"Abbiamo sotto gli occhi una forma di liturgia incentrata sull’uomo, che riflette maggiormente la vita della Chiesa ai nostri giorni, la sua malattia principale, la malattia dell’antropocentrismo. La forma celebrativa della Messa deve di nuovo volgerci al Signore. Spesso leggiamo nei Salmi che il Signore dice: “Volgetevi a Me” (convertimini, revertimini). E all’inizio della Messa tradizionale c’è quello splendido versetto del Salmo (84,7): “O Dio, volgiti verso di noi e Tu ci vivificherai” – Deus tu conversus vivificabis nos. Avremo la vita. Et plebs tua laetabitur in te: “E il Tuo popolo si rallegrerà in Te”.
Allora avremo la gioia, la vera gioia. Avremo la vita soprannaturale di Dio nelle nostre anime e questa è la vera gioia. Dio si volge verso di noi; logicamente questo significa che noi dobbiamo volgerci verso di Lui, per riceverne la vita. E questo lo si deve esprimere anche in maniera visibile durante la liturgia. Non possiamo dire che l’aspetto visibile sia irrilevante e che è sufficiente restare in un circolo chiuso, sostenendo che Dio è in mezzo a noi. Questo contraddice l’intero simbolismo della realtà e del principio dell’Incarnazione, dove Dio ci viene dall'esterno e noi gli andiamo incontro. Siamo un popolo in pellegrinaggio verso Cristo in cielo e in Cristo al Padre."
(Da Mons. Athanasius Schneider con Aurelio Porfiri, LA MESSA CATTOLICA Passi per ristabilire la centralità di Dio nella liturgia)
Obiezioni Alla Nuova Messa Accessibili A Tutti - di Don Curzio Nitoglia
Pubblicato il 18 settembre 2023 nel sito di Don Curzio - link
NDR: link, grassetti ed italic nel testo sono nostri
Prima Parte: Cambiamenti nel rito della Messa
l) Sono abolite le preghiere iniziali ai piedi dell’altare al termine delle quali, tra l’altro, il sacerdote si riconosceva indegno di entrare nel Santo dei Santi per offrire il Sacrificio divino, e invocava l’intercessione dei Santi per essere purificato da ogni peccato. Al loro posto, nella Nuova Messa antropocentrica il “presidente dell’assemblea” si effonde in un preliminare di benvenuto, spesso semplice preludio del suo scatenarsi in una “creatività liturgica” più o meno anarchica.
2) È abolito il doppio Confiteor (il primo era recitato dal solo celebrante, il secondo dal popolo) che prima distingueva il sacerdote dai fedeli, i quali gli si rivolgevano chiamandolo “pater”. Nella “nuova Messa”, in cui il Confiteor è recitato, una sola volta, tutti assieme, per i fedeli il sacerdote non è più “pater” ma un semplice “fratello” alla pari con loro, democraticamente e protestanticamente annegato nell’attuale “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli …”.
3) Le letture bibliche possono essere proclamate anche da semplici laici uomini e donne. Il tutto contro la proibizione risalente alla Chiesa dei primi secoli che aveva sempre riservato tale compito ai soli membri del clero a partire dal Lettorato, che era, appunto, uno degli Ordini minori attraverso i quali si diveniva chierici. Tra i protestanti, invece, non esiste clero, ma solo ministri e ministeri (per questo la “riforma di Paolo VI” ha abolito quelli che erano gli Ordini clericali minori e al loro posto ha istituito, appunto, dei … Ministeri: lettorato e accolitato) e chiunque – uomo o donna – ha accesso all’ambone …
4) Nell’Offertorio dell’antica Messa il sacerdote offriva Cristo come Vittima al Padre in espiazione dei peccati con parole inequivocabili: “Accogli, o Padre Santo … questa Vittima immacolata che io, tuo indegno servo, Ti offro … per i miei innumerevoli peccati … e per tutti i fedeli cristiani […] per la salvezza nella vita eterna”.
Quest’aperta sottolineatura dell’aspetto espiatorio della Messa è sempre stata indigesta per i Protestanti, tanto che le prime parti dell’antica Messa Romana soppresse da Martin Lutero furono proprio le preghiere offertoriali. Adesso, nell’Offertorio della “Nuova Messa” di Paolo VI, il “presidente dell’assemblea” – ex sacerdote – offre solo pane e vino affinché diventino un indeterminato “cibo di vita eterna” e una quanto mai vaga “bevanda di salvezza”. L’idea stessa di Sacrificio espiatorio è accuratamente cancellata.
5) Nella “Messa di Paolo VI” il Canone Romano è, sì, mantenuto, tanto per salvare la faccia, ma in forma mutilata. Gli sono state però affiancate, col chiaro scopo di soppiantarlo gradualmente (oggi, infatti, è tranquillamente morto e sepolto), altre tre nuove “preghiere eucaristiche” (II, III, IV) più aggiornate, frutto della collaborazione di sei “esperti” protestanti, nelle quali il “presidente dell’assemblea” ringrazia Dio “per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale” (Preghiera II), fondendo il suo ruolo e quello dei semplici fedeli in un unico “sacerdozio comune” di luterana memoria; oppure, ancora, si rivolge a Dio lodandolo perché Egli continua “a radunare … un popolo, che (nell’edizione latina è detto ut, cioè “affinché”) da un confine all’altro della terra offra … il sacrificio perfetto” (Preghiera III), dove il popolo – e non più il solo sacerdote – sembra diventare l’elemento determinante affinché avvenga la consacrazione.
Nella seconda fase del piano di protestantizzazione, nel “Messale di Paolo VI” sono state inserite altre quattro “Preghiere eucaristiche” (o meglio, la Preghiera V in quattro varianti: A, B, C, D) che si spingono ancora oltre.
Vi si afferma, infatti, che Cristo “ci raduna per la santa cena” (concetto e terminologia del tutto protestanti), mentre il “presbitero–presidente conciliare” non chiede più che il pane e il vino «diventino» il Corpo e il Sangue di Cristo (come ancora faceva nelle “Preghiere” II, III e IV), ma solo che “Cristo sia presente in mezzo a noi con il suo Corpo e il suo Sangue”. Una semplice e vaga “presenza” di Cristo “in mezzo a noi”. Niente più transustanziazione, né Sacrificio espiatorio. Senza dei quali, però non esiste neppure la Messa.
Il “sacrificio”, di cui si parla successivamente, nella medesima “Preghiera eucaristica”, deve intendersi, dunque, necessariamente solo come “sacrificio di lode” (cosa ancora accettata da Lutero e compagni, i quali invece rifiutavano assolutamente l’idea di sacrificio espiatorio/propiziatorio).
6) Nel nuovo rito di Paolo VI in tutte le “Preghiere eucaristiche” (compresa la prima) è stato fatto scomparire il punto tipografico precedente alle parole della Consacrazione. Nell’antico Messale Romano questo punto fermo (“punto a capo”) obbligava il sacerdote a interrompere la semplice “memoria” degli eventi dell’Ultima Cena, per iniziare invece a “fare”, ossia a rinnovare incruentamente, ma realmente, il divino Sacrificio.
Il presbitero–presidente conciliare si trova ora in presenza di due punti tipografici che finiranno per spingerlo – psicologicamente e logicamente – a continuare solo a far memoria e a pronunziare dunque le formule di Consacrazione con intenzione soprattutto commemorativa (esattamente come nella cosiddetta “santa cena” protestante). Un discorso, questo, che vale ancor più per i giovani sacerdoti, già dottrinalmente deformati in partenza nei “Seminari conciliari”.
7) È abolita la genuflessione del sacerdote immediatamente dopo la Consacrazione di ciascuna delle due Specie, genuflessione con cui egli esprimeva la fede nell’avvenuta transustanziazione a causa delle parole consacratorie appena pronunciate. Cosa assolutamente inaccettabile per i Protestanti, i quali negano il Sacerdozio derivante dal Sacramento dell’Ordine con tutti gli speciali poteri spirituali che ne conseguono.
Ora, invece, nella “Nuova Messa” di Paolo VI il “presidente dell’assemblea” s’inginocchia una sola volta e non immediatamente dopo la consacrazione, bensì solo dopo aver elevato ciascuna delle due Specie per mostrarle ai fedeli presenti; ciò che risulta pienamente accettabile per i Protestanti, per i quali Cristo diviene presente (senza alcuna transustanziazione ma per companazione) sulla “mensa” della “santa cena” esclusivamente grazie alla fede dell’assemblea.
8) L’acclamazione dei fedeli al termine della Consacrazione, pur presa dal Nuovo Testamento, è in quel momento del tutto inopportuna e fuorviante. Introduce, infatti, un ennesimo elemento d’ambiguità presentando un popolo “in attesa della Tua [di Cristo] venuta” proprio mentre Egli, invece, è realmente presente sull’altare come Vittima del Sacrificio espiatorio appena rinnovato.
9) Nell’antico Rito Romano al momento della Comunione i fedeli, umilmente inginocchiati, ripetevano a imitazione del centurione (Mt., VIII, 8): “O Signore, non sono degno che Tu entri nella mia casa, ma dì solo una parola e l’anima mia sarà guarita”, espressione d’esplicita fede nella Presenza reale del Signore sotto le sacre Specie.
Nella “Messa di Paolo VI”, invece, i fedeli si limitano a dire di non esser degni di “partecipare” alla “tua mensa”, espressione del tutto indeterminata, perfettamente accettabile anche in ambiente protestante.
10) Nell’antica Messa Romana l’Eucaristia era ricevuta obbligatoriamente in ginocchio, sulla lingua e usando ogni precauzione per evitare la caduta di frammenti (con l’uso di un piattino).
Nella “Messa di Paolo VI”, invece, secondo la solita strisciante tattica modernista, si cominciava col prevedere “ad experimentum” – termine passepartout per ogni sovvertimento – la semplice possibilità di ricevere la Comunione in piedi. In breve tempo, come da copione, i “presbiteri conciliari” l’hanno resa praticamente obbligatoria per via intimidatoria (uno sprezzante «si alzi!» è il minimo che può aspettarsi oggi l’incauto fedele che osasse rifiutare il diktat presbiteriano). Successivamente, (seconda fase del piano) è stata introdotta ad opera delle varie Conferenze Episcopali la Comunione sulla mano, entusiasticamente propagandata da un “clero conciliare” senza più fede e completamente indifferente di fronte agli inevitabili sacrilegi, volontari o meno, ai quali viene così sottoposto il Corpo di Cristo.
11) La distribuzione della SS.ma Eucaristia non è più riservata al Sacerdote o al Diacono come stabilito fin dall’epoca apostolica, dietro autorizzazione del Vescovo, ora godono della stessa facoltà anche Suore o semplici laici.
12) Nella Messa di Paolo VI il “presidente dell’assemblea” sùbito dopo la Comunione, come logica conclusione della nuova “celebrazione eucaristica” filo/protestante, si siede comodamente, spingendo col suo esempio i fedeli a fare altrettanto (invece che rimanere in ginocchio fino alla riposizione delle sacre Specie nel Tabernacolo, NDR). Del tutto superfluo almanaccare sul perché. È chiaro: riposa dopo la cena comunitaria.
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13) NDR (ci permettiamo di aggiungere un punto a cui siamo particolarmente sensibili come laici) : Il gesto della pace inserito ex-novo subito prima dell' Agnus Dei, gesto che era partito come un sobrio scambio tra vicini di panca prossimi ma diventato ormai una gazzarra incontenibile, spesso accompagnata da lunghi canti come "evenu Shalom" - momento durante il quale persino il celebrante abbandona l'altare per abbracciare i fedeli delle prime panche - rompe completamente il raccoglimento e la tensione dell'offerta di sé e dell' accompagnamento di Nostro Signore al Calvario, che dovrebbero precedere la Santa Comunione.
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Seconda Parte : Cambiamenti nell’architettura liturgica
1) Abolizione sistematica delle balaustre, delimitanti lo spazio sacro del Presbiterio. L’area di quest’ultimo, prima riservata – come sta a indicare il termine stesso – ai sacerdoti e agli altri ministri sacri, diviene ora una passerella per l’esibizione di laici malati di protagonismo. Risultato: abolizione del concetto di “luogo sacro”, desacralizzazione del sacerdote, progressiva equiparazione pratica di clero e laicato.
2) Rivolgimento “verso il popolo” dell’altare per la celebrazione. Il sacerdote non si rivolge più a Dio per offrirgli il divino Sacrificio a favore dei fedeli, bensì verso il popolo nell’ambito di una semplice riunione di preghiera. Da notare che nemmeno in antico l’altare fu mai rivolto “verso il popolo” bensì verso l’Oriente, simbolo di Cristo, come tra l’altro testimonia anche l’orientamento topografico di molte antiche Basiliche. L’altare, anzi la mensa “verso il popolo” è, invece, una creazione tutta personale di Lutero e degli altri pseudo/riformatori del XVI secolo.
3) Progettazione dell’altare, quasi sempre, a forma di mensa, ossia di tavola per una cena. La Messa non è più Sacrificio espiatorio, ma diviene semplice cena fraterna. L’altare, infatti, richiama l’idea del Sacrificio offerto a Dio, la mensa invece richiama quella di un pasto comune nell’ambito di un semplice “memoriale”. Per questo nei “templi” protestanti si usa – là dove esiste – sempre una mensa e mai un altare.
4) Il Tabernacolo, secondo le nuove rubriche della “Messa di Paolo VI”, può essere rimosso dal centro del presbiterio. Recenti e altrettanto subdole disposizioni, come, ad esempio, quelle della Conferenza Episcopale Italiana, hanno perfezionato l’opera, prevedendo un suo graduale spostamento in un’apposita cappella laterale. Per non irritare i Protestanti, è ovvio: così la Presenza permanente di Nostro Signore Gesù Cristo nel Tabernacolo non disturberà più l’«irreversibile cammino ecumenico».
5) Al centro del presbiterio, in genere al posto del Tabernacolo, è situata ora la sede del sacerdote celebrante. L’uomo prende il posto di Dio, mentre la Messa diventa un semplice incontro fraterno tra l’assemblea e il suo “presidente” ossia l’ex sacerdote, ridotto ormai a semplice regista, “animatore liturgico”, perfetto showman della nuova antropocentrica Chiesa conciliare.
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