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Le esigenze della carità intellettuale
Il fatto è che chi ama il Signore e, per amore di Lui, anche il prossimo non riesce proprio ad esimersi dal segnalare i pericoli spirituali che minacciano i suoi simili, dato che prova acuto dolore nell’osservare quanti finiscano in trappole nascoste e ben congegnate, da cui non potranno liberarsi se non per una grazia speciale. In certi ambienti tradizionalisti vige una forma mentis secondo la quale le conclusioni dei propri ragionamenti prevalgono sull’evidenza del reale. Tale disposizione intellettuale, caratteristica del razionalismo moderno, si ripercuote inevitabilmente sulle decisioni della volontà, che risultano tanto più rovinose quanto maggiore è la distanza tra il pensiero e la realtà. Quando tale modo di pensare e di agire si spinge oltre ogni limite della ragionevolezza, compaiono disturbi psichiatrici, talvolta gravi.
Si soffre molto nel sentirsi impotenti ad aiutare persone che, avendo assimilato le assurdità di una propaganda settaria, si son create una sorta di inferno interiore che riverberano poi su quanti le circondano. Sia i mezzi umani che quelli della grazia si infrangono contro un muro di ostinazione eretto sulla convinzione di essere gli unici ad aver scoperto la verità e che tutti gli altri siano accecati dall’errore; qualunque argomento viene perciò respinto a priori in quanto proposto da chi è percepito come un tentatore che vorrebbe ricondurre l’eletto nella palude dei dannati. Le tecniche di manipolazione mentale, d’altronde, instillano proprio questa diffidenza previa e assoluta nei confronti di chiunque non corrisponda perfettamente al rigido modello introiettato ed è subito sospettato, di conseguenza, di essere un seduttore.
Prima che sia troppo tardi per intervenire, la carità intellettuale spinge a mettere in guardia coloro che appaiono inclinati verso quel tragico pendio, che siano chierici o laici. Molto difficilmente si riuscirà a giovare a chi vi si è gettato da tempo, ma qualcosa si può ancora fare, forse, per chi vi si sta gettando. Poco importa se si sarà tacciati di tradimento, di gelosia o addirittura di odio e livore; ciò che conta è strappare anime al precipizio di quella superbia spirituale che spinge a insultare l’interlocutore, piuttosto che a ponderare in modo lucido, equo e distaccato ciò che dice.
Siamo ben consapevoli della nostra ignoranza e, dolendocene profondamente, stiamo cercando di rimediarvi; questa non è tuttavia una ragione per lasciarci confondere da chi usa il proprio sapere per distorcere la verità, calpestando il buon senso e negando la realtà fattuale in virtù di una pretesa conoscenza superiore: gnostici e massoni si comportano esattamente allo stesso modo e non intendiamo affatto imitarli, seppur trasponendo il loro metodo in campo cattolico.
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La soluzione suggerita dai Santi
Potremmo citare innumerevoli esempi, ma ci limiteremo a ricordare la lezione di santa Caterina da Siena, vissuta in tempi catastrofici per la Chiesa. Nulla di più lontano dalla presunzione di quanti parlano e agiscono come se nel clero tutto fosse marcio senza eccezione, come se la loro opera rappresentasse l’unica scialuppa di salvataggio e come se, non avendo il buon Dio altre risorse, toccasse a loro salvare la Chiesa.
Tra le virtù teologali è soprattutto la speranza a fare difetto, cosa che denota peraltro una fede carente e si ripercuote sulla carità, la quale, a lungo andare, rimane soffocata dall’astio e dall’odio. Questi tali dimenticano che la Provvidenza permette qualunque male per trarne un bene maggiore; se, d’altra parte, uno è ben radicato in Dio con una robusta vita spirituale, nessuno al mondo potrà mai fargli perdere la fede, se non vuole abbracciare la menzogna, né costringerlo ad agire contro coscienza. Ascoltiamo dunque la Patrona del nostro Paese: nel Dialogo della Divina Provvidenza, che le fu dettato durante le estasi, ella riporta le parole udite dal Padre.
«Se ben ti ricordi, ti dissi già che io adempirò i vostri desideri dandovi refrigerio nelle vostre fatiche, cioè soddisfacendo ai vostri penosi desideri, donando buoni e santi Pastori per riformare la santa Chiesa, non con guerra, né con coltello o crudeltà, ma con pace e quiete, con lacrime e sudori dei miei servi, che ho messo come lavoratori delle anime vostre e di quelle del prossimo nel corpo mistico della santa Chiesa. Dentro di voi, lavorate in virtù; nel prossimo e nella santa Chiesa, lavorate col buon esempio, con la dottrina, con l’offrire continua orazione a me per essa e per ogni creatura, partorendo le virtù sopra il vostro prossimo. […]
Non cessate di gettarmi incenso di odorose orazioni per la salute delle anime, perché io voglio fare misericordia al mondo e con quelle orazioni, sudori e lacrime lavare la faccia della mia Sposa, la santa Chiesa, che già ti mostrai sotto la forma di una fanciulla lordata in tutta la sua faccia, quasi fosse lebbrosa. Questo avviene per i difetti dei ministri e di tutti i cristiani, che si nutrono al petto di questa Sposa» (cap. 86).
Neppure oggi i mezzi indicati da Dio sembrano molto apprezzati: piuttosto che con incessanti orazioni, sudori e lacrime, si pensa di risolvere i problemi della Chiesa con iniziative individuali che sfociano nella separazione; anziché sforzarsi di riparare le falle della nave nei modi voluti dal Signore, si preferisce mettersi illusoriamente in salvo su barchette improvvisate.
La parola del Padre, però, non lascia adito a dubbi: «Ti promisi ancora e ti prometto che col molto patire dei miei servi riformerò la mia Sposa. […] Ora io invito al pianto te e gli altri miei servi: col vostro pianto, con l’umile e continua orazione, voglio fare misericordia al mondo. Corri per questa strada della verità come morta» (cap. 166; i corsivi sono nostri).
Quest’ultimo comando, così perentorio, sia la consegna definitiva per tutti coloro che intendono sinceramente spendersi non per la propria causa, ma per quella di Gesù Cristo.