lunedì 18 settembre 2023

Il Vescovo Crepaldi ad Assisi: i cattolici non possono collaborare con chi sostiene aborto ed eutanasia

Riflessione con cui il vescovo emerito di Trieste, Giampaolo Crepaldi, ha introdotto i lavori del convegno “Le tavole di Assisi” tenutosi ad Assisi il 9 e 10 settembre 2023.
 

Io credo che dobbiamo fare questo sforzo di illuminare di verità e di speranza l'azione dei cattolici in questa nostra società italiana. Con una certezza interiore: che la fede nella azione di Cristo Salvatore, unitamente al corretto uso della nostra ragione, che deriva da Cristo Creatore,  non hanno perso la capacità di illuminare e animare in senso pieno la nostra azione nella società. Dobbiamo essere convinti di questo: se non abbiamo questa convinzione, non andiamo da nessuna parte.

Si pensa oggi che l'azione del cristiano nella vita pubblica possa essere solo indiretta, ossia che debba passare attraverso  gli strumenti e le vie della laicità oppure che debba adoperare, senza trascenderlo, il criterio della persona, il cosiddetto personalismo.
Il cristiano, si pensa, per quanto riguarda la costruzione della società nelle sue strutture politiche e nelle sue leggi, dovrebbe far fare ad altri, e tutt'al più, animare la coscienza di tutti.
Constatiamo oggi le difficoltà e i pericoli di una simile impostazione: il cristianesimo si riduce ad agenzia di animazione civica, l'agire morale è  considerato autosufficiente, possibile senza la luce e il sostegno religioso; la fede si riduce a buone pratiche sociali che alla fine è sempre il potere di turno a stabilire.

Io credo invece, ed è  la proposta che vi faccio, che bisogna recuperare la convinzione che il cristianesimo e la Chiesa intervengono direttamente nella vita sociale, non per sostituirsi ad altre competenze distinte e legittime, ma per orientare l’intera vita pubblica verso la sua vera finalità ultima, che è quella trascendenteBisogna recuperare l’idea, insegnataci anche da Benedetto XVI, che Quaerere Deum, cercare Dio, ha dirette conseguenze sociali in quanto non è possibile dissodare le terre incolte della vita sociale senza aver prima dissodato le nostre anime.

Alla accumulazione culturale va accompagnata l'accumulazione spirituale, altrimenti rischia d'essere inefficace o sterile. Questa è una questione molto importante: in fin dei conti i veri profeti e quelli che sono decisivi alla fine sono i santi.

Concediamo troppo al naturalismo e pensiamo che il mondo non abbia bisogno del Cristo della fede ma eventualmente solo del Cristo della ragione, per poi scendere progressivamente anche da quel livello ed arrivare al Cristo dell’etica mondialista e quindi al Cristo della coscienza individuale. 
Con questo esito, il discorso del cristianesimo nella società è  finito.
O il cristianesimo e la Chiesa hanno qualcosa di proprio e di unico, insisto su questi due aggettivi, oppure finiscono ad essere una delle tante opinioni che vociferano nel baccano quotidiano impropriamente elevato a pubblico dibattito.
Ma se invece il cristianesimo e la Chiesa hanno qualcosa da dire nella pubblica piazza di proprio e di unico, ne deriva che i cattolici non possono collaborare con tutti, perché non possono darsi da fare indifferentemente per tutto. Scriveva Benedetto XVI che “Cristo accoglie tutti ma non accoglie tutto”. 

Sono consapevole di evidenziare un aspetto delicato e controverso nella Chiesa di oggi… 
A me sembra però  che sia ancora valido quanto stabilito da Benedetto XVI nel suo Motu proprio  sul servizio della carità  dell' 11 novembre 2012, dato che l'impegno pubblico della Chiesa anche attraverso i laici è espressione della carità, la quale non può essere però in contrasto con la liturgia e con la dottrina. 

Il documento riguardava le attività di associazioni legate giuridicamente alla Chiesa ma anche di realtà autonome giuridicamente ma che si avvalgono del titolo di cattoliche, ma anche dei singoli fedeli impegnati  nella vita pubblica. In essa si dice che non è lecito collaborare con altre realtà sociali  le cui finalità  sono in contrasto con i principi cristiani, né è  possibile accettare finanziamenti; e anche si diceva che il vescovo deve vegliare su tutto questo.
Non era ritenuto possibile collaborare nella lotta all'Aids con società  che proponevano la contraccezione; così  oggi non dobbiamo ritenere opportuno  collaborare con associazioni che pur avendo alcuni obiettivi positivi nella loro agenda, però  lottano per promuovere l'aborto e il suicidio assistito.
Non basta concordare nominalmente sulla questione ambientale per collaborare con tutti quanti se ne occupano e vi si impegnano. Si rimane negativamente colpiti, per fare un esempio, da quante realtà cattoliche facciano oggi propria, senza alcun discernimento, l’agenda ONU per il 2030...
Ricordo che il cardinal Martini aveva richiamato nel 2007 i cattolici italiani a non collaborare e a non finanziare più  Amnesty International dopo la sua dichiarazione di voler promuovere l'aborto.

Se prendiamo per esempio il campo della morale, vediamo che oggi si tende a dire che l’intelletto non può pretendere di vedere con la propria luce la “forma” di una azione, così come non può vedere la “forma” delle cose. La trascuratezza degli insegnamenti della Fides et ratio e della Veritatis splendor ha conseguenze piuttosto negative. Cosa sia la forma specifica dell’adulterio, per esempio, oggi tende a non essere più chiaro, né la questione della conoscibilità certa degli assoluti morali (negativi) è ritenuta importante.  Si ritiene che queste categorie conoscitive siano astratte e impediscano di entrare nel vissuto delle persone. Nel caso dell'adulterio si dice che esso non esiste, ma che esistono solo le singole persone, che dopo il divorzio si sono riposate, o comunque unite more uxorio; si dice che ogni singola situazione andrebbe considerata in se stessa, e non alla luce di una normativa ritenuta "teorica" e astratta.
Si dice che bisognerebbe entrare nella vita delle persone e includere senza giudicare e senza valutare, solamente  per accompagnarle.

Certamente l'azione pastorale deve incontrare l'altro e gli altri, ma se ciò  non viene fatto alla luce della verità, non si tratta mai di un vero incontro.

Trattare caso per caso conduce al  Nominalismo, una filosofia compatibile con altre confessioni  cristiane, ma non con quella cattolica.
Il nominalismo finisce per dirci che la realtà  non ha una sua strutturazione veritativa interna, non esprime nessuna sapienza creatrice e non contiene nessun ordine finalistico.
Nominalismo e agnosticismo ci dicono di agire senza prima pensare. Oggi sono molto presenti tra i cattolici e gli uomini di Chiesa, talvolta senza la necessaria consapevolezza, e li rende disponibili alle avventure anche le più strampalate. Evidenzia anche una certa “liquidità” dell’essere cattolici nella società, in un attivismo magari frenetico ma improduttivo. L’”agnosticismo cattolico” è alla base dell’oblio dei “principi non negoziabili”, di cui ci parlava Benedetto XVI, che parlavano di vita, famiglia, libertà di educazione, ponevano dei paletti alla politica; questo oblio assolutizza la politica permettendole di fare tutto e, nello stesso temo, la svilisce, perché la rende cieca; e a una politica del genere la dottrina sociale della Chiesa non ha più  nulla da dire.

La mia impressione da vescovo e da osservatore, meglio: da osservatore come vescovo, è che il cerchio si stia stringendo e che gli spazi di libertà per il cattolico siano sempre più esigui fino a scomparire. Man mano che la secolarizzazione procede a grandi passi, aiutata nei suoi effetti distruttivi dalla nuova mondializzazione del nichilismo illuminato, la pattuglia dei cattolici impegnati nel sociale espressamente e senza mezzi termini alla luce della Dottrina sociale della Chiesa intesa come annuncio di Cristo nelle realtà temporali e non come semplice umanesimo vagamente solidarista e fraterno, si riduce di numero. Siamo di fronte ad una convergenza operativa molto coerente di molti centri di potere. Nessun ambito ne rimane esente.
Non c'è una precisa cabina di regia, ma tutti questi soggetti parlano la stessa lingua, tutti mirano a una società  mondialista fondata sulla tecnologia e su una morale minimamente e ambiguamente umanistica post veritativa, post naturale  e, naturalmente, post cristiana.
L'unità di queste forze è data dalla loro cultura comune dell'illuminismo post moderno.

La domanda a questo punto si fa seria: a questa pressione coerente e coesa che vuole la distruzione della natura e della soprannatura, i cattolici, laici e uomini di Chiesa, si adeguano o tentano di opporsi? Per opporvisi servono le idee, oltre che le mani, con il che torniamo a quanto ripetutamente detto sopra: il cristianesimo e la Chiesa hanno qualcosa di proprio e di unico da dire al mondo. Se non lo fanno, o se lo fanno non come dovrebbero farlo, non rimarranno neutrali in un mondo a sé, ma saranno penetrati da altre idee che con le proprie non hanno niente a che fare.

Io sono convinto che negare il conflitto è  il modo migliore per perderlo.
A questa riappropriazione di ciò  che la Chiesa ha da dire di proprio e di unico, è  legato anche il destino dell'unità tra di noi: se recupereremo solo alcuni suoi spezzoni, se non andremo fino in fondo, se avremo paura di non essere più  graditi e interloquiti, allora rimarremo divisi, e sappiamo che "omne regnum in se ipse divisum  desolabitur".