattro cause da parte di Aristotele sia stata preceduta dai presocratici, da Socrate e da Platone. La teoria di Hegel di uno sviluppo del logos oggettivo nella storia ha indubbiamente scoperto qualcosa di vero, per quanto discutibile possa essere la sua intera concezione, Ma per quanto interessante e importante possa essere l'aspetto storico di una teoria filosofica, esso è secondario rispetto alla questione se l’intuizione sia vera o meno, se la teoria sia in conformità con l'essere o meno, e in che misura lo sia.

Lo storicismo non si accontenta di esaminare il ruolo del ritmo della storia nell’esplorazione della verità, né i limiti dovuti a certe situazioni storiche intellettuali, ma riduce l’intero significato di una concezione religiosa, metafisica o etica alla sua funzione storica. Quando noi, per esempio, sentiamo l'elogio di Sant'Agostino, o di Sant'Anselmo, ci aspettiamo di trovare una certa concordanza tra la posizione dell’autore e quella di uno di questi santi; ma ce lo aspettiamo invano. Per quanto entusiasta e apparentemente simpatetico possa essere l'apprezzamento di questi filosofi, si evita qualsiasi posizione verso la verità o la falsità delle loro idee. Troviamo che sia stato detto solo quanto fossero grandi per il loro tempo, quanto bene esprimessero il loro tempo. L'intelligenza e la statura spirituale sono diventate qui la norma decisiva, e non più la verità o la falsità delle loro intuizioni.

Scetticismo e positivismo, che negano la verità oggettiva, sono relativamente più orientati alla verità. La ribellione e l’inimicizia contro la verità oggettiva considerano almeno la questione della verità più seriamente di quanto non faccia lo storicismo. Lo storicismo tratta la questione se una teoria sia vera o meno come se non fosse di alcun interesse, o anche come se fosse un approccio ingenuo e rozzo a un'opinione, a un sistema filosofico o a un’ideologia.

Particolarmente tipico dello storicismo è il modo in cui prende posizione sulla religione. Mentre gli atei prendono ancora sul serio la domanda dell’esistenza di Dio, lo storicista sembra non capire nemmeno la pretesa immanente della religione, ma la guarda solo come un interessante fenomeno culturale e storico. Egli tratta le diverse religioni con uguale simpatia ed espone le loro dottrine con rispetto e benevola comprensione. Le vede apparentemente non “dall'esterno”, ma dall'interno, ma questo “dall'interno” significa un immanentismo che ha eliminato una volta per tutte, tacitamente, la grande questione decisiva se questa religione sia vera o meno. In realtà, questo approccio apparentemente simpatetico è l'apice ultimo di una visione distorta dall'esterno, perché priva la religione del suo significato più profondo, che è la verità, verità assoluta divinamente rivelata, che il Credo afferma e per la quale i martiri hanno versato il loro sangue. Tagliando fuori la fede dalla verità - il suo correlato oggettivo - e facendone un'interessante espressione della mente umana, lo storicismo desostanzializza la religione in misura maggiore dell’uomo che ha rinnegato Dio in nome della verità oggettiva.

Un tipico frutto dello storicismo è la posizione verso la Santa Chiesa assunta nell’Action Française, e soprattutto negli scritti di Charles Maurras. Maurras elogia la Chiesa per la sua funzione culturale e politica, per il valore che incarna nella storia e soprattutto per la sua “latinità”, egli elogia la Chiesa perché è così meravigliosamente “pagana”. Questo giudizio positivo della Chiesa non è forse un'offesa e un fraintendimento più grande di un attacco furioso da parte dei protestanti, che la rimproverano di non essere abbastanza fedele a Cristo? Per quanto sconcertante e sconvolgente, il rimprovero dei protestanti prende più seriamente di quanto abbia fatto Charles Maurras la pretesa della Chiesa di insegnare la verità divina e le parole di Cristo. 

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Infine, anche la predominanza di un approccio psicologico e la marcia trionfale della psicoanalisi hanno avuto la loro parte nella preparazione della detronizzazione della verità. L'interesse per le ragioni psicologiche - perché una persona esprime un'opinione, afferma una tesi, ha preso posizione nei confronti di una teoria - ha sostituito sempre più l'interesse per la questione della verità di questa opinione, questa tesi o teoria. Nel momento in cui questo approccio può essere in molti casi giustificato, così come è indispensabile esaminare tale questione per giudicare una persona e decidere come affrontarla, non appena esso sostituisce la questione della verità dell'opinione, si verifica una perversione disastrosa.
Quando, ascoltando una teoria sui problemi della metafisica, ci si chiede solo quali siano i motivi psicologici che la giustificano, invece di esaminare se questa teoria sia o meno conforme alla realtà, il suo approccio è per molti aspetti perverso: dovrebbe essere interessato principalmente alla verità di questa teoria. Un buon approccio riguarda principalmente il contenuto di una tesi, con la sua pretesa di essere vera. Ci deve essere una ragione particolare per giustificare il fatto di allontanarsi dall'oggetto e di concentrarsi sull’anima di chi esprime una teoria. Una ragione può essere che siamo psicologi professionisti. Ma anche in questo caso, la questione se un'opinione sia falsa o vera ha un'importanza eminente per la nostra analisi psicologica. Se la teoria è vera, non è necessario che si chiedano motivi psicologici particolari per spiegare perché una persona professa questa teoria. Al contrario, la normale motivazione dell’uomo a difendere un'opinione è la forza coercitiva della realtà che il suo intelletto coglie. Sarebbe certamente una cattiva psicologia, eliminare ab ovo la possibilità che la motivazione di una persona a sostenere una tesi sia semplicemente il fatto che la realtà gli ha rivelato che è così. Finché una teoria è vera, o nella misura in cui è vera, normalmente non c’è altra motivazione in gioco se non la verità, e tutto ciò che dobbiamo analizzare nella mente di chi sostiene la teoria è la natura della sua conoscenza, convinzione e giudizio. Questa analisi, tuttavia, riguarda solo la spiegazione di come una persona può acquisire conoscenza e oggettivarla in una tesi; ma la ragione per ritenere un'opinione rimane la verità di questa teoria o l'esistenza di questo fatto Negli errori si possono cercare ragioni psicologiche, ma finché si tratta di una vera e propria affermazione, non abbiamo motivo di cercare motivazioni soggettive.

Dobbiamo quindi affermare che anche uno psicologo deve indagare se una teoria, un'affermazione o un giudizio è vero o meno prima di poter esaminare la condizione psicologica di chi la pronuncia, perché la questione della sua verità ha un'importanza fondamentale anche per decidere se si tratta o meno di un problema psicologico.

Naturalmente, ci possono essere anche casi straordinari in cui dobbiamo cercare ragioni psicologiche, anche se la sentenza o la tesi è vera. Una persona può essere isterica o tagliata fuori da ogni contatto autentico con l'essere e con il mondo che la circonda, a causa della sua egocentricità. In questo caso, anche se afferma la verità, non crediamo che la sua affermazione sia il vero e genuino risultato dei dettami dell’essere; sebbene il contenuto del suo giudizio sia vero, dubitiamo che un reale interesse per la verità sia alla base del suo gudizio. D'altra parte, egli può essere disonesto, e allora diffidiamo di lui a tal punto che ciò che dice non ha più importanza, ma esclusivamente il motivo per cui lo dice. Presumiamo, in questo caso, che la dichiarazione di quest'uomo sia solo un mezzo per raggiungere uno scopo pratico. Questo approccio psicologico è l’unico ragionevole quando abbiamo a che fare con persone che hanno completamente detronizzato la verità, come, per esempio, Hitler o Stalin. Ma il fatto che quando si ha a che fare con un'opinione o un'affermazione, in caso di perversione morale o di anomalia mentale, l’unica cosa da fare sia rivolgersi ad una ricerca psicologica, rivela chiaramente che un tale approccio è inadeguato in condizioni normali. I fattori che sono responsabili di una malattia e che ne spiegano le origini non possono essere presenti nella persona sana. Se l'affermazione è falsa, può essere necessario esaminare se le ragioni psicologiche rispondono all'errore, ma come già detto, dobbiamo prima verificare se è vera o falsa. Inoltre, la spiegazione psicologica dell’errore non ci dispensa da una confutazione razionale dell'errore. Per aiutare la persona che, per ragioni morali, si attiene a una teoria sbagliata o che si comporta come se lo facesse, noi, da parte nostra, dobbiamo partire dal solido terreno della verità oggettiva. Solo se noi stessi partiamo dalle basi di ciò che è oggettivamente vero, saremo in grado di aiutare gli altri a superare gli ostacoli morali e psicologici che li separano dalla verità.

Soprattutto, dobbiamo renderci conto che la reale natura e validità degli atti più elevati della persona può essere compresa solo includendo il loro oggetto nella nostra analisi. È la natura stessa della convinzione di essere convinti che qualcosa è così; della natura della gioia, di essere gioiosi di qualcosa. Finché ignoriamo l’oggetto al quale la convinzione o la gioia risponde, la sua natura e il suo valore, una valutazione dell’atto è impossibile.
È un errore di fondo considerare gli atti personali come se potessero essere compresi indipendentemente dal loro carattere intenzionale; è un errore di fondo avvicinarsi a questo ambito come se fosse composto di meri stati e accessibile a un'analisi immanente e causale, estrapolando l’interesse per la verità di un'opinione o di un giudizio e sostituendo alla domanda “Che cosa sta affermando?”, la domanda “Perché lo sta affermando?”. (Continua)