domenica 24 dicembre 2023

Preghiera nella notte di Natale

PREGHIERA NELLA NOTTE DI NATALE

O Gesù, Redentore del mondo,
atteso dalle genti e nostro salvatore,
vieni presto e non tardare
a sanare le ferite del cuore umano.

Vieni, Signore della vita,
a portare gioia e felicità,
nelle nostre vite,
segnate da tante malattie
del corpo e dello spirito,
che solo Tu puoi guarire,
con la forza risanatrice
della tua parola di vita.

Vieni in questa notte,
attesa da tutti i popoli,
a portare luce e conforto
a chi brancola nelle tenebre del dubbio,
del peccato e della tristezza dell’anima. 

Signore, Gesù, fa che nessuno al mondo possa essere triste per mancanza d’amore,
del Tuo amore, del nostro amore,
dell’amore dei propri cari
e di quanti si sono impegnati ad amare.

Signore vieni nella case e nelle famiglie
delle nostre città, dei nostri paesi,
dei nostri borghi e nelle periferie
più dimenticate di questo bellissimo
mondo che Tu hai creato.

Su tutta la terra,
come nella notte santa di Betlemme,
rifulga la stella cometa
della Luce divina
che porti con Te, Gesù Bambino.

Fa che in ogni mente ed in ogni cuore
si accenda potente e caloroso
il fuoco dell’amore, della misericordia
e del perdono,
il fuoco ardente di quella carità
e solidarietà,
che continui a irradiare da Betlemme,
a tutta l’umanità,
a partire da quella notte santa,
in cui Ti sei fatto Bambino,
o Dio d’ amore infinito.

Amen.

p. Antonio Rungi

 


 

mercoledì 13 dicembre 2023

Una religione vale un'altra? Perché ho combattuto il liberalismo in religione (J.H. Newman)

«Ho dovuto passare attraverso molte prove, ma avvicinandomi ormai alla fine di tutto, mi sentivo in pace. Tuttavia non è forse possibile che io sia vissuto tanti anni proprio per vedere questo giorno? 
Nella mia lunga vita ho commesso molti sbagli. Non ho nulla di quella sublime perfezione che si trova negli scritti dei santi, cioè l’assoluta mancanza di errori. 
Ma ciò che credo di poter dire riguardo tutto ciò che ho scritto è questo: la mia retta intenzione, l’assenza di scopi personali, il senso dell’obbedien­za, la disponibilità ad essere corretto, il timore di sbagliare, il desiderio di servire la santa Chiesa, e, solo per misericordia divina, un certo successo. […] 
E mi compiaccio di poter aggiungere che fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. 
 

Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimè! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. 
 
Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. 
È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. 
Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. 
La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. 
La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. 
Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esi­genza. 
Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare? Indagare sulla religione di un altro non è meno indiscreto che indagare sulle sue risorse economiche o sulla sua vita familiare. La religione non è affatto un collante della società. 
 
[…] Ora questa struttura civile della società, che è stata creazione del cristianesimo, sta rigettando il cristianesimo. […] per la fine del secolo, se Dio non interviene, sarà del tutto dimenticato. 
Finora si pensava che bastasse la religione con le sue sanzioni soprannaturali ad assicurare alla nostra popolazione la legge e l’ordine; ora filosofi e politici tendono a risolvere questo problema senza l’aiuto del cristianesimo. Al posto dell’autorità e dell’inse­gnamento della Chiesa, essi sostengono innanzitutto un’educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio. Poi si forniscono i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l’onestà, ecc.; l’esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni. Quanto alla religione, essa è un lusso privato, che uno può permettersi, se vuole, ma che ovviamente deve pagare, e che non può né imporre agli altri né infastidirli praticandola lui stesso.

[…] non dimentichiamo che nel pensiero liberale c’è molto di buono e di vero; basta citare, ad esempio, i principi di giustizia, onestà, sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono tra i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società. È solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c’è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita. E, di fatto, esso sta ampiamente raggiungendo i suoi scopi, attirando nei propri ranghi moltissimi uomini capaci, seri ed onesti, anziani stimati, dotati di lunga esperienza, e giovani di belle speranze. 

Ecco come stanno le cose in Inghilterra, ed è un bene che tutti ce ne rendiamo conto; ma non si pensi assolutamente che io ne sia spaventato. Certo ne sono dispiaciuto, perché penso possa nuocere a molte anime, ma non temo affatto che abbia la capacità di impedire la vittoria della Parola di Dio, della santa Chiesa, del nostro Re Onnipotente, il Leone della tribù di Giuda, il Fedele e il Verace, e del suo Vicario in terra. Troppe volte ormai il cristianesimo si è trovato in quello che sembrava essere un pericolo mortale; perché ora dobbiamo spaventarci di fronte a questa nuova prova. Questo è assolutamente certo; ciò che invece è incerto, e in queste grandi sfide solitamente lo è, e rappresenta solitamente una grande sorpresa per tutti, è il modo in cui di volta in volta la Provvidenza protegge e salva i suoi eletti. A volte il nemico si trasforma in amico, a volte viene spogliato della sua virulenza e aggressività, a volte cade a pezzi da solo, a volte infierisce quanto basta, a nostro vantaggio, poi scompare. Normalmente la Chiesa non deve far altro che continuare a fare ciò che deve fare, nella fiducia e nella pace, stare tranquilla e attendere la salvezza di Dio.» 


J. H. Newman, Una trappola mortale su tutta la terra, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 9-4-2010.

lunedì 13 novembre 2023

Si può pregare l’angelo custode di un’altra persona, anche a distanza affinché la ispiri? (dal sito Amici Domenicani)

Risponde Padre Angelo Bellon

[...]

2. San Tommaso dice che ogni uomo ha il suo Angelo custode e ne porta la motivazione: “Finché vive in questo mondo, l’uomo si trova come su una strada che deve condurlo alla patria. Lungo la strada, molti pericoli incombono su di lui, sia dall’interno che dall’esterno, come dice il Salmista: “Sulla strada per cui cammino, hanno nascosto dei lacci a mio danno”. Quindi, come si dà una scorta alle persone che devono transitare per strade malsicure, così si dà un angelo custode all’uomo, finché dura il suo stato di viatore. Quando invece sarà giunto al termine della strada, allora l’uomo non avrà più un angelo custode; ma avrà in cielo un angelo conregnante, o nell’inferno un demonio tormentatore” (Somma teologica, 113, 4).

3. Dice anche che l’Angelo gli viene affidato fin dalla sua nascita (Ib., 5). Finché è nel grembo materno “l’angelo che custodisce la madre, custodisce pure il bambino chiuso nel suo seno. Alla nascita invece, quando esso si separa dalla madre, gli viene assegnato un angelo custode particolare, come insegna S. Girolamo” (Ib., ad 3).

[...]

5. San Bernardo dice che nei confronti dell’Angelo custode dobbiamo avere tre atteggiamenti.
Il primo è di riverenza per la sua presenza (Reverentia pro presentia). Questo pensiero deve indurci a non fare davanti a lui quello che non oseremmo fare davanti ad un grande personaggio di questo mondo.
Il secondo è la devozione o affetto per la benevolenza (Devotio pro benevolentia) con cui incessantemente ci aiuta.
Il terzo è la fiducia per la custodia (Fiducia pro custodia) che esercita su di noi. È necessario quindi invocarlo, ascoltare le sue ispirazioni e ringraziarlo per i benefici con cui ci assiste.

6. È ottima cosa anche pregare per l’Angelo custode degli altri.



San Francesco di Sales che ha convertito l’intera regione del Chiablese alla fede cattolica (precedentemente erano diventati tutti calvinisti) per il buon frutto della sua predicazione si raccomandava all’Angelo custode di quella regione. Quando doveva predicare, prima diceva forte un’Ave Maria, e poi sottovoce un Angelo d Dio sia per il Chiablese sia per i singoli individui perché l’ascoltassero e ne traessero frutto.

[...]

7. [...] A chi temeva di disturbarlo, Padre Pio diceva: “Puoi mandare il tuo angelo custode in qualsiasi momento del giorno o della notte perché sono sempre felice di accoglierlo”.

Vedi la versione completa nel sito Amici Domenicani

In audiolettura, su youtube:



mercoledì 8 novembre 2023

Avevo due rosari

I due rosari
  
Avevo due rosari
d’argento, con la piccola medaglia
della Beata Vergine di Lourdes.
Uno a te lo donai perchè ti fosse
compagno nelle notti in cui più il male
t’era martirio, e con lo scorrer dolce
dei chicchi fra le dita, nel pensiero
di Dio placasse in te spirito e carne,
fratello.

All’un de’ polsi tu volesti
quel rosario scendendo al tuo riposo
primo ed estremo: ché altra sosta il mondo,
fuor della tomba, aver non ti concesse.
Ed io sull’altro a me rimasto  sgrano
a sera le solinghe Avemarie
te ripensando e le procelle e il santo
vero amor di tua vita, amor di patria
scritto col sangue; e il tuo lungo patire
e il tuo morir, su di te chiamando
la luce eterna.

Quando anch’io sarò
dentro la terra con le mani giunte
sul petto, all’un de’ polsi avrò un rosario:
questo. E gran pace, finalmente, in cuore,
fratello.


Ada Negri

 


 

 

 

giovedì 2 novembre 2023

Dal diario di Cleonice Morcaldi, figlia spirituale di Padre Pio

 

Dal diario spirituale di Cleonice Morcaldi
 

Nonostante l’estrema povertà in cui cadde la mia famiglia dopo la morte del mio povero babbo, continuai gli studi a Foggia. Abitavo in una stanzuccia, presso una famiglia povera. Cucinavo da me, quasi sempre riso. La mattina senza colazione. Non assaggiai mai un po’ di latte o una tazzina di caffè. A scuola portavo un pezzo di pane solo. La sera quasi sempre un cardo, quella verdura che ha le foglie spinose. Neppure un pezzo di formaggio arrivavo a comprare con i pochi soldi che avevo. Oggi ancora mi domando: come potevo vivere e studiare con un nutrimento da eremiti?
In quella casa, in più, mancava la luce. Studiavo con le candele che mi mandava lo zio prete. Questo stato di povertà mi accompagnò fino a quando, finiti gli studi, ebbi un posto nelle scuole elementari. A gloria di Dio devo dire che, durante i sei anni che stetti a Foggia, non ebbi né una febbre, né un dolor di testa, né mossi un lamento con qualcuno, né la tristezza o l’abbattimento oppressero mai il mio cuore.
Ero piuttosto allegra e piena di buona volontà, per l’ardente desiderio di aiutare la mia povera famiglia.
Durante la ricreazione, mentre le mie compagne si preparavano a consumare i loro freschi panini imbottiti di salame, io mi appartavo per rosicchiare il pezzo di pane duro e nudo. Non ricordo di avere avuto il desiderio di quelle belle colazioni. Ricordo invece che sentivo vergogna della mia povertà e cercavo di nasconderla.
So che non era virtù ma amor proprio. Non ancora frequentavo la scuola del Padre.
Soffrivo molto la lontananza della mamma. Non andavo in famiglia né a Natale né a Pasqua. La rivedevo solo alla fine dell’anno scolastico.
Fui promossa sempre senza esami, con grande gioia della mamma. Un anno mi assegnarono la borsa di studio. Durante le vacanze il mio divertimento era di cominciare a studiare il programma dell’anno seguente. Di che cosa non è capace la volontà quando «fortissimamente vuole»! E questo sia detto nel bene, come nel male.
A chi io devo tutta l’assistenza e gli aiuti? Non forse a Dio per le continue preghiere del Padre al quale la mamma mi raccomandava? Povera mamma, non aveva altro rifugio su questa terra. Si confessava dal Padre che la confortava tanto e le parlava di Dio Provvidenza.
Mi raccontava spesso che un giorno non ne poteva più, era oppressa da tante tribolazioni e infermità. Andò a piedi al convento per avere una parola di conforto. Ma prima di lei c’era tanta gente in corridoio. Stava per perdere ogni speranza di riuscita e tornarsene a casa, quando vide il Padre sulla soglia della clausura. La gente gli corse vicino.
Il Padre, stendendo il braccio verso mia madre, disse: «Eh! tu... vieni qua!». Tutti si voltarono indietro per vedere questa fortunata e fecero spazio. Dopo che il Padre ebbe benedetto tutti, mia madre lo seguì. Il Padre si sedette in sacrestia e disse: «Beh, che vuoi?». La trattenne a lungo. Se ne tornò a casa piena di conforto e di letizia. 

La prima lettera inviata al Padre 

Nell’ultimo anno di studi, l’anno in cui dovevo diplomarmi, fui presa da grande angustia e abbattimento. Un po’ per la preoccupazione di ottenere buoni voti onde aver diritto al posto; un po’ perché la coda è sempre la più difficile da scorticarsi; e poi, per la nuova legge del passaggio col sette. La materia che mi dava da pensare era la pedagogia scritta. Infatti, al primo tema che svolsi a casa con l’aiuto di una brava insegnante, meritai appena il sei. Cosa potevo sperare svolgendolo in classe, da sola?
Senza perdere tempo chiesi aiuto al Padre, per iscritto. Fu questa la prima lettera che gli mandai. Quale non fu la mia sorpresa e la mia gioia nel ricevere un bigliettino del Padre, scritto da lui; in fondo c’era una piccola macchia di sangue. Le parole erano queste:
«Anima del caro Dio. Non temere: studia con amore e avrai a suo tempo la dovuta ricompensa. Con i professori ce la vedremo io e Dio.
Ti benedico con effusione pari al bisogno e al desiderio di vederti santa
». P, Pio Capp.no.
Non finivo di esclamare durante il giorno: «Un santo che scrive a me! E che voglio più? 
Se la vedrà lui con i professori, altro che raccomandazioni umane
». Ripresi coraggio e 
dissi a me stessa: «Tu fai tutto quello che puoi, e sii pur certa che il resto lo farà il caro 
Padre assieme a Gesù. C’è al mondo un aiuto più sicuro e potente?
».
Ci vuole un grosso volume per narrare tutto quello che ha fatto il Padre per aiutarmi 
in modo miracoloso (e non esagero) presso tutti i professori. Miracoli? Sì, e di quelli grossi. Accenno solo alla pedagogia che era il mio terrore, la mia preoccupazione, la cosa 
più difficile.

Dopo parecchi mesi, sia la professoressa che il direttore, in pubblico e in privato, mi fecero le congratulazioni per i grandi progressi fatti in poco tempo in italiano e pedagogia scritta. Mi dettero un bell’otto in media. La professoressa mi disse pure che meritavo di più, ma che non era consentito darlo in tale materia.
Questi progressi lei li attribuiva alla lettura continua di buoni libri di pedagogia. Io li 
attribuivo al fiume di idee che Padre Pio mi metteva nella mente. Lui dettava e io scrivevo. Tanto è vero che, quando a casa leggevo la brutta copia del tema svolto in classe, restavo meravigliata: «Ma sono idee mie queste?». Mi dispiace non poter raccontare ciò che avvenne nelle altre materie per mancanza di tempo.
Divenni oggetto di lode da parte di tutti i professori; oggetto di ammirazione da parte 
della scolaresca. Mentre prima nessuno si dava pensiero di me, dopo mi circondavano 
di attenzioni e cure.
Mi offrivano pezzi di cioccolato e altri dolcini.
Il mio diploma era brillante. Ottimi voti in tutte le materie. Ne parlò pure il giornale provinciale. Solo Padre Pio sapeva fare queste cose! Solo la sua mano piagata sapeva toccare la mente e il cuore degli uomini e operare meraviglie e miracoli. 

Un giorno mi mandò un’immaginetta con queste parole scritte da lui (l’immaginetta rappresentava il Cuore di Gesù):
«Guarda, egli è l’Onnipotente... ma la sua onnipotenza è umile ancella del suo Amore».
Compresi che tutti gli attributi di Dio sono a servizio del suo Amore. Gli aiuti potenti che Dio, per mezzo del Padre, mi dette in quest’ultimo anno, hanno del meraviglioso. Io li chiamo «scherzi del potente suo Amore». Nel mio caso posso dire che Dio si compiace di sollevare e innalzare i piccoli e i poveri.
Sedevo in un cantuccio dell’aula, tutta rannicchiata, con lo stomaco vuoto; con il  vestito poco decente, con le calze grossolane che la povera mamma lavorava a mano; 
con le scarpe rotte, quieta, quasi muta, perché nessuno si accorgesse di me e scoprisse la mia povertà e miseria. Ma quando il Signore si compiacque di porgermi la sua destra, mi cavò fuori dal cantuccio e mostrò a tutti quello che lui fa a chi confida in lui.
Grande fu la gioia della mamma al ritorno di questa figliuola che aveva fatto parlare di sé anche i giornali. Lei si compiaceva di avere una figlia così brava. Parlava di me alle amiche che venivano a salutarmi. Parenti e amici si congratulavano con lei e con me. 
C’era da montare in superbia. Ma non a me andavano le lodi. Tutto aveva fatto colui che  mi voleva per sé.

Andai dal Padre per ringraziarlo. Mi rispose:
«Ringraziamo Gesù!».
Poi mi disse:
«Così piccola d’anni e di statura vuoi fare la maestra? Ti confonderanno con le  scolarette».
Io sorrisi e gli raccomandai di pregare, perché presto mi affidassero una scuola onde 
aiutare la mia povera famiglia. Me lo promise.

Dopo ansie e sospiri della mia povera mamma, arriva la nomina mia, per le scuole di campagna, come primo passo. Giorno di grande gioia fu per tutta la famiglia e per i parenti che si erano interessati. Presi il foglio della nomina e corsi in convento per ringraziare il Padre. Lo trovai in sacrestia; stava per salire in clausura. Gli bacio la mano e gli dico: «Ecco, Padre, la nomina; ho avuto il posto; grazie delle preghiere, ringraziatelo voi Gesù per me».
Il Padre prese il foglio dalle mie mani, lesse; e poi, senza tante parole, mi disse:
«Va, va, rifiuta questo posto. E che? Vorresti andare in quella campagna ove non passa neppure una corriera? Rifiuta, il Signore provvederà».
Mi mise la mano sulla testa e andò via. Restai come Dio sa! Non sapevo cosa dire, cosa pensare, cosa fare. Né mi decidevo a tornare in famiglia con questa risposta. Una vera doccia fredda! Che dirà la mamma? E i parenti? Dopo tanto pregare, dopo tante raccomandazioni e sacrifici. 


Tempesta in famiglia  


Piena di tristezza e di incertezze, tornai a casa, supplicando la Vergine di venire in mio soccorso. Cosa devo fare, mio Dio? Come affrontare questa tempesta? Come comportarmi? Al Padre voglio obbedire ad ogni costo, a costo di qualunque sacrificio dell’anima e del corpo, e alla mamma non vorrei dare altri dolori. Troppo ha sofferto. 
Solo tu, o mio Dio, puoi conciliare cose opposte e contrarie.
Arrivai a casa. Non avevo la forza di salire le scale. Sentivo il vociare allegro della  mamma e dei parenti che contrastava con l’afflizione del mio animo. Non descrivo la reazione di tutti alla risposta del Padre, né la tempesta che si scatenò su di me in seguito alla mia ferma decisione di ubbidire al Padre. Per finirla, me ne andai in soffitta, sul tetto, che fu sempre il mio rifugio. Un dolore bucava il mio cuore: la grande afflizione della mamma. Aprii il Vangelo e lessi: «Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di 
me»
.
Mi fortificai nel proposito di seguire il consiglio del Padre. Guardai il convento che dal tetto vedevo benissimo, e ringraziai l’Altissimo di averci mandato il Padre. Allora più che mai mi apparve grande: più che profeta, più che santo, l’amico di Dio e l’amico nostro; Gesù stesso, vestito da frate, che è tornato a vivere in mezzo ai figliuoli degli uomini. Sei grande, o Signore, mio rifugio e mio conforto, mio asilo e mia fortezza.
Quando il Provveditore agli Studi passò la mia nomina a un’altra diplomata del mio paese, i miei si indispettirono di più contro di me. La mia arma era il silenzio. Non mi guardavano, né mi rivolgevano parola. Li compativo. Però la loro condotta verso di me cambiò quando seppero dei guai che capitarono a quell’incauta signorina che aveva accettato il posto da me rifiutato. Compresero allora chi era il Padre! Ma non basta.
Il direttore delle scuole mi affidò la scuola serale per adulti, in un’aula attigua alla mia casa. I miei, quasi pentiti e umiliati, cominciarono a parlarmi e a scusarsi del loro comportamento verso di me. Sei grande, o Signore! Sei buono! Ti ho invocato nel giorno della tribolazione, e subito mi hai aiutato! Sei stato sempre il mio rifugio e il mio
soccorso.
Si è forse limitato a questo l’aiuto del Padre? Egli mi disse:
«Ricordati che chi obbedisce non fallisce, chi obbedisce canta vittoria».


La potente amicizia delle anime sante

La potente amicizia delle anime sante

di MAURA ROAN MCKEEGAN

Ieri sono salita in macchina e sono andata in uno dei miei posti preferiti sulla terra: un vecchio cimitero.
Questo cimitero, pieno della “pace che supera ogni intelligenza” (Fil 4,7), si trovava nel quartiere dove la mia famiglia ha vissuto per vent’anni. Camminando lì quasi ogni giorno, avevo trovato un conforto che toccava l'eternità. Speravo di non dovermi mai allontanare troppo da questo luogo dove il paradiso sembrava così vicino.


Ma all’inizio di quest’anno ci siamo trasferiti una città lontana e all’improvviso non mi è bastato più girare l’angolo per visitare il cimitero. Sapevo che allontanarsi da tutto ciò sarebbe stato difficile, ma si è rivelato più straziante di quanto mi aspettassi.
Ieri, mentre svoltavo nel vialetto e superavo il cancello di pietra, il vecchio scenario familiare mi sopraffaceva. Il sentiero alberato che avevo percorso migliaia di volte era pieno di colori autunnali. Gli aranci e gli ori erano più brillanti che mai nel sole del tardo pomeriggio.
Ho parcheggiato e sono scesa dall'auto, respirando l'aria autunnale e sentendomi come se fossi tornata a casa. Le foglie fresche frusciavano sotto i miei piedi mentre il vento autunnale sussurrava attraverso il tranquillo sentiero tortuoso.
Con tutti i miei sensi vivi di gratitudine, mi sono guardata intorno, ho fatto il segno della croce e ho iniziato a pregare mentre andavo a visitare le tombe dei miei amati amici.
Perché anche se non conoscevo queste persone quando vivevano sulla terra, ogni tomba segnava l'esistenza di un'anima eterna, e nel corso degli anni in cui ero venuta in questo luogo, queste anime erano diventate mie amiche.
Questa era stata a lungo la nostra routine, e dopo tutti questi anni lo era ancora: iniziavo la nostra visita pregando per loro, e poi chiedevo loro di pregare per me.
Perché qui, in questo cimitero, la preghiera è il modo in cui è iniziata la nostra amicizia; la preghiera è così che è cresciuta; e la preghiera è il modo in cui ha colmato gli anni, le generazioni, e ora le miglia tra me e queste care anime.

Possiamo pregare per la felice morte anche del bisnonno di qualcun altro – o della zia, o della sorella, o del figlio. Non deve essere una preghiera lunga. Anche una breve preghiera, come questa variazione della Preghiera di Gesù, porta grazie indicibili alle anime bisognose:

Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà delle anime del Purgatorio.

E nel disegno misericordioso di reciprocità del cielo, quando preghiamo per i morti, possiamo chiedere loro di pregare anche per noi. Il Catechismo (958) ci dice che le nostre preghiere per i defunti sono «capaci non solo di aiutarli, ma anche di rendere efficace la loro intercessione per noi».
Le nostre preghiere per le anime sono una chiave che apre la porta alle loro preghiere per noi. E quanto è potente la loro intercessione!

Il servo di Dio don Dolindo Ruotolo , che per molti anni ha sopportato con pazienza e umiltà le ingiuste accuse delle autorità ecclesiastiche, una volta scherzò con un amico prete dicendo che si sarebbe “rivolto al tribunale” per essere scagionato.
Tra me e te”, scrisse in una lettera al suo amico, “ti farò sapere chi è l’avvocato principale, così come il consiglio di difesa, il tribunale e come è impostato il caso. L'avvocato principale è Maria Santissima. Nel collegio dei procuratori ci sono san Giuseppe, san Gioacchino e sant'Anna, insieme agli angeli di Dio, san Michele e san Gabriele, i santi di Dio, e le anime del Purgatorio, soprattutto quelle dei sacerdoti...
"Che squadra di difesa spettacolare!"


Non so perché sentiamo così raramente le preghiere delle anime del Purgatorio invocate accanto ai santi, ma l'immaginario caso giudiziario di don Dolindo ci ricorda la potenza della loro intercessione… soprattutto delle anime dei sacerdoti!
Ieri, mentre attraversavo il cimitero, ho incrociato un uomo che era in ginocchio davanti a una tomba, e sarchiava amorevolmente l'erba attorno alla lapide, con le attrezzature da giardinaggio sparse tutt'intorno a lui. Nelle vicinanze, altre tombe erano decorate con fiori, zucche, croci, ghirlande o girandole colorate che giravano nel vento.
Quanto preziose erano queste anime per i loro cari sulla terra che visitarono questo cimitero e cercarono di rendere le loro tombe più belle!
Eppure altre tombe non avevano nessuno che portasse fiori o piantasse girandole, e ho riflettuto su quanto questa immagine terrena rifletta la vita eterna.
Perché ci sono alcune anime che hanno persone sulla terra che pregano per loro, che coltivano la loro terra celeste con il dono delle loro suppliche. Ma ci sono altre anime che non hanno nessuno che si prenda cura del loro terreno eterno e hanno bisogno del nostro aiuto.
Nella sua infinita bontà, Dio ci fa ogni anno un dono speciale da offrire alle anime sante che si trovano alla presenza di queste tombe. Ai primi di novembre i fedeli possono ottenere le indulgenze plenarie per le anime del purgatorio visitando un cimitero e pregando lì per i defunti.
 

Per ottenere l'indulgenza, il cattolico in stato di grazia deve avere l'intenzione di ottenerla e soddisfare le seguenti condizioni: 
Dall'1 all'8 novembre, visita un cimitero e prega lì per i morti, anche se solo mentalmente
Fare una confessione sacramentale (una sola confessione, entro circa 20 giorni prima o dopo, sarà sufficiente per tutte le indulgenze che una persona ottiene in quel periodo di tempo) 
Ricevere la Santa Comunione (una volta per ogni indulgenza ottenuta)
Recitare almeno un Padre Nostro e un'Ave Maria per il Santo Padre 
Sii libero dall'attaccamento ad ogni peccato, anche veniale
Ogni giorno si può ottenere una indulgenza plenaria. L'indulgenza è parziale se le condizioni sono parzialmente soddisfatte.
Il 2 novembre è disponibile anche l'indulgenza per le anime del purgatorio, per chi visita una chiesa o un oratorio e recita un Padre Nostro e un Credo.

Una nota sull'ultima condizione: A volte le persone si chiedono se sia possibile distaccarsi completamente dal peccato veniale. Credo che la risposta a questa domanda si trovi in ​​Marco 10, quando Gesù dice ai suoi discepoli quanto sia difficile entrare nel regno di Dio, e loro si chiedono chi poi potrà essere salvato.
Per gli uomini è impossibile, ma non per Dio”, dice loro Gesù. “Tutto è possibile a Dio”.
Anche se fosse impossibile per noi staccarci completamente dal peccato, non è impossibile per Dio. Come ci ricorda Matteo 7, “chiedete e vi sarà dato”; poiché il nostro Padre nei cieli dà “cose buone a coloro che glielo chiedono”. Chiediamogli, allora, la grazia di essere distaccati da ogni peccato. La mia amica Suzie suggerisce di aggiungere questa piccola preghiera alle preghiere per l'indulgenza:  Caro Spirito Santo, se non sono distaccata da ogni peccato, ti prego rendimi distaccato adesso, affinché possa ottenere questa indulgenza plenaria che mia Madre, la Chiesa, mi offre a me, suo figlio.
Dio è dalla nostra parte. Egli vuole che possiamo ottenere questa indulgenza come atto di carità verso le anime del Purgatorio, e ci aiuterà a soddisfare le condizioni se solo lo chiediamo. 
Il brano della lettera di don Dolindo Ruotolo è tratto dal libro Amore, Dolindo, Dolore (Casa Mariana Editrice “Apostolato Stampa”, 2001).

Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani» (Paolo VI)

«Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani» disse il papa Paolo VI nel santuario della Madonna di Bonaria, a Cagliari «cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce». 


E ne dava i motivi: 

«Dobbiamo soprattutto, a Noi pare, cercare di comprendere nuovamente le ragioni della nostra venerazione e della nostra fiducia verso la Madonna.
Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve segnare un punto di illuminata ripresa, per tutti, della nostra venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio speciale, un conforto sincero, una speranza singolare della nostra vita religiosa, morale e cristiana.

Perché, oggi, che cosa è avvenuto?
È avvenuto, fra i tanti sconvolgimenti spirituali, anche questo: che la devozione alla Madonna non trova sempre i nostri animi così disposti, così inclini, così contenti alla sua intima e cordiale professione com’era un tempo...

Qui Noi dobbiamo assai semplificare questo esame, e ridurlo a due fondamentali domande. 

La prima: qual è la questione che oggi assorbe, si può dire, tutto il pensiero religioso, tutto lo studio teologico, e che, lo avverta egli o no, tormenta l’uomo moderno? 

È la questione del Cristo.
Chi Egli sia, come venuto fra noi, quale sia la sua missione, la sua dottrina, il suo essere divino, il suo essere umano, la sua inserzione nella umanità, la sua relazione e la sua rilevanza con i destini umani.
Cristo domina il pensiero, domina la storia, domina la concezione dell’uomo, domina la questione capitale della umana salvezza. E come è venuto Cristo fra noi? È venuto da Sé? È venuto senza alcuna relazione, senza alcuna cooperazione da parte dell’umanità? Può essere conosciuto, capito, considerato prescindendo dai rapporti reali, storici, esistenziali, che la sua apparizione nel mondo necessariamente comporta? 

È chiaro che no. Il mistero di Cristo è inserito in un disegno divino di partecipazione umana. Egli è venuto fra noi seguendo la via della generazione umana. 

Ha voluto avere una Madre; ha voluto incarnarsi mediante il mistero vitale d’una Donna, della Donna benedetta fra tutte. 

Dice l’Apostolo, che ha tracciato la struttura teologica fondamentale del cristianesimo: «Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il Figlio suo, nato di Donna...» (Gal. 4, 4). E «Maria – ci ricorda il Concilio – non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed ubbidienza» (Lumen gentium, 56).
Questa dunque non è una circostanza occasionale, secondaria, trascurabile; essa fa parte essenziale, e per noi uomini importantissima, bellissima, dolcissima del mistero della salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da Lei; lo incontriamo come il fiore dell’umanità aperto su lo stelo immacolato e verginale, che è Maria: «così è germinato questo fiore» (cfr. Dante, Paradiso, 33, 9).

Come nella statua della Madonna di Bonaria, Cristo ci appare nelle braccia di Maria; è da Lei che noi lo abbiamo, nella sua primissima relazione con noi; Egli è uomo come noi, è nostro fratello per il ministero materno di Maria. 

Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce» 

(Paolo VI, Cagliari, 24 aprile 1970)

Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.

Dal Gloria, musicato da Antonio Vivaldi, diretto da Riccardo Muti ed interpretato da una bravissima Lucia Valentini Terrani (1946-1998 pace alla sua Anima), una delle poche mezzosoprano-contralto a saper interpretare splendidamente in questo pezzo difficilissimo e sublime.


mercoledì 25 ottobre 2023

Il segno più evidente che ci stiamo avvicinando al Natale è che, come ogni anno, spunta qualcuno che vuole abolirlo

Da Il Giornale di oggi, 25 ottobre 2023:

"Il segno più evidente che ci stiamo avvicinando al Natale è che, come ogni anno, spunta qualcuno che vuole abolirlo.
Ora è il turno dell'Istituto universitario europeo, sito a Fiesole, terra fiorentina, città di imponenti cattedrali romaniche, chiese, abbazie, conventi, seminari e basiliche. Il preside, Renaud Dehousse, solo incidentalmente un belga, sta pensando di togliere la ricorrenza del Natale dal calendario dell'istituto e rinominarla «Festa d'inverno». Incredibile che nessuno ci abbia mai pensato prima in 2023 anni. Serviva un belga, in effetti.
Lo scopo sarebbe quello di evitare il riferimento a una religione (a caso), in funzione di una scelta «inclusiva» che permetta a tutti di riconoscersi in un momento di serenità. Una mossa che si inquadra all'interno del «Piano per l'uguaglianza etnica e razziale» dell'ente fiesolano, finanziato da quell'Unione europea che alla fine preferì negare le proprie radici giudaico-cristiane.
Ah. Importante. L'Università ha fatto sapere che però «gli aspetti folcloristici possono rimanere parte dell'evento». Via la fede, dentro il panettone. Forse per evitare di lavorare il 25 dicembre e Santo Stefano, che cadono di lunedì e martedì.
E comunque sembra incredibile in un Paese con la nostra Storia - l'Istituto universitario europeo di Fiesole è ospitato dentro una splendida badia, quella di San Domenico. Cristiana."

Abbazia di san Domenico a Fiesole: giardino centrale con pozzo dedicato ai martiri fiesolani... 😢
... e sul chiostro si aprivano le stanze del centro studi padre Ernesto Balducci...
nel comprensorio anche una cappella... sono dei senza Dio.😢


(Nelle foto, tratte da Wikipedia, facciata della badia di San Domenico, l'altare di Giovan Battista Cennini, il chiostro rinascimentale).






martedì 24 ottobre 2023

Perché la Chiesa Cattolica ha cambiato la sua liturgia? Perché si vuole avvicinare ai Protestanti anziché agli Ortodossi?

Dove cercare il vero ecumenismo?”
Una riflessione sulle riforme liturgiche della Chiesa cattolica romana in una prospettiva ecumenica

Pubblicato su New Liturgical Movement
 

di Alessandro Adomenas, Maestro di Teologia, ortodosso

«Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21): queste parole del nostro divino Maestro risuonano con dolore nel cuore dei cristiani da molti secoli. Sfortunatamente, non abbiamo adempiuto al comandamento di nostro Signore e siamo stati divisi. Il XX secolo ha mostrato che è giunto il momento, secondo la parola dell'Ecclesiaste, di «raccogliere le pietre» (3,5), le pietre che noi cristiani abbiamo sparse per venti secoli. Il santo Papa Gregorio Magno (che in Oriente porta il nome Dialogos ) spiega così queste parole: «Quanto più si avvicina la fine del mondo, tanto più è necessario che si raccolgano pietre vive per l'edificio celeste, finché l'edificio della nostra Gerusalemme raggiunge la sua misura”. Per san Gregorio “raccogliere pietre” significa riunire il popolo nell’unica Chiesa di Cristo.

Sappiamo però bene che si possono “raccogliere pietre” in diversi modi e, cercando di raccogliere tutto, ci si può sovraccaricare del loro peso e perdere anche quello che si è raccolto. Questo articolo in forma di riflessione è un modesto tentativo da parte di un teologo ortodosso di pensare a quale percorso si possa scegliere per questa “raccolta di pietre”.

La storia dei rapporti tra cattolicesimo e ortodossia, purtroppo, è molto triste. Accuse reciproche, divergenze a volte su questioni insignificanti: tutto ciò è successo. Non darò una valutazione teologica di questi disaccordi e controversie secolari. Lasciatemi solo dire che ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide. Ed è proprio adesso il momento in cui, di fronte alla sempre crescente secolarizzazione dell’umanità e alle sfide che il mondo moderno pone ai credenti, dobbiamo trovare un terreno comune affinché tutti sappiano che siamo discepoli di Cristo-Amore incarnato (cfr. Giovanni 13, 35).


Negli ultimi cento anni, questo tentativo di conciliare ortodossia e cattolicesimo ha ricevuto il nome di “movimento ecumenico”. Sono stati proposti molti modelli di dialogo all'interno di questo movimento, ma purtroppo tutti sono arrivati ​​o stanno arrivando a un vicolo cieco. Il problema, a mio avviso, è l’approccio sbagliato al problema in quanto tale. O meglio, non esiste un nucleo attorno al quale costruire un dialogo. E mi sembra che qui la soluzione ideale sia fare appello a un patrimonio comune: la storia viva della Chiesa nello Spirito Santo.

Sia il cattolicesimo che l'ortodossia hanno una radice comune: l'insegnamento di Cristo e degli Apostoli. Abbiamo conservato l'immagine della Chiesa stabilita dagli Apostoli e dai loro successori: la successione apostolica nel sacerdozio, la struttura gerarchica della Chiesa, i santi sacramenti, il nostro modo di vita ecclesiale. Questo è esattamente ciò che può e deve unirci; non per niente ci riconosciamo quasi tutti i sacramenti dell'altro,  compreso il sacramento del sacerdozio, che parla anche del riconoscimento della gerarchia dell'altro.

Pertanto, il modo di “raccogliere le pietre” può e deve essere il nostro collegamento con quella che, sia nella Chiesa ortodossa che in quella cattolica, viene chiamata Sacra Tradizione. L'eredità secolare, l'eredità della Chiesa, è realmente ciò che ci unisce e rende possibile realizzare l'unità. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato: «L'ufficio dell'insegnamento non è al di sopra della parola di Dio, ma è al servizio di essa, insegnando solo ciò che è stato trasmesso... È chiaro quindi che la sacra tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa , secondo il sapiente disegno di Dio, sono così legati e congiunti tra loro che l'uno non può stare senza gli altri”.
Tuttavia, la mia pluriennale conoscenza del cattolicesimo, della situazione attuale della Chiesa cattolica, suggerisce che, purtroppo, il cattolicesimo dei nostri giorni non vuole scegliere la via del seguire la Sacra Tradizione . Non intendo dire che la Chiesa cattolica lo faccia deliberatamente. Affatto. Ma con molte delle sue azioni allontana davvero una possibile unità con le Chiese ortodosse. Per qualche motivo, per la Chiesa cattolica è più importante il dialogo con le varie denominazioni protestanti, anche se queste si oppongono deliberatamente alle Chiese storiche che hanno conservato la Sacra Tradizione. Non voglio in alcun modo offendere i protestanti, ma sia gli insegnamenti ortodossi che quelli cattolici dicono che l'Ortodossia e il cattolicesimo sono molto più vicini tra loro di quanto non lo siano al protestantesimo. Bisogna inoltre constatare che la maggior parte delle denominazioni protestanti si oppongono consapevolmente alle chiese storiche con successione apostolica; dicono che la loro teologia è diversa dalla nostra in tutto, e la nostra adesione alla Sacra Tradizione diventa spesso oggetto almeno di un sorriso condiscendente, se non di derisione e disprezzo da parte dei protestanti.

Da questa premessa, il tentativo di unire ortodossi e cattolici sembrerebbe essere stata la via ideale da seguire. Eppure il cattolicesimo, mi sembra, è andato nella direzione opposta. E questo è visibile in ogni cosa. Tuttavia, per spiegare il mio pensiero, vorrei considerare diversi aspetti. E tra questi il ​​principale è l'aspetto liturgico.

La sacra Liturgia, culto divino, è il fondamento della Chiesa. Senza culto, senza Eucaristia, la Chiesa non può esistere. Nel corso della storia, infatti, la Chiesa si è raccolta attorno al sacrificio eucaristico. Naturalmente tutte le Chiese storiche con successione apostolica hanno creato attorno all'Eucaristia i propri riti liturgici, alla cui compilazione la Chiesa ha lavorato per molti secoli attraverso i suoi membri, accogliendone organicamente le novità sane e scartando ciò che è estraneo. La liturgia è l'apparizione, la manifestazione della Chiesa, la sua incarnazione visibile nel mondo.
Qualsiasi cambiamento forzato e inorganico può portare a sconvolgimenti molto grandi. La Chiesa ortodossa russa ne ha avuto una tragica esperienza. Nel XVII secolo, il Patriarca ortodosso russo Nikon decise di rompere la tradizione liturgica russa sviluppatasi in oltre 500 anni, imponendo con la forza quella greca, simile ma formatasi in un contesto storico diverso. Le autorità statali ed ecclesiastiche di quei tempi attuarono queste riforme con la forza, arrestando e uccidendo tutti coloro che non erano d'accordo. Ciò portò un terzo della Chiesa russa allo scisma, uno scisma che fino ad oggi non è stato ancora sanato. Inoltre, poiché a quel tempo c’erano pochi vescovi nella Chiesa russa – solo uno non era d’accordo con la riforma e alla fine si separò – i vecchi credenti furono emarginati e alcuni di loro persero il sacerdozio e i sacramenti.

L'amara esperienza della Chiesa ortodossa russa è stata sconosciuta o ignorata dalla Chiesa cattolica nel XX secolo. Per qualche ragione, le autorità della Chiesa cattolica del nostro tempo hanno deciso di cambiare la liturgia. Non c'è niente di sbagliato nell'apportare alcune modifiche a un rito. Coloro che hanno più o meno familiarità con i principi della liturgia comparata di Anton Baumstark  sanno che i cambiamenti in qualsiasi rito sono la norma della vita della Chiesa. Ma il cambiamento rituale funziona bene solo quando, in primo luogo, è necessario, cioè quando questi cambiamenti sono chiamati a illuminare più pienamente l’uno o l’altro aspetto della vita della Chiesa, e in secondo luogo, e soprattutto, quando ciò avviene all’interno della Chiesa. quadro dell’insegnamento della Chiesa e del rito liturgico vigente vigente.
L’obiettivo delle riforme liturgiche degli anni Sessanta era alto: ravvivare la partecipazione del popolo di Dio alla Santa Eucaristia. Lo scopo è buono e, in effetti, necessario. Eppure, invece di attirare il popolo di Dio a una partecipazione più viva e attiva all'Eucaristia – attraverso il canto comune, le risposte alle esclamazioni del sacerdote, anche modificando leggermente e organicamente l'ordine della Santa Messa – l'autorità ecclesiastica della Chiesa cattolica decise di cambiare radicalmente sia l'ordine della messa che il rito latino. Ciò, nonostante le stesse decisioni del Concilio Vaticano II indichino che i cambiamenti devono essere molto equilibrati e ponderati: «Che la sana tradizione possa essere conservata, e tuttavia rimanga aperta la via ad un legittimo progresso, occorre sempre un'attenta indagine essere inserito in ogni parte della liturgia da rivedere. Questa indagine dovrebbe essere teologica, storica e pastorale… Non ci devono essere innovazioni se il bene della Chiesa non le richiede autenticamente e certamente; e bisogna fare attenzione che eventuali nuove forme adottate crescano in qualche modo organicamente da forme già esistenti.

Questa è la norma della Costituzione conciliare Sacrosanctum Conciliumstato eseguito correttamente? I fatti stessi dicono il contrario. Prendiamo ad esempio l'Offertorio (una parte dell'Ordine della Messa durante la quale si portano all'altare il pane e il vino con le preghiere in vista della consacrazione). È stato completamente riformato. Non riesco ancora a immaginare il motivo per cui si è dovuto farlo. Guardando il nuovo rito dell'Offertorio, non è affatto chiaro che tipo di “ricerca teologica, storica e pastorale” sia stata effettuata su indicazione diretta del Concilio per introdurre quel cambiamento. Perché non rivolgersi agli antichi messali romani, dove si trovano varie forme antiche praticate nel rito latino? Perché comporre nuove preghiere, ovviamente prese in prestito dall'ebraico Berakhot ? Per mostrare la connessione tra l'Antico e il Nuovo Testamento? Sono sicuro che ogni sacerdote che celebra la liturgia conosce questo collegamento. Per far rivivere gli elementi del culto ebraico? Fatta eccezione per gli elementi apportati nelle prime generazioni dopo gli apostoli, la Chiesa mai nella sua storia ha avuto una tale tendenza giudaizzante. Riconoscere l’importanza dell’ebraismo e cominciare a onorare gli ebrei come loro “fratelli maggiori”? Temo che il 99,9% degli ebrei non abbia idea che ci sia questo elemento nella Messa cattolica. Vale a dire, semplicemente non vediamo alcuna base pastorale, teologica o storica per questo cambiamento nel rito dell'Offertorio; né è emerso organicamente da qualcosa già presente; né era veramente e certamente necessario.
Inoltre, la preghiera centrale della Messa è il Canone eucaristico. Nel rito bizantino vengono usati come standard due canoni eucaristici: quello di San Basilio Magno e quello di San Giovanni Crisostomo. Questi Canoni Eucaristici sono utilizzati dalla Chiesa da oltre 1.500 anni. L'Occidente aveva il Canone Romano, di simile antichità e centralità. Ai nostri giorni la Chiesa cattolica ha intrapreso una strada completamente diversa: la strada della composizione di nuovi testi per il Canone eucaristico. Allo stesso tempo, i sostenitori del Nuovo Rito sottolineano che le nuove Preghiere eucaristiche sono state scritte sulla base di antichi testi orientali. Ma chiunque sia più o meno versato nella scienza liturgica vedrà che questa somiglianza è in realtà molto lontana e che le nuove Preghiere eucaristiche del Rito Romano sono testi nuovi, non santificati né dall'uso della tradizione  da dall’insegnamento della Chiesa, e talvolta sembrano addirittura andare contro di esso. Perché è stato fatto questo? Rimango in silenzio sul Lezionario e sul calendario liturgico completamente ridisegnati e sul mutato sistema dell'Ufficio Divino e del Proprio, testi in una certa misura scritti da Santi e santificati dal tempo, ma che cessano di risuonare durante la liturgia cattolica. Semplicemente non trovarono posto nel Nuovo Rito.

Perché è stato fatto? Perché la riforma è stata così radicale? La risposta la troveremo se guardiamo agli autori della riforma e a cosa li ha ispirati. Nell'attuare la riforma dei libri liturgici, la Commissione si è apertamente basata sull'esperienza del culto protestante, ispirandosi alla teologia protestante dell'Eucaristia (Ultima Cena, pasto, comunità…) per introdurre i cambiamenti. La Chiesa cattolica con ciò ha deliberatamente rifiutato la propria esperienza, la propria eredità, ha rifiutato l'esperienza delle Chiese orientali in cui era conservata una comprensione viva dell'Eucaristia come liturgia del Corpo e del Sangue del Salvatore, e ha invece seguito la via teologica protestante, i cui seguaci non solo non credono nella vera e reale presenza eucaristica del Corpo e del Sangue di Cristo, ma hanno addirittura creato propri riti di culto in opposizione alla Messa cattolica. Spesso questo cambiamento è spiegato dall'idea di ecumenismo, dicendo : «Ecco, la nostra liturgia è diventata più simile a quella dei protestanti e ora siamo più vicini a loro». È davvero così? I protestanti credono che i cattolici siano diventati più vicini a loro a causa del simile approccio esteriore alla liturgia? Difficilmente. Grazie a Dio, nonostante la forma esteriore carente, l'essenza dell'Eucaristia come presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nel sacramento è rimasta salda nella dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. Per un protestante, la celebrazione eucaristica è solo un memoriale dell'Ultima Cena, a differenza delle Chiese orientali, dove c'è sempre stata la convinzione che partecipiamo realmente al Corpo e al Sangue di Cristo. Ogni sacerdote e fedele ortodosso dice prima della Santa Comunione: "Credo che ciò che è nel Calice è il tuo vero Sangue".  E i protestanti comprendono questa differenza, per cui la riforma liturgica della Chiesa cattolica non ha portato alcun reale riavvicinamento. I cattolici cioè non hanno guadagnato nulla, ma hanno perso molto.

Non solo le autorità della Chiesa Cattolica hanno creato un nuovo rito della Messa, ma hanno immediatamente e incredibilmente vietato l'uso del vecchio Rito consacrato dal tempo. Gli ultimi cinquant'anni, infatti, sono stati una lotta di persone che vogliono utilizzare l'antico rito, che ha origini anteriori ai tempi di San Gregorio Magno, e che da allora è stato vissuto e sperimentato da quasi tutti i Santi d'Occidente. È stata una lotta per ottenere il diritto di essere fedeli a questo rito dei Santi. Cinquant'anni di umiliazioni, derisioni e tentativi di restare in qualche modo a galla. L'attuale pontificato ha sostanzialmente affermato che l'Antico Rito non ha diritto di esistere, e il fatto che ora se ne consenta l'uso non è che una misura temporanea. In che modo, concettualmente, le autorità della Chiesa cattolica dei nostri giorni sono diverse da quelle che hanno costretto l'emarginazione degli antichi credenti in Russia?
Le attuali autorità della Chiesa cattolica affermano che i cattolici hanno una sola Messa, un solo rito. Stanno cercando addirittura di pervertire e “diversificare” questo rito per compiacere l’epoca attuale. Spesso si vede che molti sacerdoti nella Chiesa cattolica celebrano il nuovo rito della Messa ad libitum , inserendo di propria iniziativa modifiche e integrazioni, facendo appello a presunte finalità pastorali; possono cambiare la Messa in un modo o nell'altro, per non parlare della liturgia del Cammino Neocatecumenale e del Movimento Carismatico, o delle inculturazioni proposte.

Che cosa abbiamo, tutto sommato? Liturgicamente il cattolicesimo è andato fuori strada. È andato incontro ai protestanti, tendendo loro le braccia, e i protestanti si sono allontanati e sono andati oltre, verso il sacerdozio femminile e, in generale, diluendo l’idea stessa di cristianesimo. E il cattolicesimo rimase con le braccia vuote tese. Non si è avvicinato ai protestanti (anche se fin dall’inizio avrebbe dovuto essere chiaro che questo approccio non era realistico). Allo stesso tempo, il cattolicesimo si è allontanato dall'Oriente, che fa affidamento sulla Tradizione; anzi, si è arrivati ​​a tal punto che, ai nostri giorni, la linea rossa tra protestantesimo e cattolicesimo è diluita nella mente degli ortodossi, sia teologi che credenti comuni.

Naturalmente non chiedo alcuna azione specifica; sarebbe troppo presuntuoso. Ho semplicemente voluto condividere il dolore che prova un credente ortodosso, la cui fede si fonda sulla Sacra Tradizione, guardando la Chiesa cattolica oggi. Eppure voglio credere che Cristo, che desidera l'unità dei suoi discepoli, riporterà in comunione le Chiese storiche dell'Oriente e dell'Occidente con successione apostolica, le unirà con l'amore che avevano i Santi che crearono questo tesoro di fede e la liturgia: la vita eterna e imperitura della Chiesa, fondata sulla Sacra Tradizione nello Spirito Santo. 


lunedì 23 ottobre 2023

San Bernardino da Siena: Non prenderti una croce più grande di quanto tu possa portare

San Bernardino da Siena -  Prediche volgari sul Campo di Siena 1427 

Dalla Predica 27 (in lingua corrente)


Disse Cristo: «Tollat crucem suam, et sequatur me", prenda la sua croce, e mi segua». Non sarebbe tua quella croce, se tu non la potessi portare. La ragione è che Dio non odiò mai una cosa fatta da lui, perchè lui ci diede l'esempio di quello che dobbiamo fare. « Nichil odisti, Domine, eorum que fecisti. Signore, tu non hai odiato mai nessuna delle cose che hai fatto.» 

Egli vuole ed è contento del fatto che l’uomo castighi la sua carne; ma non vuole che l’uomo s’amazzi. Infatti disse Paolo: «Morientes, et ecce vivimus. Morendo noi ai mondo, e vivendo con la volontà di far penitenzia», (...) in modo  che possiate dire con il profeta Davide: «Fortitudinem meam ad custodiam; Signor mio, io custodirò la mia fortezza». 

Dunque, fa’ sì di metterti a fare cose da cui possa uscire con onore. Caricati tanta soma, quanta ne puoi portare: ciò  che può fare uno,  non lo potrà fare un altro. Ce ne sono di  quelli che non possono mangiare se non una volta al giorno: volendosi abituare a mangiare di più, morirebbero in poco tempo. Non ti voler mettere a far così tu: non voler mai fare cose estreme. In ogni cosa si dovrebbe prendere la via del mezzo. O tu che ti sei deciso a non bere vino, guarda a quello che fai. Vuoi far bene? Fatti consigliare, e agisci secondo quanto ti viene consigliato da un uomo buono e discreto. Se tu chiedessi un consiglio a me, io ti direi che tu ne bevessi pure, ma  temperato coll’acqua; e quell'altro che non vuole mangiare carne, doh, attento che tu non sia ingannato da chi t'ha dato quel consiglio! 

Non fidarti così leggermente: fatti dare consigli da più persone, e che siano di valore. Prendi consiglio da coloro che sono esperti in queste cose, che sanno il dritto e rovescio: quelli  ti sapranno consigliare bene. Noi abbiamo uno nostro dottore che disse così, dando consigli per vivere bene. Disse che se uno avesse fatto o volesse fare  penitenza, che prenda la croce in modo che, se dovesse vivere cento anni, la potrà portare, perseverando, sempre. Presa questa decisione, se anche vivesse solamente otto giorni, se ne va poi al volo alla vita eterna. Non volerne prendere una tanto pesante e aspra, da perderci la vita. 

Oh, questo è il grande pericolo! Ce ne sono stati molti che sono voluti andare alla vita eterna in un passo ed un salto; e molte volte sono impazziti. (...)

Donne, o donne, perché questo toccò già a me di avere  questo fervore, io ve ne posso dire qualche cosa: e vi vengo a dire il primo miracolo che io abbia mai fatto, che fu ancor prima che io fossi frate. 

Mi venne voglia di vivere come uno angelo, non dico come uno uomo. «Deh, state a udire, che Dio vi benedica!». 

Mi venne l'idea di volere vivere d’acqua e d’erbe, pensai di andare a stare in uno bosco, e cominciai a dire tra me e me: «Che farai tu in un bosco? Che mangerai? », Rispondevo così tra me e me, e mi dicevo: « Bene, farò come facevano i santi padri: io mangerò dell’erba quando avrò fame, e quando avrò sete, berò dell’acqua». 

E così decisi di fare; e per vivere secondo Dio, decisi anche di comprare una Bibbia per leggere ed una tunica da tenere addosso. E comprai la Bibbia, e andai per comprare un cuoio di camoscio, perché non passasse l’acqua al di dentro e non si bagnasse la Bibbia. E col mio pensiero andavo cercando dove io mi potesse riposare, e decisi di andare a vedere fino a Massa; e quando ero nella valle di Boccheggiano, andavo a osservare quando questo poggio quando quell’altro; quando in questa selva, quando in quell’altra; e andavo dicendo da me e me: «Oh, qui starò bene! Oh, qui anche meglio!». 

In conclusione, non andando dietro a ogni cosa, me ne tornai a Siena e decisi di cominciare a provare la vita che volevo vivere. E me ne andai qua fuori dalla Porta a Follonica, e  incominciai a cogliere una insalata di lattuga e altre erbucce, e non avevo né pane né sale né olio; e dissi: « Cominciamo per questa prima volta a lavarla a raschiarla, e poi la prossima volta, solamente la rischieremo senza lavarla; e quando ne saremo più abituati, noi la faremo senza pulirla, e  poi la mangeremo senza coglierla». E nel nome di Gesù benedetto cominciai con un boccone di insalata, e,  messala in bocca, cominciai a masticarla... Mastica, mastica..., questa non poteva andare giù. Non potendola inghiottire, io dissi: «Cominciamo a bere uno sorso d’acqua». Ebbene: l'acqua se ne andava giù; e l'insalata rimaneva in bocca. In tutto, bevvi parecchi sorsi d’acqua con uno boccone di insalata, e non la potei inghiottire. 

Sai che ti voglio dire? Con un boccone di insalata mi tolsi ogni tentazione; che certamente mi rendo conto che quella era tentazione. Questa (ndr: l'ingresso nei frati minori) che è seguita poi, è stata un'elezione, non tentazione, Oh, quanto si deve soppesare, prima di seguire certe  decisioni che talvolta risultano molto cattive, mentre parevano tanto buone! Perciò disse san Bernardo: «Non semper credendum est bone voluntati. Non bisogna sempre credere alla buona volontà, no». 

- O i santi antichi, come al tempo dei santi padri, come facevano? Pure vivevano d’erbe.-

Io ti rispondo: «Distingue tempora; et concordabis scripturas». Distingui i tempi. Sai quante cose fecero i santi, che tu non potresti fare? 

- O il santo Francesco, come fece, che digiunò. quaranta giorni e non mangiò mai? - 

Lui l'ha potuto fare, non lo potrei fare io. E ti dico che io non voglio proprio farlo; e non vorrei che Dio me ne desse la voglia. Così ti dico di san Pietro; non sai che camminò sull’acqua, come si cammina sulla terra??! Io non mi ci metterei  a farlo! 

Dunque, non voler fare quello che pensi già che non potresti fare; che se anche tu lo volessi fare, ne morresti. Pensa  se il contadino mettesse la soma all’asino, maggiore di quanto non la possa portare: lo scorticherebbe: e se glielo vuol mettere, devi  metterglielo nel luogo dove esso ha la forza. Se glielo mettesse sul collo, lo scorticherebbe; e così se glielo ponesse sulla coda: mettendoglielo in mezzo, lo potrà portare. Allo stesso modo, non vedi come sarebbe pericoloso cavalcare un puledro brado senza la briglia e senza la sella? Chi salisse su un puledro sfrenato, senza sella, mette a rischio di pericolo ambedue allo stesso tempo. 

Per cui disse san Giacomo nella sua epistola al terzo capitolo: «Potest etiam freno circumducere totum corpus. Si autem equis frena in ora mittimus ad consentiendum nobis, et omne corpus illorum circumferimus». Il fervore è un cavallo difficile da controllare: e perciò dico che la regola è un ottimo modo per domare questo cavallo perché fu ordinata per mettare un freno proprio a questi fervori; e quando sono così domati, si possono far saltare, trottare, andare di passo lento e veloce, secondo la necessità.

venerdì 20 ottobre 2023

Sensitivi buoni e sensitivi cattivi. Come riconoscerli

Occorre fare molta attenzione. Accanto ai sensitivi buoni ci sono quelli cattivi.
Come riconoscerli? Semplice. Chiedono sempre soldi. I soldi sono la prima tentazione del demonio. Perché coi soldi ci si può comprare tutto: sesso, droga, piacere e potere.
La maggior parte dei sensitivi oggi sono dei falsi sensitivi dai quali si deve fuggire. Fanno patti col diavolo. E chiedono in continuazione soldi. Soldi, soldi e ancora soldi. Non sono mai sazi. "Torni tra una settimana e porti altri soldi" dicono sempre. Hanno la gente che fa la coda fuori casa.Vogliono pubblicità. 

Sono il contrario dei veri sensitivi che nascondono il proprio carisma.
Lasciano che sia Dio a portare loro la gente. E dalla gente non vogliono soldi
. Sanno che il denaro porta all'inferno. Così fuggono da esso.
"È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli" disse Gesù. Non sono parole buttate lì a caso.
Sono parole da prendere alla lettera. Il denaro corrode l'anima.
Chi invece non ha nulla si affida solo alla provvidenza. A Dio. Prega Dio e da lui ottiene ciò di cui necessita. Dio favorisce i poveri. Se un sensitivo di Dio dovesse iniziare a ricercare il denaro, senz'altro Dio gli toglierebbe il carisma che gli ha precedentemente donato. 

Spesso questi falsi sensitivi sono dei satanisti. Fanno messe nere. Radunano attorno a sé pochi adepti uniti da un forte legame di omertà. Si riuniscono in luoghi fuori mano. Sovente in case abbandonate.
La loro riunione è una messa che segue una liturgia precisa. Una liturgia però capovolta. Non pregano Dio ma Satana. Le stanze sono dipinte di nero. Nero è il drappo che ricopre l'altare. In mezzo c'è un crocifisso rovesciato. Non manca mai una statua del diavolo con il fallo proteso. E spesso c'è anche un teschio. Vero. Non c'è luce. Ci sono solo poche candele che proiettano nella stanza ombre sinistre. I pochi adepti stanno in circolo, vestiti di nero. A volte coprono il proprio volto. Invocano Satana in latino. Chiedono a lui di venire. Di scendere tra loro.
La liturgia inverte volutamente quella cattolica. Spesso è presente una sacerdotessa, una donna giovane e vergine completamente nuda e distesa sull'altare. A volte si tratta di prede catturate. Donne innocenti. Drogate e costrette a subire quella macabra liturgia. Dissacrano le ostie con sputi.Tutti possiedono a turno la donna. Gira droga e alcol. L'anima di tutti è regalata al demonio che può farne ciò che vuole in cambio dei godimenti della carne. Satana dà loro il piacere della carne. Loro danno a lui la loro anima. Per sempre. 

Chi ci guadagna? Non è difficile rispondere.
Spesso sensitivi e maghi sono la porta a questo genere di attività. Sono la porta per pratiche sataniche dalle quali poi è difficile fuggire. Difficilissimo. Oserei dire quasi impossibile, seppure a volte si riesca.
Chi si affida loro è facile che successivamente entri in circoli satanici. Sono circoli omicidi. Infernali. Sono davvero la porta dell'inferno. La porta degli inferi. La porta del nulla eterno.

Non è un caso che una figura chiave nella storia del satanismo sia stato proprio un mago. Si chiamava Edward Alexander "Aleister" Crowley.
Nacque nel 1875 e morì nel 1947. Era un mago inglese. Andava avanti sostenendosi con morfina e oppio. Manipolava la mente delle persone. Il suo alleato era Satana. Insieme hanno distrutto molte vite. Fu lui a scrivere le regole del satanismo. Tra queste: "Fai ciò che vuoi, sarà la tua legge". E poi: "Non c'è altro Dio che l'uomo".
Nel 1920 si trasferì a Cefalù. Qui affittò una casa e fondò l'Abbazia di Thélema. La casa era in campagna. Al suo fianco c'era un cimitero. In quella casa Crowley cercò di accumulare energie magico-sataniche per conquistare il mondo intero e piegarlo sotto il proprio dominio. Da Cefalù un faro, una luce di malvagità, avrebbe conquistato il mondo assoggettandolo sotto di sé.
A Cefalù Crowley visse con due concubine, l'amencana Leah Faesi e Ninette Fraux che egli chiamava suor Cypris. Poi si aggiunsero altre donne. La casa era oggetto di diverse visite. In tutta la Sicilia si diffusero presto voci inquietanti su questa casa. Per molti Crowley era "l'uomo più perverso dell'universo", un "genio del male e del peccato".
In effetti in quella casa si svolgevano strani riti. Orge sfrenate. Incesti. Messe nere in favore della "bestia dell'Apocalisse", il grande drago del mondo, Satana. 

Dopo Crowley arrivò Anton LaVey. E uno pseudonimo che sta per Howard Stanton Levey. Morì nel 1997.
Fu lui a fondare - tutte queste vicende le racconta molto bene tra gli altri l'esperto di cose sataniche Fabrizio Artale - insieme a un cineasta hollywoodiano, Kenneth Anger, l'associazione Magic Circle che nel 1966 divenne a San Francisco la Chiesa di Satana.
Cercava adepti decisi a dedicare tutta la propria esistenza a Satana. A lui si unirono diverse star del rock. 

I satanisti sono in tutto il mondo. Ma la maggior parte pare risiedano a Londra. Poi seguono Torino, San Francisco, Chicago e Roma.
Perché? Perché il diavolo ha i suoi schemi e i suoi disegni da mettere in campo. Queste città sono legate da inquietanti geometrie esoteriche che richiamano il diavolo e l'occulto. Ma il centro del satanismo è Londra. Del resto Crowley è inglese ed è dunque logico che la capitale del Regno Unito sia il centro dove hanno maggiore presa questi gruppi demoniaci. Ma questi gruppi sono ovunque. Come ovunque sono i loro capi, i maghi, i santoni. A loro Satana, è innegabile, dà poteri speciali che li fanno essere quasi come Dio. 

Quei poteri, quei doni, che un giorno diede a Marco il quale, per un periodo di tempo piuttosto lungo, si credette Dio.
Marco è uno dei tanti santoni coi quali ho avuto a che fare. Uno dei pochi, forse l'unico, che è tornato in sé, che è sfuggito alla morsa del demonio.
Marco ha tanti doni, tutti regalatigli da Satana. Perché Satana fa così, dà più poteri che può ai suoi devoti. Spesso fa credere loro che questi doni non arrivino da lui. Per non spaventarli. Ma sono loro, i suoi devoti, che mentono a se stessi.
Hanno regalato la loro anima al diavolo e fingono di non sapere che ogni cosa che capita loro è da lui, dal demonio, che viene. Bugiardi come Satana, il grande menzognero, il re delle menzogne.
Marco stringe un patto di sangue col diavolo. Per più volte si mette in contatto con lui tramite il cosiddetto "gioco del bicchiere".

Satana parla con lui. Inizialmente gli manda messaggi di pace e fratellanza. È chiaro: non lo vuole spaventare. Al contrario intende offrirgli un'immagine di sé bonaria.
Passano i giorni. Marco si reca in pellegrinaggio a Lourdes. Ma la sua anima è tutta nelle mani del demonio. Ci va forse per sfida: "Vediamo cosa succede a un servo di Satana in un luogo santo come questo?" si domanda.
Satana decide di rifarsi vivo proprio a Lourdes. È in uno dei santuari mariani più importanti del mondo che Marco scopre di avere doni extrasensoriali. È Satana che glieli dà. È Satana che astutamente sceglie Lourdes per darglieli.
Marco diviene chiaroveggente, legge nel pensiero della gente, sa fare diagnosi cliniche, ricorda il passato di persone che non conosce. Prevede il loro futuro.

Alcune persone cominciano a seguirlo, a interrogarlo, ad affidarsi a lui.
Dopo un po' di tempo Satana torna a farsi vivo. E regala a Marco un'altra straordinaria facoltà: con l'imposizione delle mani è in grado di annullare il dolore fisico. Qualsiasi dolore fisico.
Marco ha un seguito di gente notevole. Ma diviene un uomo irascibile, sempre cattivo e incattivito. Ben presto inizia a trattare male la gente che guarisce. La insulta. Lavora per portarla come lui alla perdizione. Lavora per distruggere le loro esistenze, i loro affetti. 

La salvezza per Marco arriva quando un gruppo di cattolici sente parlare di lui. Lo conosce e inizia a pregare per lui.
Queste persone pregano e riescono a mostrargli l'origine diabolica delle sue nuove facoltà. Grazie alla preghiera di questa gente Marco inizia un percorso per liberarsi da Satana. E ce la fa.
Appena rompe il patto di sangue stipulato col demonio cessano anche tutti i suoi poteri.
Marco torna un uomo come tanti.
Meno potente di prima, certo, ma libero. Non più schiavo del principe del male. Ma libero perché figlio di Dio.

(Da "Padre Amorth, l'ultimo esorcista" )

mercoledì 18 ottobre 2023

Don Dolindo e l'apostolato dell'ombrello

Sotto l'ombrello di Don Dolindo
di Maura Roan McKeegan


 

Il Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo ha conquistato molti figli spirituali, soprattutto negli ultimi anni, attraverso l'immensa e duratura popolarità dell'Atto di Abbandono. Recentemente mi sono dedicata alla ricerca su Don Dolindo, e più apprendo, più sono convinta che Gesù ha inviato questo sacerdote umile e pieno di spirito per essere un potente intercessore per il nostro tempo.
L'obiettivo finale di don Dolindo era quello di far conoscere e amare Dio, e cercava di sfruttare al massimo ogni opportunità per raggiungere questo obiettivo. Non voleva sprecare una sola occasione di portare le persone a Gesù. 

Anche le passeggiate quotidiane divennero per lui un modo per prendersi cura con amore delle singole anime. Camminando per le strade della città, esortava i passanti e "si fermava appositamente per un po' alle edicole per avere la possibilità di edificare e ispirare i clienti", spiega nella sua autobiografia.

Dotato del dono di leggere le anime, don Dolindo era profondamente consapevole dei bisogni spirituali di ogni persona che incontrava. Questo dono gli fu di speciale aiuto mentre svolgeva quello che chiamava il suo “apostolato dell'ombrello”.
Nelle giornate in cui pioveva, don Dolindo portava con sé l'ombrello mentre passeggiava per le vie della città. Quindi, se vedeva qualcuno senza ombrello, invitava quella persona a unirsi a lui sotto il suo ombrello per ripararsi.

Rimarranno toccati da questo gesto”, scrive nella sua autobiografia, “e, essendo il campo così preparato, potrò seminare una buona parola”.

Da quando ne ho sentito parlare per la prima volta, questo apostolato degli ombrelli ha catturato il mio cuore e la mia immaginazione. Il mio cuore è stato attratto dalla tenera semplicità e dalla grande profondità del cuore di don Dolindo. E la mia immaginazione è stata stimolata dall'immagine di lui in piedi per strada, con l'ombrello aperto sui passanti, che parlava loro dell'amore di Dio mentre la pioggia cadeva intorno a loro...
Mi sembra che questa immagine sia un simbolo, una rappresentazione visiva, dell'intercessione di Don Dolindo nel nostro tempo. Perché credo che, proprio come faceva per le strade di Napoli un secolo fa, Don Dolindo tenda ancora oggi il suo ombrello alle persone di tutto il mondo.  

Foto C.Cavalletti "Domenica, dopo la Messa"

Le tempeste stanno vorticando sulla terra in questo momento. Ma lo sono anche i racconti di grazie e miracoli ricevuti attraverso la Preghiera dell'Abbandono e l'intercessione di Don Dolindo. 

I cieli nei tempi moderni possono apparire cupi e minacciosi; le nubi della cultura contemporanea possono apparire minacciose e terribili; ma c'è speranza in mezzo a questa tempesta imminente, perché sembra evidente che don Dolindo non  vuole che i suoi figli spirituali si bagnino o camminino da soli nel diluvio.
Dal suo seggio nella comunione dei santi, questo caro Servo di Dio porta costantemente il suo ombrello spirituale, raccogliendo sotto di esso i suoi piccoli, offrendo loro riparo dalla tempesta e piantando la Parola nei loro cuori. 

Quando chiediamo la sua intercessione, egli tende il suo ombrello sopra ciascuno di noi. E quando affidiamo i nostri cari alle sue cure, mettiamo anche loro sotto la protezione del suo ombrello.
Mentre percorriamo le strade di questo pellegrinaggio terreno, Don Dolindo è pronto e aspetta per aiutarci. Non si lascia superare senza offrirci il rifugio delle sue cure paterne nel cammino verso il cielo.



Nell'articolo originale c'è un ringraziamento speciale a Maria Palma Smith per aver tradotto in inglese questi passi dal libro Amore, Dolindo, Dolore (Casa Mariana Editrice “Apostolato Stampa”, 2001). Apprendiamo così  che "è di prossima pubblicazione la traduzione in inglese da parte dell'Accademia dell'Editoria dell'Immacolata".
L'apostolato di don Dolindo da Napoli sta arrivando in tutto il mondo! Ringraziamo Dio per il dono che ci ha fatto inviandoci questo suo umile, amorosissimo e ispirato servitore, un altro padre Pio (come lo stesso santo di Pietrelcina amava definirlo), e preghiamo per la sua causa di canonizzazione.


Fulton Sheen: ogni anima ha il suo prezzo

Cosa saremmo disposti a fare - e a pagare - per la salvezza di un'anima?

Il venerabile arcivescovo Fulton Sheen raccontava:

Ricordo alcuni anni fa, mi scrisse una donna e mi chiese di andare a far visita a un suo fratello. Era in ospedale. Mi disse: è un uomo molto cattivo. Era pieno d'odio, verso Dio e verso tutti. Mi disse che aveva già  cacciato dieci preti. 

Sapevo che non sarei stato trattato in modo migliore. Così ho aperto la porta, la prima volta, e ho detto: buona sera William. E ho chiuso la porta. Il giorno successivo sono tornato: buona sera William, come va? Ho chiuso la porta e sono uscito. 

Ho continuato  così  per 40 giorni. 

L'ultima sera gli ho detto: William, stanotte morirai. Mi risponde: lo so.Vuoi far pace con Dio? Mi risponde: No. Vattene.

Allora mi sono inginocchiato a lato del suo letto e ho promesso al Buon Dio che, se si fosse pentito, avrei fatto costruire una chiesa. Volevo essere associato alla redenzione di Cristo. Dopo aver pregato e fatto questa promessa gli ho chiesto: Vuoi far pace con Dio? E lui: No! Va fuori.

Sono tornato indietro, ho avvicinato il mio volto al suo, devastato dal male, e gli ho detto: William, dì "Gesù mio, pietà" prima di morire. Mi risponde: No, non lo farò.

Seppi poi che era  morto alle quattro del mattino. L'infermiera mi riferì che, dopo dieci minuti dalla mia uscita, ha cominciato a dire "Gesù  mio, pietà". E non ha smesso di ripetere "Gesù mio pietà", fino alla morte, alle quattro del mattino. 

Ecco, ogni anima ha il suo prezzo; e noi possiamo contribuire alla salvezza di ciascuna.


 


martedì 17 ottobre 2023

La necessità del perdono che rinnova noi stessi e la Chiesa

 


Nostro Signore ha legato indissolubilmente il perdono di Dio e quello che noi dobbiamo ancora dare agli uomini che ci hanno fatto del male (preghiera del «Padre nostro», Mt 6, 12, e parabola dei due debitori, Mt 18, 21-35). In realtà, nella maggior parte dei casi, i peccati per i quali noi chiediamo perdono a Dio sono dei mali inflitti agli uomini. Di conseguenza dobbiamo domandarne perdono non solamente a Dio, ma anche a coloro che sono stati feriti da questi peccati. Se no, Dio non ci perdona (Mt 5, 23-26). Dietro a coloro ai quali abbiamo fatto del male, noi ritroviamo sempre Dio, e quando abbiamo peccato contro Dio, troviamo sempre gli uomini. Disprezzando Dio, diamo agli altri un cattivo esempio, che spezza in loro un’energia morale. L'uomo che non si comporta con delicatezza verso Dio, non ne ha nemmeno nei riguardi degli uomini, e contribuisce a far crescere la loro insensibilità verso Dio. Così Dio condiziona il perdono che accorda per i peccati commessi contro di Lui, alla richiesta di perdono ai nostri simili. Ma se noi, per ricevere il perdono di Dio, abbiamo bisogno di quello degli altri uomini, anche questi hanno bisogno del nostro perdono per ottenere quello di Dio.

Per ottenere da Dio il perdono, abbiamo dunque bisogno, nello stesso tempo, di perdonare agli uomini che ci hanno offeso, e domandar perdono a coloro ai quali abbiamo fatto dei torti. Non basta accordare il perdono, bisogna anche domandarlo agli altri. L'una e l’altra cosa sono molto difficili per noi. Ci è più facile chiedere perdono a Dio, perché Egli s'impone in qualche modo a noi con la sua maestà, e perché noi riconosciamo senza difficoltà teoriche la nostra dipendenza suoi riguardi - non parlo ovviamente dei non credenti, ma dei credenti. Per contro, è molto difficile, anche per noi credenti, evitare di disprezzare gli uomini che a noi non s’impongono per la loro palese grandezza. Ancora, tra il perdono che dobbiamo accordare agli altri e la necessità di chieder loro perdono, quest’ultimo atteggiamento è il più difficile. Chiedendoci perdono, gli altri sembrano porsi in una situazione d’inferiorità, e questo colpisce il nostro cuore, stuzzicando il nostro orgoglio. Chiedere, invece, perdono per se stessi implica che noi scendiamo dal piedistallo della nostra apparente superiorità, che riconosciamo la nostra dipendenza dagli altri.

È lo stesso orgoglio che si nasconde dietro il rifiuto di perdonare e la nostra difficoltà di chieder perdono. Ma, perdonando, noi non abbiamo necessariamente rinunciato a ogni orgoglio; mentre se noi andiamo più lontano, fino alla richiesta del perdono, abbiamo abbattuto l’ultimo residuo del nostro orgoglio. È in questo caso solamente che il nostro cuore è sinceramente e puramente commosso, senza alcuna ambiguità.

Il rifiuto del perdono o il richiederlo trattiene la nostra anima nella rigidità. Il male che ci ha fatto l’altro, serbato nel nostro ricordo, è un’impurità che dimora in noi, ci intossica continuamente e diffonde il suo odore nauseabondo nel nostro essere; i bagliori o le tenebre di questa tossina disturbano i nostri occhi, e noi non possiamo guardare l’altro con purezza. Così noi non possiamo amare Dio, e l’altro non può amarci.

Soltanto il perdono sincero dissolve questo corpo estraneo dalla nostra anima e libera i nostri occhi da questa trave. Allora solamente l’amore di Dio può donarci il perdono. L'abate Isaia dice: «Non provare cattiveria verso un uomo, per non rendere vane le tue fatiche; purifica il tuo cuore verso tutti al fine di vedere in te la pace di Dio. Come, infatti, se qualcuno è morso da uno scorpione, il veleno gli si diffonde in tutto il corpo fino a raggiungerne il cuore, così è della malevolenza per il prossimo nel cuore: il suo veleno ferisce l’anima e la mette in pericolo, come conseguenza del male. Pertanto, colui che si preoccupa di non perdere le sue fatiche, scuota subito da lui questo Scorpione, cioè la malizia e la malevolenza»

Il male che abbiamo fatto a un altro, turba anche la nostra anima. Noi siamo inquieti. Esso ci impedisce di avere, di fronte all’altro, uno sguardo diretto e limpido. In ciascun incontro con lui, siamo preoccupati, perché sospettiamo che egli conservi nel suo cuore il ricordo del male che gli abbiamo fatto. Il mio orgoglio mi impedisce di purificare i miei rapporti con lui. Solo la mia richiesta di perdono può condurci entrambi a relazioni aperte, dirette, libere. Se resto nel mio orgoglio, senza chiedere perdono, non posso stare di fronte a Dio a viso aperto e col cuore intenerito. Dietro questa domanda di perdono, deve esserci un sentimento sincero di penitenza. La penitenza mantiene una tristezza negli occhi, ma gli occhi, pur rivelando questa tristezza della penitenza, hanno uno sguardo diretto e limpido. E con questa onestà di sincera penitenza, che io devo presentarmi di fronte a Dio per chiedere il suo perdono, dopo aver domandato perdono al mio simile.

I miei peccati verso Dio sono innumerevoli e continui. Tutto quello che ho, proviene da Dio e dovrei farne dono, a Lui e agli altri; dovrei lodarlo costantemente per i suoi benefici, con le mie parole e i miei atti - ma non lo faccio. Per questo la mia penitenza deve essere ininterrotta, così come la richiesta del suo perdono e della sua misericordia. Ecco perché il monaco orientale implora la misericordia di Dio in una preghiera incessante. Così, al momento della morte, sant'Antonio il Grande chiede ancora del tempo per far penitenza. E poiché i peccati verso Dio sono nello stesso tempo peccati verso gli altri e, viceversa, i peccati verso gli altri sono anch'essi continui, e noi dobbiamo senza tregua chieder loro perdono. 

In ogni caso, mi è difficile dire se in ogni momento del mio rapportarmi agli altri io mi sia comportato in maniera irreprensibile, o che abbia fatto tutto il bene che avrei dovuto e potuto per tutti gli uomini che ho incontrato. Dunque, quando qualcuno mi rimprovera un atteggiamento di cui non avevo coscienza che fosse cattivo, non devo respingere questo rimprovero, ma nconoscermi colpevole. Ho commesso almeno l'errore di dare l'impressione di essere colpevole ciò di cui mi si accusa. L'abate Isaia dice: «Se per impazienza tuo fratello ti controbatte una parola, sopportala con gioia, e, se tu esamini il tuo pensero secondo il giudizio di Dio, troverai che tu hai peccato». Mi è difficile assicurare di non aver nulla a che fare con l'origine dei malesseri inevitabili, e così costanti, che sorgono negli uomini, e che colpiscono anche me. Mi è difficile affermare che tutto è buono nel mio comportamento, nei miei pensieri e nelle mie parole verso gli altri; che ho prestato agli altri abbastanza attenzione per non lasciar loro l'impressione d'indifferenza nei loro riguardi. Ognuno di noi pecca contro tutti.

 

Così dobbiamo far penitenza per il nostro comportamento verso ciascuno. Per questo noi raccomandiamo sempre ai preti di ricordarci nella proscomidia della Liturgia, e domandiamo a tutti gli uomini, che noi incontriamo, di pregare per noi, così come abbiamo l’obbligo di far memoria nelle nostre preghiere di coloro che conosciamo, per quanto possiamo, e in maniera generale, di tutti gli uomini. Nella nostra preghiera per gli altri, è implicito il nostro perdono a loro, e nella supplica che noi rivolgiamo loro di pregare per noi, quella di perdonarci.

Preghiamo per i morti che abbiamo conosciuto, e con ciò stesso noi perdoniamo loro, e vogliamo assicurarci, dopo la nostra morte, le preghiere di coloro che saranno in vita, e quelle della Chiesa in generale; noi chiediamo loro così di perdonarci, dopo la nostra morte, non soltanto una volta, ma durante tutta la loro vita. Noi preghiamo per i nostri avi, per ogni anima deceduta nella fede, e vogliamo avere anche la nostra parte in questa preghiera, per tutto il tempo che durerà il mondo. Anche l’indifferenza nei riguardi dei morti è un peccato che ci rende inquieti.

I rapporti diretti o indiretti fra tutti gli uomini portano in sé le imperfezioni di tutti; noi vogliamo che, almeno nella Chiesa, queste relazioni, che perdurano ancora dopo la morte, portino anche in sé necessariamente la richiesta e il dono reciproco del perdono, la preghiera di tutti per tutti, affinché Dio conceda a tutti il suo perdono.

È questo un aspetto essenziale della cattolicità della Chiesa, La Chiesa si purifica continuamente in questa preghiera di tutti per tutti, in questa penitenza che tutti fanno continuamente per tutti. La purezza o la santità della Chiesa è un aspetto dinamico della sua vita. I peccatori non vengono scartati dalla Chiesa e non ci sono in essa membri senza peccato: tutti sono coinvolti in questa tensione di purificazione per mezzo della penitenza, per il reciproco perdono richiesto e offerto, per mezzo della preghiera di tutti per tutti, rivolta a Dio, al fine di ottenere il suo perdono. La Chiesa non è una società statica, immobile, ma una comunione in movimento, formata da uomini peccatori che, nello stesso tempo, si purificano nella preghiera degli uni per gli altri - non per dei peccati astratti, ma per i peccati, per gli atti imperfetti e per l'indifferenza manifestata nei riguardi delle persone concrete.

In questa famiglia vivente nascono, in ogni momento, dei malesseri, ma sono superati, lavati nel mare del suo amore, dall’amore reciproco dei suoi membri. Tutti peccano, ma tutti contribuiscono alla purificazione: con la loro richiesta di perdono, con il dono del loro perdono, con la preghiera comune e reciproca per il loro perdono. Lo stato di peccato non prende consistenza Quelli che hanno peccato non possono restare nell’indifferenza, sono spinti a chieder perdono, La loro coscienza, stimolata dallo Spirito Santo, li conduce a questa richiesta. Così, fin dalla sua apparizione, il peccato comincia a dissolversi con il pentimento. Esso è dissolto dalle onde continue di perdono, di preghiera, di amore che lo Spimo Santo mette in movimento.

In questo, tutti appaiono mossi dallo Spirito Santo, che li unisce. Lo Spirito Santo è l’agente di questa vita interpersonale che si volge verso la purezza, e non si concilia con la rigidità o l’inflessibilità delle relazioni nella Chiesa. È lo Spirito di libertà, di relazione nella libertà dell’amore, quindi non può conciliarsi con la rigidità, con gli atteggiamenti di ostinata diffidenza o di distanza, generati e mantenuti dall’orgoglio, che non che dà né accorda il perdono. Là dove regnano le passioni, malgrado la loro apparenza sia molto labile, domina una rigidità, una mancanza di libertà che solo lo Spirito può piegare, quando dona agli uomini la capacità di perdonare e di chiedere perdono, elevandoli al di sopra del loro orgoglio e delle altre passioni egoistiche.

Questo perdono reciproco e la preghiera di tutti e per tutti non hanno solamente un aspetto negativo; essi rappresentano il soffio positivo dell'amore che schiude le anime le une alle altre.

Dicendo che lo Spirito soffia, noi intendiamo che egli porta l’amore, la vita, la libertà. La vera libertà è legata all'amore, e là dov'è l’amore si trova il bene per eccellenza, fonte di ogni buon pensiero, di ogni parola e azione. Là è la vita che è mobilità, disponibilità, libera da ogni fissità nell’orgoglio e le passioni egoistiche.

La Chiesa si rinnova così, grazie allo Spirito Santo, attraverso il perdono e la preghiera reciproci. Essa si rinnova continuamente e riallaccia i legami interiori dell’amore tra i suoi membri. In altri termini, essa rinnova la sua unità interiore, la sua armonia, la sua cattolicità. L'incapacità delle anime cristiane di sopportare il peccato e il male causato agli altri, il bisogno di chiedere e di donare il perdono, manifestano una delle forze che Chiesa ha per purificarsi, rinnovarsi, ricostiture continuamente la propria unità e i propri legami interiori, per essere come una sinfonia in Cnsto.

Così si manifesta il mistero della sua persistenza e del suo perpetuo ringiovanimento.

 (da "Breviario esicasta" di Dumitru Stâniloae)