giovedì 2 maggio 2024

Le formule liturgiche o cultuali mariane esprimono la fede della Chiesa sulle verità relative a Maria SS.ma

 Altri testi mariologici
(dal libro "Mariologia biblica" di padre  Stefano M. Manelli)

 
Se la Liturgia è un «luogo teologico», è soprattutto al valore non certo trascurabile di questo «luogo teologico» che noi dobbiamo il senso mariano di altri testi dell'Antico Testamento. 
La novella Liturgia instaurata dal Vaticano II ha offerto un discreto numero di testi biblici tratti dall’Antico Testamento e adoperati per le solennità, le feste, le memorie e le ricorrenze mariane (1).
Parlare però — come fanno alcuni — di senso solo accomodatizio nell’uso liturgico di diversi testi veterotestamentari, oltre che poco onorifico per la Liturgia, sembra apparire in netto contrasto con il genuino senso teologico della Liturgia, che valuta e adopera ogni brano biblico — dell’Antico o del Nuovo Testamento — alla luce della Rivelazione di Cristo, .del compimento della Redenzione e del «sensus fidei». della Chiesa maestra di verità (2).
«La mariologia — afferma il Le Deaut — non sì può accontentare di considerare l'Antico Testamento come un tesoro d’immagini applicabili alla Vergine in senso accomodatizio, molto elastico. Esso contiene, sulla Madre del Messia, una rivelazione autentica, sia pure solamente abbozzata, che si scoprirà nel Nuovo Testamento, rivelatore dell’Antico, e nell’interpretazione tradizionale della Chiesa» (3).
 
Sacra Scrittura, Chiesa e Liturgia vanno sempre insieme, in organicità di legami fecondi e vitali per la fede che salva l’uomo. 
 
Molto opportunamente, infatti, il P. Roschini, trattando del valore teologico del culto mariano, fa notare che «la preghiera liturgica della Chiesa (il suo culto) è espressione della fede della Chiesa, la quale fede antecede la preghiera liturgica (il culto) e perciò è garanzia della fede... Conseguentemente, non è la liturgia (con le sue forme liturgiche o cultuali) quella che genera la fede o le verità della fede, ma è la fede che genera la liturgia, ossia le espressioni cultuali o liturgiche, come l’albero. genera il frutto, e non viceversa» (4).
Per questo è stato anche scritto, giustamente, che «l’interpretazione liturgica dei testi scritturali ha una importanza teologica di prim’ordine» (5), perché è un portato della fede genuina della Chiesa, e «le formule liturgiche o cultuali mariane, ossia il culto mariano, perciò, non fanno altro che esprimere, manifestare la fede della Chiesa sulle varie verità relative a Maria SS.» (6).

Ebbene, fra i testi veterotestamentari adoperati e interpretati in senso mariologico dalla Liturgia — oltre i tre testi fondamentali del Genesi, di Isaia e di Michea — ve ne sono almeno altri quattro più importanti, dei quali due sono stati riportati e interpretati mariologicamente anche dal Concilio Vaticano Il: ossia, quello sui «poveri di Iahvé» e quello sulla «figlia di Sion» (7).

Nel capitolo ottavo della Lumen gentium è scritto: «Essa (Maria) primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza» (8).

In diversi salmi è descritta la realtà degli «anawim» di Dio, i veri «poveri di Jahvé» (9). Essi sono i figli di Abramo, umili e timorati di Dio, oppressi dagli uomini, ma fiduciosi nel Signore che li salva. Tra le vicende più dolorose del popolo eletto, nella tragedia delle deportazioni e dell’esilio babilonese, i «poveri di Jahvé» realizzano la più alta ascesi veterotestamentaria e, per la loro fedeltà a tutta prova, costituiscono quel «resto di Israele» da cui uscirà il rinnovato popolo eletto, la Chiesa di Cristo.

Nel Magnificat, la Madonna stessa si colloca appunto fra gli umili, oggetto della compiacenza di Dio, che «ha guardato l’umiltà della sua serva» e che «ha innalzato gli umili» (Lc 1,48).

Nel dialogo con l’Angelo, all’Annunciazione, nel momento stesso in cui accetta la sublime missione della Maternità divina, la Vergine Maria dice il suo Fiat come una povera «ancella del Signore» (Lc 1,38).
Sappiamo che la Madonna fu povera dal punto di vista sociale ed economico, vivendo in un paesello minuscolo e di nessun conto («da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?»: Gv 1,46), nascosta e ignorata da tutti.

Lo stesso Concilio Vaticano II rileva che, per la sua povertà, Maria SS. dovette fare al Tempio l'offerta dei poveri (10). Ma questa povertà esteriore era segno e figura della grande povertà interiore che fece di lei, per antonomasia, «l’umile vergine», modello e maestra della povertà di spirito beatificata dal Signore Gesù nel discorso della montagna: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 11,29) (11).

« Eccelsa Figlia di Sion »

Leggiamo nella Lumen gentium: «Eccelsa figlia di Sion con lei, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova Economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l’uomo dal peccato» (12).

Sion è la terra-madre di quei «poveri di Jahvé» che costituiscono il «resto di Israele», da cui sorgerà il «nuovo Israele»; e il monte Sion è figura del regno eterno di Jahvé rinnovato in un popolo nuovo, come annunciò il profeta Michea: «In quel giorno — dice il Signore — radunerò gli zoppi, raccoglierò gli sbandati e coloro che ho trattato duramente. Degli zoppi io farò un resto, e degli sbandati una nazione forte. E il Signore regnerà su di loro sul monte Sion, da allora e per sempre. E a te, Torre del gregge, colle della figlia di Sion, a te verrà, ritornerà a te la sovranità di prima, il regno della Figlia di Gerusalemme» (Mic 4, 6-8).

Maria è l’«eccelsa figlia di Sion», ossia è appunto colei che tra gli umili e i poveri del Signore fu eletta per dare compimento alle promesse antiche della salvezza, instaurando la «nuova Economia» del riscatto redentivo dell’umanità dal peccato, per il ritorno alla «sovranità di prima» (13).

Sion, in origine, era la rocca dominante di Gerusalemme, espugnata da Davide, che vi costruì la sua reggia e vi trasportò anche l’Arca dell’Alleanza (14). Per questo Sion era chiamata «città di Davide» e «dimora di Jahvé». 
Con il re Salomone, in seguito, si cominciò a chiamare Sion anche il monte dove egli fece costruire il nuovo Tempio e la nuova reggia, a nord di Gerusalemme (15).
Infine, con la parola Sion, si arrivò a indicare l’intera Gerusalemme e l’intero popolo di Israele, che vengono accomunati anche in diversi altri testi veterotestamentari, oltre che in quello sopra citato di Michea (16).

Maria, «eccelsa figlia di Sion», porta in sé il compimento del disegno salvifico di Dio e diviene ella stessa personificazione del nuovo Israele, la più vera «dimora di Jahvé», per l’incarnazione del Figlio di Dio che restaura il regno di Israele con un dominio che non avrà mal fine,

Per tutto questo, il tema della « Figlia di Sion » trova i suol richiami più fecondi e gioiosi nei testi di Sofonia (3, 14-17) e di S. Luca (1,28-33) (17).
Nell'uno e nell'altro c'è l'esultanza messianica che fa prorompere nel grido gioioso: «Esulta», Sofonia preannuncia il futuro dell'avvento di Dio: «Esulta, figlia di Sion... » (3, 14), L'Angelo, invece, annuncia a Muria la gioia dell'arrivo del Verbo di Dio che sta per incarnarsi in Iei: «Esulta, o piena di grazia...» (Lc 1,28) (18).

Maria SS. e la Sapienza

Certamente fra le pagine più alte dell’Antico Testamento ci sono quelle riguardanti la Sapienza, presentata come ipostasi di Dio, Verbo del Padre, che preesiste e presiede a tutta l’opera della creazione.

Orbene, queste pagine del Siracide (24, 3-21) e dei Proverbi (8, 22-35) — fatte le debite restrizioni — dalla Chiesa sono state applicate a Maria SS. fin dal secolo VII per la festa dell’Assunzione (Sir 24, 3-21) e dal secolo X per la festa della sua Natività (Prv 8, 22-35). 
Specialmente la pagina dei Proverbi, nella sua solenne bellezza e sublimità di espressioni, di immagini, di concetti ci porta a contemplare l’origine di Maria nel pensiero eterno di Dio. La Sapienza «si traspone, per riflesso e partecipazione, a Maria, la Madre del Verbo di Dio» (19).

Ci si può chiedere, però, se l’applicazione di tali testi a Maria Vergine sia fatta solo in senso accomodatizio o in qualche altro senso biblico particolare più appropriato.

Diciamo subito che sembra davvero strano il parere di quegli autori i quali parlano, troppo sbrigativamente, di pie accomodazioni biblico-liturgiche, pur sapendo bene che Maria SS. fu da Dio predestinata fin dall’eternità «uno eodemque decreto» con il Verbo Incarnato, come dice luminosamente la Bolla «Ineffabilis Deus», con esplicita applicazione a Maria delle parole della Sapienza (20).

« A causa della sua intima partecipazione attiva all’Incarnazione del Verbo di Dio — scrive Mons. Romeo — essa (Maria) riveste in certa misura la missione e le prerogative della Sapienza ipostatica che «ha posto la sua abitazione fra noi» (Gv 1, 14). Non si tratta di accomodazione arbitraria, bensì di senso «pieno» postulato dal mistero dell’Incarnazione. La Sapienza increata, incarnandosi in Maria, fa di essa il centro della Verità e della Vita (Sedes Sapientiae(21).

Inoltre, riesce davvero difficile ammettere che la Liturgia, in quanto «lex orandi», così strettamente correlata alla «lex credendi», si voglia servire di pie accomodazioni per illuminare e santificare i fedeli sotto l’azione dello Spirito Santo.

Si noti, piuttosto, che l’applicazione fedele e costante, per molti secoli, di queste pagine bibliche a Maria SS. «non può spiegarsi — scrive giustamente il P. Pietrafesa — a livello di semplici «accomodazioni» più o meno felici, ma deve essere valutata sul piano teologico, proprio dalla loro utilizzazione nella liturgia. Questo legge la Bibbia con occhi cristiani, alla luce delle meraviglie che Dio ha compiuto in Cristo e nella Vergine Maria, e quindi non sorprende che vegga un senso molto più ricco, esteso e profondo, sconosciuto ai contemporanei e allo stesso agiografo. Il quale senso suppone evidentemente quello letterale, ma nello stesso tempo lo supera, lo allarga, lo arricchisce» (22).

« Tutta bella sei tu » 

 
Il Cantico dei cantici è un poemetto allegorico sull'amore. Ma, quale amore? A chi va riferito?

La sposa del Cantico dei cantici «secondo le più sicure interpretazioni dell’esegesi moderna — scrive il Bertetto — confermate dalla tradizione patristica e medioevale, designa metaforicamente sia la Figlia di Sion, sia il popolo di Israele, nelle relazioni di amore e di fedeltà con Jahvé suo Sposo; sia la Chiesa cattolica, che continua il popolo di Dio dell’Antico Testamento; sia anche ogni anima fedele, membro della Chiesa, e in modo particolare Maria SS., alla quale si applicano e si riferiscono in senso tipico scritturistico, manifestato dalla Tradizione patristica e teologica, alcuni versetti della Cantica: hortus conclusus, fons signatus (orto chiuso, fonte sigillata) (Ct 4, 12), in favore della verginità di Maria; e tota pulchra es (sei tutta bella) (Ct 4,7), in favore della assenza di colpa in Maria» (23).

Nell’insieme, quindi, il Cantico dei cantici esprime, in suggestiva allegoria poetica, la realtà dell’amore di Dio verso la sua sposa eletta, senza colpe né difetti, tutta innocente e bellissima.
Questa «sposa» è il «nuovo Israele», ossia la Chiesa «senza macchia e senza ruga» (Ef 5,27); questa «sposa» è ogni anima cristiana che si dona a Dio in purezza e santità; questa «sposa» è, in modo perfetto ed eminente, Maria SS., solo lei, l’Immacolata, ossia la «Tutta bella» per eccellenza e la «senza macchia» per antonomasia.

È interessante rilevare che il «sensus fidei» della Chiesa, espresso dalla Liturgia nell’applicare a Maria i passi del Cantico dei cantici, si armonizza pienamente con l’interpretazione mariologica data dai Santi Padri e scrittori ecclesiastici, quali S. Ippolito, S. Efrem (soprattutto), S, Ambrogio, S. Girolamo, S. Epifanio, S. Sofronio, S. Giovanni Damasceno, S. Germano, S. Pier Damiani, Ruperto di Deutz, Alano di Lilla, e via di seguito (24).

Nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia è detto che la Chiesa «in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere» (25).

Questa «immagine purissima» la Liturgia ce la presenta appunto con l’immagine della «sposa» senza macchia del Cantico dei cantici, a cui il Signore rivolge le sue parole ripiene di vaghezza d’amore estatico: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!... O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro» (Ct 2, 10-14) (26); e ancora: «Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia! Vieni con me dal Libano, o sposa, vieni!» (Ct 4, 7-8) (27)

Il «sensus fidei» della Tradizione patristica e della Liturgia ci fanno leggere il Cantico dei cantici in filierana mariologica, portandoci a contemplare in trasparenza Marla nella «sposa» tutta bella e senza macchia, lo quale con la sua purezza originaria — con frapposta all'infedeltà adultera di Israele ricapitola, riflette e sublima In sé il «nuovo Israele», cioè la Chiesa, e ogni anima, sposa del Signore (28).

Infine, un rilievo particolare va dato al celebre versetto 10 del capitolo VI: «Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiera a vessilli spiegati?».
La figura di Maria, qui disegnata con le immagini più seducenti dol cosmo (l'aurora, la luna, il sole) e della forza degli uomini (le schiere all’assalto) preannuncia suggestivamente il «grande segno» dell’Apocalisse, la «Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, coronata di dodici stelle» (Ap 12,1).
Il legame delle immagini presenti nei due testi identifica in simbiosi luminosa la Sposa del Cantico dei cantici con la Donna dell’Apocalisse; e la Liturgia, di fatto, insieme alla Tradizione medioevale, interpreta l’uno e l’altro testo in senso mariologico, riferendoli direttamente alla Vergine Maria (29).

Padre Stefano M. Manelli
Mariologia biblica (pag 65-76)



Ndr: senso accomodativo o accomodatizio è un termine in uso nell'esegesi biblica. In maniera generale si riferisce all'uso di citare frasi e passi delle Scritture in un senso diverso da quello che hanno nel contesto, basandosi spesso su mere analogie di parole o anfibologie.

(1) Cfr. A. MIORELLI SM, L’uso della Scrittura nelle feste liturgiche mariane, Torino 1968; AA. VV., Lezionario Mariano, Brescia 1975.

(2) Sull'argomento cfr. C. VAGAGGINI, Il senso teologico della liturgia, Roma 1958, pp. 354s.; A.M. TRIACCA, Bibbia e Liturgia, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Roma 1984, pp. 175-197; A. NOCENT, La lettura della Sacra Scrittura, in AA.VV., Assemblee, Brescia 1986, pp. 198-221. Si rifletta attentamente su ciò che dice la “Dei Verbum” sulla Chiesa sempre sollecita «soprattutto nella Sacra Liturgia, di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (n. 21 - corsivo nostro).

(3) R. LE DEAUT, Marie et l’Ecriture dans le Chapitre VIII, in Etudes Mariales 22 (1965) 61. «Se c’è un ambito dove la Chiesa è certa dell’assistenza dello Spirito Santo, è proprio nella struttura fondamentale della sua liturgia. Ora, non c’è niente di più comune a tutti i riti cristiani che questo legame fra Antico e Nuovo Testamento»: così scrive D.C. JEAN-NESMY, Per una lettura cristiana della Bibbia, in Communio, n. 87 (1986) p . 48.

(4) G. ROSCHINI OSM, Il valore teologico e efficacia pastorale del Culto Mariano, in Marianum 39 (1977).

(5) I. H. DALMAIS, La liturgia testimonianza della tradizione, in La Chiesa in preghiera, Grottaferrata 1963, pp. 244. Vedi pure M. MARTIMORT, L’Eglise en prière, Tournai, p. 227.

(6) G. ROSCHINI OSM, art. cit., l.c. Subito dopo, l’autore riferisce l'esempio del Papa Pio XII il quale nell’enciclica Mediator Dei riporta «come attuazione del celebre effato "Lex orandi, lex credendi”, il fatto che Pio IX, nel definire come dogma di fede l’Immacolata Concezione di Maria SS., incluse, nella documentazione, l’argomento dedotto dalla Liturgia» ivi, l.c.).

(7) Giustamente, riguardo alle due espressioni «poveri di Iahvé» e «figlia di Sion», è stato rilevato che nel testo conciliare «nessuna delle due espressioni è accompagnata con un riferimento. Le due espressioni formano quasi un luogo comune della pietà vetero-testamentaria alla  "figlia di Sion”, figura del popolo eletto, la quale porterà la promessa a compimento nella pienezza dei tempi » (G. PHILIPS, L’Eglise et son mystère aut deuxième du Concile Vatican. Histoire, texte et commentaire de la Constitution «Lumen Gentium», Paris 1968, II, p. 231).

(8) Lumen gentium, n. 55. 

(9) Si vedano, ad esempio, i salmi 9, 10, 11, 12, 34, 37. 

(10) Lumen gentium, n. 57.

(11) Sull'argomento, cfr. A. GELIN, Il povero nella Sacra Scrittura, Milano 1956, pp. 121-123; F. URICCHIO OFMConv., La povertà di Maria nella Sacra Scrittura, in Miles Immaculatae 2 (1966) 175-184, 263-272; ORTENSIO DA SPINETOLI, OFM Cap, Maria nella Bibbia, Genova 1964, pp. 111-131; E.M. MORI, Figlia di Sion e Serva di Jahvé, Bologna 1970, pp. 301-449. | 

(12) Lumen gentium, n. 55.

(13) Cfr GI 2, 21-27; Sof 3, 14-17; Zac 9,9.

(14) Cfr 2 Sam 5, 6-7, 9-11.

(15) Cfr Is 18,7; Ger 26, 18.

(16) Cfr Is 37,32; 46,17; 52,1-2; Ger 26,18; 51,35; Sal 142.2.

(17) Cfr D, BERTETTO SDB, La Madonna oggi, Roma 1975, pp. 65-66,

(18) Il tema così interessante della «Figlia di Sion», visto in rapporto con il Nuovo Testamento, e specificamente con Lc 1,26-38, ha impegnato e sta impegnando gli studiosi più qualificati in campo biblico e mariologico. C'è divergenza di valutazioni, però, come risulta efficacemente dalla esauriente panoramica presentata da N. LEMMO, Maria, «Figlia di Sion», a partire da Lc 1,26-38. Bilancio esegetico dal 1939 al 1982, in Marianum 45 (1983) 175-258. È di notevole portata il tentativo di presentare il tema della «Figlia di Sion» quale « sfondo biblico della figura neotestamentaria di Maria», come ha fatto I. DE LA POTTERIE, Maria nel mistero dell'alleanza, Genova 1988.


(19) A. ROMEO, Maria e il Verbo Incarnato nei libri poetici e sapienziali del V. T., in Tabor 23 (1958) 323. Cfr pure D.J. ALFONSO, Marie et la Sagesse divine (Prv 8,22-35), in Assemblées du Seigneur, n. 80, pp. 19-28.

(20) Ecco il testo originale contenuto nella Bolla pontificia: «Atque idcirco vel ipsissima verba quibus divinae Scripturae de increata Sapientia loquuntur, eiusque aeternas origines repraesentant, consuevit tum in ecclesiasticis officiis, tum in sancta Liturgia adhibere et ad illius Virginis primordia transferre, quae uno eodemque decreto cum divinae Sapientiae incarnatione fuerant praestituta». Cfr TH. PLASSMANN OFM, Uno eodemque decreto, in Virgo Immaculata, III, Roma 1955, pp. 174-197.
(21) A. ROMEO, art. cit., pp. 327-328.

(22) P. PIETRAFESA CSSR, La Madonna nella Rivelazione, Napoli 1970, p. 64; si vedano gli importanti riferimenti ad alcuni autorevoli studiosi, quali Bea, Vagaggini, Scheeben, Dillenschneider (ivi, p. 65, nn. 7-10). Per una conoscenza più estesa e documentata sull’argomento, si veda E. CATTA, Sedes Sapientiae, in Maria, Parigi 1961, vol. VI, pp. 688-866; D. COLOMBO OFM, Maria nei libri sapienziali, Vercelli 1979.

(23) D. BERTETTO SDB, La Madonna oggi, Roma 1975, p. 60.

(24) Cfr lo studio accurato ed esteso di A. Rivera CMF, Sentido mariologico del Cantar de los Cantares, in Ephemerides Mariologicae 1 (1951) 437-68; 2 (1952) 25-42.

(25) Sacrosanctum Concilium, n, 103,

(26) Testo riportato nella Messa della Visitazione della Beata Vergine Maria, salmo responsoriale.

(27) Sul tema delicato e suggestivo di Maria « Sposa del Verbo Incarnato », si veda A. Rivera CMF, Maria Sponsa Verbi en la tradicion biblico-patristica, in Ephemerides Mariologicae 9 (1959) 461-478; A. PIOLANTI, « Sicut Sponsa ornata monilibus suis », in Virgo Immaculata, Romae 1955, pp. 181-193. 

(28) Scrive il Laurentin: « La dichiarazione apparentemente iperbolica del Re-Jahvé a Israele: Non vi è macchia in te, si attua alla lettera solo in questa nuova creazione che comincia con l’Immacolata Concezione di Maria. Poiché questo senso si attua oggettivamente, dato che è stato riconosciuto (benché con modalità spesso deficienti) da un'abbondante tradizione, il teologo può con fondamento vedervi un senso pieno o ultrasenso che risponde a un disegno di Dio, autore principale della Scrittura » (R. LAURENTIN, La Vergine Maria, Roma 1983, p. 179, n. 3). Cfr pure A, ROMEO, art, cit., pp. 318-323.

(29) Cfr P. DE AMBROGGI, Il Cantico dei cantici, Roma 1952, p. 211; G. NOLLI, Cantico dei cantici, Roma 1968, p. 34; D. COLOMBO, Cantico dei cantici, Roma 1983, p. 22

mercoledì 1 maggio 2024

Figure e simboli mariani nell'Antico Testamento

Figure e simboli mariani
(dal libro "Mariologia biblica" di padre  Stefano M. Manelli)
 

Oltre che preannunciata, la Madonna è stata anche prefigurata e simboleggiata nell’Antico Testamento.
In tal senso si è avuta una preparazione al suo arrivo, svolta gradualmente e colta dalle gesta o eventi personali più significativi di donne particolari della vecchia Alleanza, oppure raffigurata in radiosità di simboli ricchi di contenuti espressivi del mistero di Maria (1).

Oltre la figura di Eva
(2), analizzata in profondità già dalla prima Patristica, che l'ha presentata in «antitesi» con Maria, il Vecchio Testamento ci presenta figure di donne non comuni come Sara, Maria (sorella di Mosè), Debora, Giuditta, Ester, che hanno svolto un ruolo importante nell'economia del piano salvifico dì Dio o nel cammino del popolo eletto verso la pienezza deì tempi.

Esaminiamole brevemente.

Sara. Fu la moglie «libera» di Abramo, a differenza di Agar, la «schiava». Sara era sterile, ma ciò nonostante divenne feconda per intervento miracoloso di Dio. Fu la madre di Isacco, unico figlio, che diventò padre di una grande discendenza (3).
Sara, sposa «libera», ma sterile, è figura di Maria, sposa «libera» della vera libertà da ogni soggezione di colpa («chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» Gv 8,34): sposa non sterile, ma vergine volontaria, che concepì e partorì il figlio miracolosamente, ossia verginalmente.
Maria fu madre di Gesù, unico figlio, che ha redento l'umanità divenendo Capo del Corpo mistico, «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Sara è l’ombra della nuova Alleanza sancita da Dio con Abramo e suggellata dal sangue della circoncisione. Maria, invece, è la realtà della nuova Alleanza, stabilita da Gesù che l’ha suggellata con la sua immolazione di vittima crocifissa per l'umanità da redimere (4).

Maria, sorella di Mosè: oltre che per l’identità del nome, la sorella di Mosè è figura di Maria per alcuni aspetti di particolare interesse.
Maria è sorella di Mosè, il Liberatore del popolo eletto, ed è sorella di Aronne, il primo Sacerdote dell'Antica Alleanza.
Con Mosè e Aronne, anche Maria ricevette l’onore di essere presente nel «Padiglione del Convegno», dove il Signore discese nella nube e parlò loro.
Inoltre, Maria era chiamata profetessa ed era la guida del coro delle donne nel cantico di trionfo di Mosè (5).
«Bastano questi tratti — scrive il Ruotolo — per farci intravedere la Vergine Santa adombrata in questa donna. Maria è presentata nel libro dell’Esodo a fianco di Mosè e di Aronne. La Vergine Santa è legata a Gesù Cristo non solo come Madre, ma anche nella sua opera. Ciò vuol dire che, come Maria affiancava suo fratello, Mosè, legislatore del Popolo eletto, così Maria, la Vergine, è congiunta in maniera indissolubile al sommo legislatore Gesù Cristo, del quale Mosè era figura e tipo».  La Vergine santa è a fianco di Gesù Cristo, sommo sacerdote della nuova Alleanza, di Mosè figura e tipo.
La prima Maria è presentata come profetessa privilegiata da Dio; la seconda Maria, la benedetta fra le donne, è invocata dalla Chiesa come «Regina dei Profeti». La prima ripeteva il ritornello del cantico trionfale di Mosè insieme con altre donne; la seconda eleva il suo cantico alla grandezza dell’Onnipotente e profetizza, nel senso letterale della parola, la sua futura glorificazione «da parte di tutte le generazioni umane» (6).

Debora. In una situazione di estremo pericolo, Debora fu la donna energica che salvò il suo popolo dai Cananei, guidando Barac, con un piccolo esercito, al trionfo sul possente esercito di Sisara, comandato da Jablin.
Debora è figura di Maria SS. soprattutto per questo: perché è stata cooperatrice attiva di Barac nella vittoria su Sisara, per salvare il suo popolo. Anche Maria SS. è stata l’«alma Socia» di Cristo nella salvezza dell'umanità mediante l’opera redentiva.
Debora è anche figura di Maria quale profetessa e quale madre misericordiosa, a cui ricorrevano tutti i figli di Israele nei loro bisogni. Maria SS. è la più grande profetessa ed è la vera «Madre di misericordia», come l’invoca la Chiesa, a cui tutti ricorrono con speranza e fiducia.
Infine, l'inno di esultanza e di riconoscenza che Debora cantò per la vittoria riportata sul potente e superbo Sisara, riecheggerà nel Magnificat di Maria che esalta Dio, vindice dei poveri e degli umili contro i potenti e i superbi (7).

Giuditta. Un popolo, ormai vicino alla resa disperata, viene salvato dall'audace stratagemma di una donna — Giuditta — che si fa ardita e virile nella lotta contro il nemico Oloferne e trionfa su di lui troncandogli la testa (8).
Giuditta è figura di Maria che schiaccia la testa al serpente, salvando, con il figlio, il genere umano.
La fortezza e la purezza, la bellezza e l’audacia splendettero in Giuditta. Per questo venne glorificata con parole di esaltazione rimaste celebri: «Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Iddio che ha creato il cielo e la terra e ti ha guidato a troncare la testa del capo dei nostri nemici» (Gdt 13,18), «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto di Israele, tu splendido onore della nostra gente» (Gdt 15, 10).
In tutte queste virtù e lodi, ugualmente, Giuditta è figura di Maria, la «benedetta fra le donne» (Lc 1,42), la donna forte per eccellenza, l’Immacolata, guerriera invincibile che schiaccia la testa al nemico con il suo piede verginale.
A Lei, all’Immacolata, la Chiesa canta festosa: «Tutta bella sei, o Maria, e macchia originale non è in te. Tu la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo».

La regina Ester (Renzo Tubaro)


Ester. Questa fanciulla ebrea fu anzitutto celebre Pet la sua bellezza con cui conquistò il re Assuero, che la scelse come regina.
Inoltre, Ester fu l'unica ad essere esclusa dal decreto di morte emanato contro il suo popolo.
L'impresa più gloriosa di Ester fu quella di aver salvato il suo popolo condannato allo sterminio per la malvagità del nemico (9).
Anche Ester è figura di Maria per l'eccezionale bellezza, Maria è la «Tutta bella», come canta la Chiesa.
Inoltre, Ester è figura di Maria perché anche per Maria, unicamente, non valse la legge universale della contrazione del peccato originale, a cui sono soggetti tutti i discendenti di Adamo.
Infine, e soprattutto, Ester è figura di Maria sia perché anche Maria salvò il popolo redento dalla condanna dell'Eden, trionfando, con il Figlio, sul nemico infernale; sia perché anche Maria, nelle gravi necessità della Chiesa — il «nuovo Israele» — è potente Avvocata e Mediatrice che intercede per scamparci da pericoli e castighi.

I simboli mariani

Nella Bolla dogmatica «Ineffabilis Deus» il Papa Pio IX ha così sintetizzato i simboli mariani più significativi dell'Antico Testamento, applicati lungo i secoli alla Vergine Immacolata sia dalla Tradizione che dalla Liturgia e dall’Arte sacra.

«Il magnifico e singolare trionfo della Vergine, l'innocenza, la purezza e la santità sue insigni, la sua immunità da ogni macchia di colpa e, infine, la sua inesprimibile ricchezza e grandezza di tutte le grazie, le virtù e i privilegi celesti, i Santi Padri ravvisano nell’Arca di Noè che, costruita per ordine di Dio, rimase completamente salva ed intatta nel generale naufragio; nella scala che Giacobbe vide toccare il cielo e sui gradini della quale angeli di Dio salivano e scendevano, e in cima alla quale era Dio stesso; nel roveto che Mosé vide ardere tutto in giro in luogo consacrato e, nonostante le fiamme guizzanti, non bruciare né patir danno, ma verdeggiare e fiorire magnificamente; nella torre inespugnabile per qualsiasi nemico, dalla quale pendono mille scudi e l’intera armatura del forte eroe; nel giardino chiuso che non è violabile o devastabile per nessun artificio d’inganno; nella fulgente città di Dio che rifulge di divino splendore ed è colma delle magnificenze del Signore e, infine, in numerose altre figurazioni del genere, le quali, secondo la dottrina dei Padri, preannunciano l’eccelsa dignità della Madre di Dio, la sua illibata innocenza, la sua santità immune da qualsiasi macchia» (10).

Tra tutti i simboli mariani dell’Antico Testamento, però, certamente primeggia quello dell’Arca dell’Alleanza. Anche la Liturgia rinnovata del Vaticano II si serve della lettura sull’Arca dell'Alleanza per la solennità dell’Assunzione di Maria SS. in anima e corpo al cielo. Il popolo cristiano, del resto, da secoli venera Maria quale Foederis Arca (Arca dell'Alleanza) nelle Litanie Lauretane.

«I punti di contatto fra l'Arca e Maria - scrive il Bressan - sono non soltanto verbali e il confronto va, anzi, a tutto vantaggio di Maria (è un caso, cioè, di estensione del senso letterale)» (11).
L'Arca, infatti, era il luogo per eccellenza della Presenza di Dio. Addirittura gli ebrei finivano col considerarla Dio stesso (Nm 10, 35), e la presenza di Dio era vista tra i cherubini posti al di sopra dell'Arca.
Ma l'Arca era solo un simbolo. Maria, invece, è la realtà. In lei Dio si è fatto realmente presente, fino al punto di diventare suo Figlio. E proprio «questa presenza di Cristo, Uomo-Dio, in Maria — rileva il Crocetti — ha portato i primissimi cristiani a considerare Maria quale Arca della nuova Alleanza. Infatti il Vangelo dell’infanzia di Luca (1,39-44) applica a Maria quanto Il Sam 6,2-11 diceva dell'arca: si confrontino, per es., II Sam 6,9 con Luca 1,43, Il Sam 6,11 con Luca 1,56 (12).
In Maria assunta in cielo, infine, si realizza, in splendore di gloria, l’incorruttibilità dell’Arca, perenne dimora di Dio. 

 

Altri passi mariologici

È bene, qui, accennare ad altri passi dell'Antico Testamento interpretati in senso mariologico, anche se con minore incidenza di contenuto e di significato rispetto ai testi principali.
Più importanti fra tutti sono certamente i testi di Isaia sulla verga della radice di lesse (11,1) e di Geremia sulla donna che circonderà l'uomo (31, 22).
Ambedue i testi sono stati interpretati in senso mariologico da un discreto numero di SS. Padri e di esegeti cattolici, che hanno intravisto Maria sia nella «radice di lesse» da cui è germogliato il Messia, sia nella «donna che circonderà l’uomo», ossia che porterà il Messia nel suo grembo verginale. Sembra certo, tuttavia, che il senso mariano di tali passi biblici sia solo implicito (13).

Altro testo significativo è quello dei Proverbi sulla «donna forte», interpretato in senso mariologico per la descrizione suggestiva e radiosa della donna ricca di tante virtù, riflesse in Maria in grado eminente impareggiabile (14).

Inoltre, tra le figure di Maria nel Vecchio Testamento, non si può far cadere il ricordo della mamma di Giacobbe, Rebecca, che per qualche aspetto anche drammatico ha ben raffigurato la Mamma di Gesù (15). E con lei vanno ricordate Rachele, la sposa di Giacobbe (16); Ruth, la dolce moabita” (17); Anna, le madre di Samuele (18); Giaele, che trafisse il capo di Sisara (19); Abigail detta «prudentissima e bella» (20).

Un capitolo a parte, poi, meriterebbero i Salmi per la presenza dei riferimenti a Maria SS., dei quali ha conservato tracce significative anche l'attuale Liturgia rinnovata.
Basti qui dire che, fin dai primi secoli, i Padri Greci (21) e i Padri Latini (22) hanno trovato nel Salterio filoni espressivi di contenuto mariologico, specialmente in alcuni Salmi o versetti specifici (23), molto efficaci ad alimentare, sin da allora, il culto e la pietà mariana nei fedeli.

Il P. Calabuig, infatti, nel suo studio sui Padri Latini del II-VI secolo, ha potuto scrivere che le interpretazioni mariologiche fatte dai SS. Padri «spesso assumevano carattere cultuale e per la forma (omelie, testi eucologici) e per il contenuto (espressioni di lode e di ammirazione per Maria, esortazioni ad imitarla...)», e conclude dicendo che «la paziente opera di riferimento dei ’versetti mariologici’ del Salterio è senza dubbio uno dei contributi più importanti che i Padri hanno dato allo sviluppo della pietà mariana» (24).

Incoronazione della Vergine (Pomponio Amalteo)

Tra i molti simboli mariani dell’Antico Testamento, infine, è giusto ricordarne alcuni altri più espressivi della persona e della missione di Maria SS. nella storia salvifica del genere umano. 
Sono simboli di cui la Tradizione, la Liturgia e l'Arte sacra si sono servite qua e là, chi più chi meno, con insistenza e continuità, per illustrare la realtà ineffabile di Maria SS. Ne ricordiamo alcuni.

Il Paradiso terrestre, simbolo di Maria che, «piena dì grazia» (Lc 1,28), fu realmente il Paradiso terrestre del nuovo Adamo, Gesù (25).

La colomba con l’olivo simboleggia graziosamente Maria che porta al mondo, tormentato dal peccato, l'ulivo della pace, ossia Gesù, il «Principe della pace» (Is 9,6) (26).

L'arcobaleno è il segno della fine della tempesta, e simboleggia Maria che segna la fine del peccato e l'inizio dell'era della redenzione per tutto il genere umano (27).

Il roveto ardente simboleggia Maria che nel suo seno vergine — simile al roveto ardente che non si consumò — portò Dio incarnato, conservando integra e immacolata la sua verginità (28).

La verga di Aronne fiorì senza il concorso degli elementi naturali, e simboleggia la verginità di Maria, che fu feconda senza il concorso umano e rimase sempre integra, pur concependo e partorendo Gesù, «giglio delle convalli» (Ct 2,1) (29).

La nube, che portò l'acqua salutare nella Samaria inaridita, simboleggia Maria che portò la sorgente della grazia redentrice, il Verbo Incarnato, per ridonare la vita al deserto del mondo (30).

Altri simboli di Maria SS., inoltre, sono il candelabro d'oro (Es. 25, 31-40), il vello di Gedeone (Gdc 6, 36-40), la torre di David (2 Sam 5, 17), il trono di Salomone (1 Re 10, 18-20) (31).

Infine, bisogna tener conto anche del ricco e suggestivo simbolismo mariano contenuto nei Salmi, a proposito dei quali anche il P. Calabuig ha scritto che «i vocaboli usati nei versetti mariani e le immagini contenute in essi contribuiranno ad arricchire la terminologia eucologica e il simbolismo mariano (terra, nubis, thalamus, sol, tabernaculum, civitas, convallis, aula, sedes, virga...) della liturgia, della letteratura e dell’arte» (32). E più recentemente lo stesso autore ha potuto parlare di un «patrimonio di interpretazioni mariologiche del salterio» che resta «tuttora vigente nella liturgia romana» (33), e, possiamo aggiungere, nella pastorale di notevoli fasce ecclesiali.

In conclusione, considerando l'immenso mosaico mariano che ci viene offerto dal Vecchio Testamento, così ricco di profezie, di figure e di simboli che parlano di Maria SS. preannunciandola, prefigurandola e simboleggiandola, possiamo ripetere anche noi con il P. Roschini: «Queste le principali figure e i principali simboli di Maria. Belle le profezie che l'hanno annunziata. Magnifiche le figure che l’hanno prefigurata. Attraenti i simboli che l’hanno adombrata, Ma la realtà è incomparabilmente più bella, più magnifica, più attraente. È come il sole che fa svanire i pallidi e indecisi chiarori dell’alba» (34).

Padre Stefano M. Manelli
Mariologia biblica (pag 51-64)



(1) Anche riguardo alle figure e ai simboli mariani va detto che il «sensus fidei» della tradizione, della liturgia e dell’arte, ci garantisce un’interpretazione mariologica che sta ben al di sopra della sola e pia accomodazione. «Data la frequenza dei simboli e delle figure mariane nella liturgia, nell’uso degli scrittori ecclesiastici e dei Santi Padri — scrive il P. Pietrafesa — è lecito indagare se tali simboli o figure mariane siano qualcosa di più che semplici accomodazioni estensive. Ebbene, se si considera che la Chiesa nella Liturgia è guidata dallo Spirito Santo, non pare esatto bollare le applicazioni mariane liturgiche come pie accomodazioni: è meglio denominarle simboli o figure, in mancanza di termini migliori» (P. PIETRAFESA CSSR, op. cit., p. 72).

(2) Si veda il volume di T. Carizzi, La Madre di Dio nell’Antico Testamento, Cerreto Sannita 1958, vol. II, pp. 390, e il volume di L. CicnELLI OFM, Maria nuova Eva, Assisi 1966.

(3) Cfr. Gn 11,29-30; 17,19; 18,9-15; 26, 24.

(4) Cfr. T. CARIZZI, La Madre di Dio nell'Antico Testamento, vol. II, pp. 9-96; TH. KAYLAPARAMBIL, Figures and Simbols of Mary in the Old Testament, in Biblehas 3 (1977) 247-8

(5) Cfr. Es 15,20-21; Mt 6,4.

(6) D. RUOTOLO, Maria... chi mai sei tu?, Napoli 1975, p. 82. Cfr. pure R. Le Deaut, Miryam soeur de Moise, et Marie, mère du Messie, in Biblica 45 (1964) 198-219.

(7) Cfr. Gdc 4,4-24; 5. Cfr. D. RUOTOLO, op. cit., pp. 93-7.

(8) Cfr. Gdt, cc. 8-16. Cfr. pure E. HAAG, Epistola (jdt 13, 22-25; 15,10), Judit como de Maria, in Asuncion de Maria a los cielos, 15 de agosto, Salamanca, Signeme 1967, pp. 39-49; J. ALONSO SS., Sentido mariológico del libro de Judit, in Cultura Biblica 16 (1959) 93-96; T. CARIZZI, op. cit., vol. I, pp. 91-224.

(9) Cfr. Est 2,1-18; 4,1-17; 5,1a-8; 7,1-10. Cfr. pure R. A. KNOX, Ester and our Lady, Dayton, Ohio, s.d.; T. CARIZZI, op. cit., vol. IV, pp. 95-300.

(10) «Ineffabilis Deus».Il Papa Pio IX cita ancora altre immagini bibliche riferite a Maria SS.: giglio tra le spine; terra assolutamente intatta; giardino ordinatissimo, splendido, legno incorruttibile, scrigno dell'immortalità... (cfr. ivi p. 47-48.)

(11) G. BRESSAN, L'arca nel tempio di Dio, in La parola per l'assemblea festiva (1972) n. 63, p. 65.

(12) G. Crocetti, La festa dell'Arca dell'Alleanza, in La parola per l'assemblea festiva (1972) n. 65, p. 73.
"Davide in quel giorno ebbe paura del Signore e disse: «Come potrà venire da me l'arca del Signore?»" (2 Sam 6,9) -> "A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?" (Lc 1,43)
"L'arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa." (2 Sam 6,11) -> "Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua." (Lc 1,56).

(13) Cfr. G. ROSCHIN OSM, La Madonna, Roma 1953, 11, pp. 80-83, 85-88; D. SQUILLACI, La Vergine Madre del Messia in Geremia 31,22, in Palestra del Clero 38 (1959) 456-60; D. BERTETTO SDB, La Madonna oggi, Roma 1975, p. 70. Significativa è l’importanza data dall'arte sacra alla «verga della radice di lesse»: cfr. J. FOURNEE, Les thèmes iconographiques de l'immaculée Conception en Normandie, in Virgo Immaculata, Romae 1957, pp. 46-60. Riguardo al testo di Geremia (31, 22), il P. Boschi scrive che «S. Girolamo l'aveva inteso direttamente orientato al "Messianismo personale”, con la esplicita prefigurazione della concezione verginale di Maria, seguito in questo da Maestri come S. Bernardo, S. Tommaso, S. Bonaventura, e altri Autori moderni (Knabenbauer, Fillion, Roschini) »: art. cit., p. 23.

(14) Cfr. S. Det PARAMO SJ, La Santissima Virgen, la Mujer fuerte de los Proverbios, in Estudios Marianos 32 (1969) 109-124.

(15) Gn 24; 27. Cfr. D. RUOTOLO, op. cit., pp. 87-91; TH, KAYLAPARAMBIL, art. cit., pp. 248-9; D. BARSOTTI, Le donne dell'Alleanza, Torino 1967, pp. 27-34.

(16) Gn 29; 31; 35, 16-20. Cfr. T. CARIZZI, op. cit., vol. IV, pp. 9-92; TH. KAYLAPARAMBIL, art. cit., p. 249; D. BARSOTTI, op. cit., pp. 3541.

(17) Il libro di Ruth. Ved. pure C.M. GIMENEZ, La mujer en la Biblia. Transfondo de la Anunciaciòn a Maria en el libro de Ruth, in Cultura Biblica 25 (1968) 230-234.

(18) 1 Sam 1,2; 1,9-20; 2, 1-10. Cfr. TH. KAYLAPARAMBIL, art. cit., pp. 250-1; D. BARSOTTI, op. cit., pp. 89-96.

(19) Gdc 4, 17-20; 5, 24. Cfr. TH. KAYLAPARAMBIL, art. cit. p. 253.

(20) 1 Sam 25. Cfr. T. CARIZZI, op. cit., vol. I, pp. 9-87; D. RUOTOLO, op. cit., pp. 117-121; TH. KAYLAPARAMBIL, op. cit., pp. 253-4.

(21) Cfr. R. MASSON OP, L’interpretation mariale des psaumes chez les Grecs Pères, in De Primordiis cultus mariani, III, Romae 1970, pp. 242-262. L'autore conclude il suo studio dicendo che l'intepretazione mariologica dei Salmi da parte dei primi Padri Greci, anche se sobria, è tuttavia «significative si on la rapproche des ecrits marials des mémes Pères, beaucoup plus riches, et si on tient compte que les Psaumes lus à la lumière de la Christologie des Pères, ont de fait appelé la presence de la Mère du Sauveur » (pp. 259-260).

(22) Cfr. M. J. CALABUIG OSM, Repertorio di interpretazioni mariologiche del Salterio presso ì Padri Latini, in De primordiis cultus mariani, III, Romae 1970, pp. 263-290. Nella conclusione dello studio l’Autore rileva che «nei secoli II-VI il mistero di Maria occupa un posto notevole nella interpretazione cristiana del Salterio. I quasi settanta versetti "mariani” rilevati nel repertorio lo dimostrano» (p. 289).

(23) Cfr. M. F. MOOS OP, Pourquoi l'Eglise applique-t-elle certains psaumes à la Sainte Vierge?, in Vie Spirituelle 98 (1958) 186-208; L. HERRAN, Maria en el ambiente de los salmos, in Sal terrae 53 (1965) 483-504; A. PENA MARTINEZ, Interpretacion Mariana del Salmo XLIV, en la Tradicion Patristica Latina de los ocho primevos siglos, in Regina Mundi 29 (1969) 5-17; C. BISSOLI, Sta la regina alla tua destra, in La parola per l'assemblea festiva (1972) n. 63, pp. 106-116; R. CAVEDO, A. SERRA, E. M. PERETTO, I canti dell'umile serva. Salmi 44 (45), 84 (85), 95 (96), 112 (113), 131 (132), 146 (147); 1 Samuele 2; Giuditta 16; Luca 1,46-55, in Lezionario Mariano, Brescia 1975, pp. 174-213.

(24)Op. cit., pp. 289-290.

(25) Gn 2,8-14. Cfr. G. ROSCHINI, op. cit., pp. 129-130; TH. KAYLAPARAMBIL, arf. cit., p. 255.

(26) Gn 8,8ss. Cfr. G. ROSCHINI, op. cit., pp. 132-133; l'Autore si rifà al Marracci, il quale «ha raccolto circa 150 passi dei Padri e Scrittori ecclesiastici sul titolo di Colomba riferito a Maria» (p. 131, n. 1). Cfr. pure T. CARIZZI, op. cif., vol. V, pp. 19-26; TH. KAYLAPARAMBIL, art. cit., p. 255.

(27) Gn 9,11-17. Cfr. G. ROSCHINI, op. cit., pp. 134-135; T. CARIZZI, o.c., pp. 27-34.

(28) Es 3,1-11. Cfr. L. CUBILLO OSA. Figuras Marianas en el Antiguo Testamento. La zarza ardiente (Ex 3,3 sg), in Cultura Biblica 11 (1954) 271-274; T. CARIZZI, o.c., pp. 47-58.

(29) Nm 9, 16-24. Cfr. G. ROSCHINI, op. cit., pp. 141-142; T. CARIZZI, o.c., pp. 75-84.

(30) I Re 18, 42-45, Cfr. G. ROSCHINI, op cit., pp. 143-144.

(31) Per questi e per altri simboli, cfr. T. CARIZZI, op. cit., vol. V, passim; TH. KAYLAPARAMBIL, art. cit., pp. 255-258; J. CALABUIG, Liturgia, in Nuovo Dizionario di Mariologia (a cura di S. De Fiores e S. Meo), Roma 1985, pp. 775 ss.

(32) J.M. CALABUIG OSM, Repertorio di interpretazioni mariologiche del Salterio presso i Padri Latini, in De primordiis cultus mariani, III, Romae 1970, p. 290.

(33) J. M. CALABUIG OSM, Liturgia, in Nuovo Dizionario di Mariologia (a cura di S. DE FIOREs e S. MEO), Roma 1985, pp. 773-775.

(34) G. ROSCHINI OSM, op. cit. p. 147.

martedì 30 aprile 2024

Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?»

 L'aborto

«Il sangue di tuo fratello (Abele) mi grida di grido d’evidenzia» (Gen. IV, 10)


"La strage degli innocenti" Guido Reni (dettaglio)
 

... Vattene al ponte Vecchio vostro, e ascolta; udirai il grido grande!

Vattene a' privai (1); vattene alle stalle; vattene ne’ giardini di villa, o di Firenze; vattene in bottega de' barbieri, o degli speziali, o in casa de’ medici; poni l’orecchie giù basso e ascolta, e udirai strida insino al cielo, che gridano: vendetta, vendetta, Iddio! Tanti guai, tanti lamenti che è uno stupore!  

Quali lamenti? D’evidenzia sono questi. Sono le voci de’ fanciullini innocenti gittati giù pel vostro Arno, e giù pe’ vostri privai; e sotterrati per le stalle e pe’ vostri giardini vivi vivi, per sfuggire la vergogna del mondo, e talvolta sanza battesimo; le grida de’ fanciullini morti in corpo dalle madri per forza di medicina, di barbieri, speziali o medici per farle isconciare (2). 

Perdono l’anima e ’l corpo.

San Bernardino da Siena

(1) latrine
(2) abortire


sabato 13 aprile 2024

O Signore, quando, quando, quando verremo lassù?

Tratto dalla predica fatta il dì di Ognissanti, 1 novembre 1496: essendo venuta la nuova del naufragio dell'armata de' nimici nel porto di Livorno 

di fra Girolamo  Savonarola 


Beato Angelico: Cristo in gloria con angeli e santi


Stavo così, da me a me, pensando questa solennità d'oggi e la gloria de’ beati che sono lassuso, e dicevo —O Signore, quando, quando, quando verremo lassù?— 

El mi pareva vedere una cappella, io te la figurerò qua in questa chiesa. 
Egli era una cappella grande, come dire qua l'altare maggiore che è in mezzo di questa chiesa; e il Signore era là sopra l'altare di quella cappella. 
Poi appresso a quella un altra cappella col suo altare, e sopra questo era la Vergine. 
Dipoi intorno erano molti altari, chi da mano destra, chi da mano sinistra. 
In prima li Serafini, Cherubini e tutti li Angeli con li loro altari. 
Poi li Patriarchi con li loro altari. Poi li Profeti, poi li Apostoli, poi li Martiri e li Confessori con li loro altari. 
E da un'altra parte le Vergine con il suo altare, poi le Vedove, poi le Maritate con li loro altari, e tutti verso l’ altare del Signore gridavano: —Santo, Santo, Santo—. (...)


Io dissi fra me medesimo: —Io voglio andare a visita e questi altari e chiedere qualche grazia per la città di Firenze, a quale anderò io prima?— Dissi: —anderò prima a colui che è più buono—. 

Andai adunque prima all'altare del Signore, e dissi: —O Signore, che vuol dire questi tanti altari?— 
Lui rispose: —Altare vuol dire “sacrificio”, perché chi vuol venire quassù bisogna prima che si sacrifichi; tu vuoi venire quassù? E' bisogna patire, avere prima tribulazione e essere sacrificato. Io ho preso la tua umanità, perché, non potendo patire la divinità, ho voluto assumere carne e in quella patire, per dare esemplo a voi, che per lo altare del sacrificio e del patire imparassi la via da venire quassù. E questo vuol dire prima el mio altare—. 
 
Andai all'altare della Vergine, e dissili: —Voi, Madonna, da che avete patito? Voi nascesti immaculata e stesti sempre con la mente nelle delizie del Paradiso, perché avete dunque questo altare?— 
Lei rispose: —Anche io ho patito, e sono venuta quassù per la via dello altare. Quando li Giudei perseguitavano il mio Figliuolo, e’ mi dicevano che io ero una adultera e una peccatrice, e feciommi di molte ingiurie, le quali io portai tutte pazientemente; e però qui ora ho l’altare—. 
 
Andai dipoi all’altare delli Angeli, e dissi: —Voi di che avete patito? Voi nascesti in questa patria, e al mondo non avete patito persecuzione alcuna; perché dunque avete l’altare?— 
Risposeno: —Quando quello ribaldo Lucifero volse molti angeli alle sue persuasioni, durammo una gran fatica e patimmo assai; se ci voltavamo e se non stavamo forti, stavamo spacciati: perché dunque patimmo abbiamo ancora noi el nostro altare—. 
 
Vado allo altare de’ Patriarchi e domando perché hanno l’altare. 
Rispondono: —Perché patimmo assai e durammo molte fatiche in obedire a quello che Dio ci comandava, e avemmo anche molte tribulazioni; e però abbiamo el nostro altare—. 
 
Vado alli Profeti, alli Apostoli e alli Martiri, e guardo li loro altari, e vedone alcuni segati, alcuni lapidati, alcuni tagliato el capo, alcuni saettati, alcuni morti con diversi tormenti, e a questi io dissi: —Di voi io non dubito punto, perché so che avete avuto el vostro altare e di molte persecuzioni—. 
 
Vado alli Confessori, e dimando: — Voi non avete avuta persecuzione alcuna, perché dunque avete lo altare?— 
Dicono: —Noi al tempo delli eretici avemmo a combattere e disputare la fede con esso loro, e patimmo di molte cose—. 
 
Vado dipoi alli altari delle Vergini, Vedove e Maritate, e domando: —Perché causa avete anche voi li altari?— 
Rispondono: —Perché abbiamo patito dalla carne, dalle tentazioni, dalli affanni del mondo molte tribulazioni: e però abbiamo ancora noi li nostri altari—. 
 
Veggo poi da un'altra parte molti fanciullini che non avevano altare, ma tutti correvano verso l’altare maggiore e abbracciavano la croce di Cristo, e dicevano: —Noi non abbiamo patito nulla, e però non abbiamo altare proprio. Noi non avamo libero arbitrio, ma el nostro Salvatore ha patito per noi. A voi grandi, che avete el libero arbitrio, vi bisogna patire e avere il vostro altare, se volete venire quassù—. 
 
Or voi avete veduta la visitazione delli altari, e intendete che la conclusione è che bisogna patire a volere andare in Paradiso, e che ognuno cerchi avere el suo altare.

lunedì 8 aprile 2024

"Abyssus abyssum invocat": l'umiltà di Maria ha determinato il Verbo ad incarnarsi in lei

L'umiltà di Maria è una specie di prodigio; in qual senso abbiasi ad intendere questa proposizione

Dio trovò in Maria un’umiltà non mai
prima vedutasi sopra la terra; voglio dire una umiltà congiunta a pienezza di meriti.
Esser umile senza merito, dice san Giovanni Crisostomo, è necessità e non altro; ma essere umile nell’attual possessione di tutti i meriti è prodigio, il quale poi era necessario per la incarnazione. 

L'Annunciazione di Orazio Gentileschi (1623)

Ora questo prodigio visibilmente si pare nella persona di Maria; imperocchè, osservate, l’angelo la saluta piena di grazia: Ave, gratia plena (Luc. 4, 28); ed ella protesta esser l'ancella di Dio: Ecce ancilla Domini. (Id. 38.) 

Se fosse stata solamente piena di grazia, non sarebbe mai divenuta madre di Dio, come ragiona il Crisostomo; ma perchè va fornita dell'una cosa e dell'altra, perchè essendo piena di grazia non tralascia di chiamarsi umile ancella del Signore, mediante l’opera divina è fatta madre di Dio.
 

La umiltà di Maria appare tanto più mirabile quanto che fu esercitata in altissima condizione.

Ecco a parer mio una cosa che maggiormente ingrandisce l'umiltà di Maria, anzi la esalta sopra di tutte. 
L’umiltà, dice san Giovanni Crisostomo, nella abbiezione, l'umiltà nella oscurità di una condizione vile ed abbietta, è virtù comune e popolare; ma l’umiltà nel più eccelso stato è virtù eroica; per la qual cosa Maria merita l'ammirazione non pure degli uomini e degli angeli, ma, per così dire, del medesimo Iddio. Imperciocchè per qual ragione non mi sarà permesso di dire che quegli il quale ammira la fede del Centurione e della Cananea, dovesse vie più ammirare l'umiltà di Maria?
 

Può dirsi che l'umiltà di Maria abbia determinato il Verbo ad incarnarsi.

Maria all’angelo risponde: lo sono l'umile ancella del Signore, tu mi annunzi che debbo essere madre di lui, e questo sarebbe per me un titolo di superiorità; ma bastami quello della mia dipendenza, quelIo della intera sommessione e servitù che gli ho consacrato, e da cui non mi separerò mai! Ecce ancilla, etc. (Luc. 4, 38.) 

Ora ecco il prodigio, ecco, permettetemi la frase, ecco l’opera che finalmente determina îl Verbo di Dio ad escir dal seno del padre, e discendere dal trono della sua gloria fino alla profondità del nostro nulla poichè qui si verificò a punto la parola del regale profeta: L’abisso richiama l’abisso, Abyssus abyssum invocat. (Ps. 44, 8.) 

Mentre che Maria si umilia innanzi a Dio, il Verbo di Dio s’annichila in lei; questo abisso dell'umiltà di una vergine richiama un secondo abisso maggiore, quello cioè dello annichilamento di un Dio. 
Del qual termine lo stesso san Paolo si valse a significar degnamente il mistero di un Dio umanato; Qui cum in forma Dei esset semetipsum exinanivit formam servi accipiens. (Philip. 2, 6, 7.) Questo Gesù Cristo che vi predico, diceva ai Corinti, è quel Dio che s'annichilò di per se, prendendo sembianze di servo, e assomigliandosi all’uomo.


(Il Padre Bourdaloue, primo discorso sopra l'Annunziazione - tratto dal Dizionario Apostolico del padre Giacinto di Montargon)

martedì 2 aprile 2024

"Non vi turbate, anzi rallegratevi che gli è resuscitato Cristo, capo nostro, per tirare ancora noi, sue membra, in cielo, dove sarà la nostra quiete e la nostra vera pace". Predica del martedì dopo Pasqua di fra Girolamo Savonarola

PREDICA XLVI SOPRA GIOBBE
FATTA IL MARTEDÌ DOPO PASQUA (21 aprile 1495)
DA FRA GIROLAMO SAVONAROLA

Essendo, dilettissimi in Cristo lesù, resuscitato il nostro Salvatore, era cosa conveniente che lui manifestasse e provasse questa sua resurrezione essere vera; e però in quello giorno si manifestò in più apparizioni e a più persone, e dimostrò per molti argumenti lui essere veramente resuscitato. E questo bisognava che si facessi per dare certezza e più fortitudine non solo alli suoi apostoli e discepoli, ma ancora a quelli che avevano ad esser futuri credenti in la sua fede. Per la qual cosa vediamo che questa sua resurrezione Cristo la provò in due modi, cioè con testimonii e con segni. E' testimonii furono gli angeli, che sono testimonii infallibili che non possono errare, perchè sempre veggono la faccia di Dio dove riluce ogni verità. Questi testimonii angelici dissono a quelle Marie che Cristo era risuscitato, quando gli dissono: — Voi cercate il Signore qui nel monumento: surrexit, non est hic. E' non è qui, ma è resuscitato. — 

Testimonii di questa resurrezione sono ancora le Sacre Scritture, le quali annunziano la sua resurrezione; e Lui le aprì e dimostrolle a quelli due discepoli che andavano in Emmaus per la via disputando, sì come dice qui lo Evangelio. Et incipiens a Moyse et prophetis, interpretrabatur illis Scripturas quae de ipso erant. Per molti segni ancora ha manifestato Cristo questa sua resurrezione, e prima quanto al corpo, secondo quanto all'anima, terzo quanto alla divinità, quarto quanto alla gloria. E cominciando dal corpo, dimostrò che era resuscitato col corpo vero, come prima aveva, e non con corpo fantastico e aereo, quando e' disse a’ discepoli che dubitavano: — Palpate et videte, quoniam spiritus carnem et ossa non habet. — E volse che vedessino e toccassino con mano che lui aveva ripreso il medesimo corpo che prima. E massime lo manifestò a Tommaso, quando egli disse: — Infer digitum tuum huc et mitte manum tuam in latus meum. — Cioè: — Metti qua le dita e le mani tue nelle piaghe mia, e vedrai che questo è quel medesimo corpo che è stato ferito e piagato in sulla croce. — Quanto all'anima, e massime vegetativa e sensitiva, lo dimostrò nel mangiare e nel parlare e nel conversare con loro. E quanto alla parte intellettiva, etiam lo dimostrò quando gl’instruiva e ammaestrava e esponeva le Sacre Scritture. Quanto alla sua divinità, lo dimostrò quando egli apparve e entrò alli suoi discepoli ianuis clausis, cioè essendo le porte della casa serrata, perchè questo non lo può fare alcuna forza naturale, ma solo la natura divina. Quanto ancora alla gloria e essere resuscitato col corpo glorioso, lo dimostrò quando appariva e dispariva, e quando massime ascese glorioso in Cielo. E così viene ad avere manifestata la sua vera resurrezione in tutti e’ modi possibili 

La Chiesa, nel primo di di Pasqua, legge l’evangelo della resurrezione; nel secondo, quando apparve e dimostrossi alli discepoli; ncl terzo, quando provò la resurrezione per più segni. E dovete notare che in quel giorno della Pasqua, quando resuscitò, apparse prima alla Vergine sua madre, chè così piamente si crede e è verisimile, etiam che la Scrittura non lo narri. Cinque sono le apparizioni che fece il nostro salvatore Cristo Iesù, le quali pone la Scrittura Sacra essere state fatte in quel primo giorno. La prima a Maddalena sola, quando gli apparse al monumento, che lei credeva che fusse l’ortolano. La seconda volta a lei e all’altre Marie insierne, quando tornavano dal monumento. La terza a Pietro solo. La quarta alli suoi discepoli, Cleophas e Luca. La quinta a tutti insieme, ianuis clausis, dove allora non era Tommaso con loro. Dipoi, passati otto dì, un'altra volta, che fu la sesta, apparse a tutti, e eravi Tommaso, dove lui fu certificato e disse: — Dominus meus et Deus meus. — Cioè: — Io so e veggo e confesso che tu sei il mio Signore e il mio Dio. — La settima ad mare Tiberiadis, quando e’ discepoli erano a pescare. L'ottava nel monte Tabor in Galilea; e credesi ch’ella fusse quella apparizione che dice Paulo ad Corinthtos, dove e' dice quod visus est plusquam quingentis fratribus. La nona fu recumbentibus illis seu vescentibus in Ierusalem. Et hoc fuit in die Ascensionis. La decima e ultima fu nel medesimo dì, all'ora della sua Ascensione, in sul monte Oliveto. E così furono dieci apparizioni e manifestazioni della sua resurre zione, che si trovano scritte. 

Ora, perchè questo evangelio odierno molto si congiunge con quello di iermattina, ne diremo qualche cosa e dell'uno e dell'altro, dando qualche documento e supplendo a quel che nel giorno passato fusse stato lasciato indrieto. Nel precedente sermone nostro vi discorsi e dimostrai come in più modi l'uomo, col senso esteriore e con l'immaginazione e ancora col lume naturale, spesse volte rimane ingannato, e massime quando l’uomo vuol misurare le cose sopranaturali col senso, e mescolarle col lume naturale. E dissivi che il lume della fede, semplicemente preso, è quello che non si inganna. Come tu lo vuoi congiungere col senso, tu t'inganni, e però vi dissi che bisogna astraerlo dal senso e dal lume naturale, e non lo confondere con altra cosa, ma semplicemente credere, come facevano quelli antichi della primitiva Chiesa, e’ quali con purità di cuore e con la orazione intendevano ogni cosa, quantumcunque difficile, per il grande lume della fede che loro avevano. E però io vi conclusi iermattina che la cagione perchè quelli due discepoli andavano vacillando e dubitando, era perchè mescolavano le cose della fede e di Cristo col senso e col vedere naturale, e di qui nasceva che non potevano comprendere la verità e si confondevano. E però il Salvatore, accompagnandosi con loro, gli chiamò stolti e tardi di cuore al credere, dicendo: O stulti et tardi corde ad credendum in his quae locuti sunt prophetae! E qui noi tagliammo la predica e non seguitammo tutto l’evangelio. Ora stamane l'anderemo seguitando, e così ancora l'evangelio odierno. E lasceremo ora un poco stare l'arca e lob, che vi abbiamo esposto questa Quadragesima, perchè bisogna un poca riposarsi, essendo venuti già ad un punto dove bisogna poi entrare in alto mare. Ma solo questa mattina vogliamo attendere a mostrarvi che chi non ha fede è stolto e matto, sì come il Salvatore ha detto a questi due discepoli che vacillavano nella fede: O stulti et tardi corde ad credendum in his quae locuti sunt prophetae!  

Particolare dell'opera di James Tissot [No restrictions or Public domain],
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Or notate che l'uomo per le cose corporali viene in cognizione delle cose spirituali, e mediante l’una intende l'altra. L'operazione delle cose corporali si fa per il loro movimento, e al moto loro si conasce ch'elle hanno vita. L'operazione dell'intelletto, benchè sia cosa spirituale, tamen largo modo si può dire ancora avere movimento, ma proprie intelligendo non è moto, perchè l'operazione dell'intelletto è intendere, e non è propriamente moto. E perchè tutti e' movimenti corporali si riducano a uno, cioè al primo mobile, e per quel suo moto tutte l’altre cose si muovono, però se ’l prima mobile cessasse del suo moto, tutte l’altre cose che si muovono si fermerebbono, è non sarebbe cosa che più operasse, perchè la vita e l’operazioni di quelle dependano tutte da quello. In tanto che dicono alcuni di questi naturali che se 'l fabbro avesse il braccio alto col martello per battere il ferro, e in quel punto si fermasse il primo mobile, che ’l fabbro resterebbe col braccio in aria, nè potrebbe finire il colpo nè la sua operazione; benchè alcuni altri dicano il contrario, facendo differenzia dal moto delle cose naturali al moto del libero arbitrio. Basta bene che ne' moti naturali questo è vero, che, cessando il primo mobile, ogni cosa fermerebbe il suo movimento naturale. Non toccando or qui noi le cose divine, sappi bene che questo primo movimento del primo mobile e così tutti gli altri moti naturali, alfine si reducono a Dio, ch'è primo motore det tutto. Così ancora e’ movimenti spirituali, e consequenter il moto dell'intelletto, tutti vengono da Dio. Piglia un intelletto, pieno di lume naturale quanto tu puoi: se ‘l primo motore non lo muove a qualche bene, in eterno non si moverà. Vedi l'apostolo Paulo che tel dice: Non sumus sufficientes ex nobis, tanquam ex nobis aliquid cogitare, sed omnis sufficientia nostra ex Deo est. Cioè: Noi non siamo sufficienti da noi medesimi non che fare e operare, ma nè ancora pensare alcuna cosa buona, se da Dio non siamo mossi, perchè depende da Dio il tutto e dalla sua sapienzia, la quale attingit a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter. La sapienzia e provvidenzia di Dio piglia e tocca e dispone tutte le cose dal loro principio al fine. 

Stante dunque questo fondamento, che Dio è quel che muove ogni cosa, dobbiamo ancora intendere questo: che Dio, quelle cose che lui muove, le muove secondo la forma che Dio ha dato loro. E perchè l'intelletto umano ha questa forma d'intendere mediante e’ sensi non ha naturalmente altro modo da intendere se non mediante e' sentimenti che Dio ha dati all'uomo. Ma perchè questo modo d'intendere è solo sufficiente quanto all'intendere quelle cose che si possono intendere secondo il lume naturale, però l'intelletto nostro non può conoscere per sè il fine suo, e qual sia il fine della vita umana, perchè questo è cosa sopranaturale. E però l'intelletto, per sè, di questo non può essere capace. Per la qual cosa, acciocchè l'uomo non sia fatto indarno, ma che intenda e si possa condurre al suo fine, gli bisogna dunque un altro lume che 'l naturale solo, e questo è il lume della fede che è lume sopranaturale che li fa vedere, cercare e conoscere il suo fine sopranaturale e la sua beatitudine essere nell'altra vita e non in questa, e con questo lume cercandola, a quella si conduce. E dato che forse alcuni potessino, per gran lume naturale, conoscere questo fine dell'uomo, bisognerebbe che fusse con grande lunghezza di tempo e con grande studio, e però pochissimi sarebbono quelli che vi si conducessino, e seguiterebbene che quasi indarno sarebbe ordinato il Paradiso per fine dell'uomo. 

Concludiamo adunque che questo lume della fede è necessario all'uomo per conducersi al suo fine e alla sua felicità, e però ne seguita che chi non ha fede, cioè lume sopranaturale, e non crede, è stolto, come ha detto qui Cristo a questi due discepoli che vacillavano nella fede: O stulti et tardi corde ad credendum. La stoltizia è contraria alla sapienzia: la sapienzia è quella che vede e conosce il fine e dirizza ogni cosa al fine per conseguitarlo. E però diciamo che quell'uomo è stolto che non conosce il suo ultimo fine; e perchè questo non si può conoscere nè conseguire sanza fede, però concludiamo che chi non ha fede è stolto e matto, per questo primo fondamento e per questa prima ragione. 

Or piglia quest'altra. Se tu guardi bene coloro che sbeffano le cose della fede e non le credano nè v’aderiscano, vedrai che sono tutti uomini disregolati e quasi sanza legge alcuna; e però, se non hanno governo di se stessi, e non hanno ancora della casa loro nè della loro famiglia, manco ne possono avere ancora della loro città; e però sono stolti, e questa stoltizia loro nasce, massimamente, dal non aver lume di fede. E se tu dicesse: — E' si vede pur dimolti che conoscono e saperebbono bene ordinare ogni cosa, benchè non lo faccino —, e io ti rispondo che tanto più sono stolti, quanto più conoscano e non lo fanno. Chi non conosce la provvidenzia di Dio nè il fine della vita sua nè la sua beatitudine ch'è nell’altra vita, è stolto; e questi tali tu li vedrai sempre mancare in qualche cosa della fede, perchè non hanno lume e vanno vagando pieni d'errore, come erano quelli del tempo de’ filosofi antiqui e del tempo della idolatria. Chi niega le cose di Cristo è stolto, perchè si vede tutte essere state e successe, secondo ch'erano state predette prima centinaia d’anni e annunziate da parte di Dio. Va’, leggi tutta la Scrittura, e vedrai che non ne falla uno iota; però chi le niega, è al tutto stolto e fuora del sentimento. Guarda il modo del parlare della Scrittura Sacra: non troverai alcun'altra ch'a quella s’assomigli, e è fatta in tal modo che chì non va con fede v’inciampa dentro e cade in molti errori, come sono stati gli eretici. Ma chi la legge con semplicità e con fede, come hanno fatto e’ sacri dottori, vi truova dentro ogni verità. Bisogna dunque fede, a volerla bene intendere; e però chi non ha fede è stolto. Praeterea, la consonanza delle scritture del Vecchio e Nuovo Testamento insieme, ti dimostrano la fede nostra esser verissima, chè tutte concordano e l'una consuona con l'altra. Così la concordanza de' santi dottori passati, che sono stati uomini purgatissimi nell'intelligenzia di quella, ti dimostra il medesimo. 

Adunque, chi non aderisce alle cose della fede con purità di cuore, è stolto. Praeterea la buona vita di tutti i santi passati e di quelli c'hanno creduta questa fede, ti manifesta la verità di quella: adunque, chi non crede a quelle persone che tengano e hanno tenuta miglior vita che ogni altro, bisogna dire che sia totalmente stolto. Vedesi ancora quelli che hanno voluto contradire alle cose della fede esser caduti sempre in molti errori. Si cerca l'affetto: essersi inviluppati nelle cose terrene e mondane. Si cerca l'intelletto: essere stati sospetti di eresia. E però è vero quello che diciamo: che chi non ha fede è stolto. E questa conclusione t'ho voluto mostrare questa mattina, mosso per le parole del Salvatore, che disse a questi due discepoli, che vacillavano nella fede, che egli erano stolti. O stulti et tardi corde ad credendum in his quae locuti sunt prophetae! Stolti veramente siate, disse il Signore a questi due discepoli, perchè voi non credete le cose che hanno parlato e detto e' profeti da parte di Dio. 



Questi due discepoli erano dubbii nella fede, perchè in parte amavano Cristo e la sua dottrina, e in parte pure ancora dubitavano, vedendo essere stati fatti tanti obbrobrii di lui insino alla morte. E però, fuggendosi di lerusalem e camminando verso il castello di Emmaus e parlando insieme, per la via, di Cristo e delle cose che gli erano incontrate in quelli giorni, sopraggiunse intra loro il Salvatore, sì come ha promesso nel Evangelio: — Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ego sum in medio eorum. — Cioè: Dove sono dua o tre congregati in nome mio, cioè che parlino o pensino di me, io sono sempre con loro. — E però a questi discepoli, che altro non pensavano e altro non parlavano che di Cristo, lui apparse in mezzo di loro, benchè non lo conoscessino, perchè dubitavano, e domandolli: — Qui sunt hi sermones quos confertis ad invicem ambulantes, et estis tristes? — Cioè disse loro: — Che parlari sono e’ vostri, che voi conferite insieme e siate così maninconiosi? — Non disse però così il Salvatore perchè e’ non sapesse di quello che parlavano, ma per eccitarli a parlare e poterli riprenderli e correggerli; e però, udendo poi le loro parole, gli riprese e disse: O stulti et tardi corde ad credendum. Ma prima che li riprendesse, gli fe’ parlare assai, chè, essendo interrogati da lui di che e’ parlavano, risposono: — Tu solus peregrinus in Ierusalem et haec ignoras? — Cioè: — Tu solo sei peregrino in Ierusalem, che non sai quello che a questi giorni qui si è fatto nella città? — Quasi volendo inferire: questa cosa della morte di Cristo è stata cosa tanto notoria e pubblica, che non solo quelli della terra ma ogni forestiero e peregrino l’ha intesa, che quell’Iesù Nazareno, ch'era uomo di tanta bontà, potens in opere et sermone, sia stato morto con tanto vituperio. E credevano, questi discepoli, ch’el fusse ancora allora morto, e non conoscevano ch’el viveva e parlava con esso loro. E quasi che loro dicessino: — Tu vedi, noi ci fuggiamo di Ierusalem per la grande persecuzione ch'è ancora contra tutti quelli che li credevano; e però per timore ci partiamo. — Così dubito di voi, dilettissimi miei, per rispetto de’ tiepidi, perchè, come altra volta io v'ho detto, sarà maggiore persecuzione la loro contra di noi che non fu quella degli eretici contra de’ fedeli. 

Portella interna dell'Altare di Schöppingen
con quattro Scene della Passione

Or questi dua discepoli non conoscevano Cristo che parlava con loro. Alcuni dicono, come fu Alberto Magno, che loro erano ingannati dall'immaginazione, perchè non reputavano che fusse possibile che Cristo, essendo morto in tanta ignominia, potesse resuscitare, é benchè lo vedessino e parlassino con seco, stimavano che fussi un altro che lo somigliasse. Altri, come fu santo Augustino, dicono che non è inconveniente credere ch’el diavolo occupasse in tal modo la loro fantasia, che non lo sapessino o potessino discernere nè conoscere. Altri dicono ch’el Salvatore potette mutare effigie, e che si può mutare un corpo quanto alla superficie e al colore naturalmente, benchè non quanto alla sustanzia, e però non lo conoscevano. Or, per qual causa sì fusse, basta che ’l testo dice: Oculi eorum tenebantur ne eum agnoscerent. Cioè che gli occhi loro erano tenuti che non lo conoscevano. 

Or, avendoli il Salvatore uditi che dicevano e confessavano che Cristo era stato uomo potens in opere et sermone, cioè che le sue operazioni erano state buone e così la sua dottrina, gli rispose e disse: O stulti et tardi corde ad credendum! Quasi come se dicesse: — O stolti che voi siate! Se voi avete veduto la sua buona vita e la dottrina sana, perchè dubitate voi? Se voi dite ch'egli era potens in opere et sermone, questo vi debbe bastare. Li Scribi e Farisei, ch'erano ostinati, benchè vedessino questo non potevano credere, ma voi, discepoli suoi, non doverresti dubitare. — Confessavano questi discepoli la buona vita e la dottrina sana, ma non sapevano poi applicare e concludere che per questo loro dovevano credere, e non dubitare. La buona vita è quella che fa il tutto, come altra volta vi ho demostrato; la buona vita, più che la dottrina, è quella che convince e converte ognuno. Sa’ quanto tu sai: se non v'è la buona vita, non farai mai frutto alcuno. E perchè in Cristo era la santissima vita, però le sue parole e li suoi sermoni erano potenti a commutare il cuore degli uomini e conducerli alla verità, se non erano ostinati. Dovevano questi discepoli, avendo veduto l’opera di Cristo e la buona vita, non dubitare punto, massime avendoli predetto la morte sua e più altre cose che poi l'avevano viste verificate. E però ìl Signore gli chiama stolti, perchè vedendo ancora tutte le profezie verificate in lui e che ogni cosa correspondeva, non avevano da dubitare, perchè quando ogni cosa si coniunge e concorda, non bisogna dubitare punto, ma credere che tutto è da Dio, come altra volta ancora io v’ho demostrato. E però: Tardi corde. Erano, questi discepoli, tardi di cuore, perchè non avevano tanto amore che bastasse; se avessino avuto amore e carità e fussino al tutto spiccati dall'uomo e dalle cose terrene, sarebbono stati ancora illuminati più presto, perchè colui che veramente ama non ha bisogno di maestro, ma l’amore è quello che l’ammaestra e insegna ogni cosa. E perchè loro non avevano tanto amore che li bastasse a conoscere il tutto e vedere questa verità della resurrezione di Cristo, però bisognò che 'l loro maestro Cristo glie n’insegnasse e dimostrasse. Incipiens a Moyse et omnibus prophetis, interpretabatur illis in omnibus Scripturis quae de ipso erant. E cominciò da Moisè e da tutti e' profeti, e mostrò loro per tutte le Scritture questa verità. Or vediamo quel che lui disse, e come e’ provò loro questo per tutte le Scritture.

Nonne oportuit haec pati Christum? Cominciò il Salvatore, discorrendo tutte le Scritture, a mostrare a questi discepoli che la passione e la morte e la resurrezione di Cristo era stata prevista e profetata e prefigurata per molte profezie e figure e scritture così dover essere, e che però, se loro dubitavano di questa resurrezione, che egli erano stolti. E cominciando dal principio del mondo e dal primo uomo e nostro padre Adam nel libro del Genesis, vedi quel che significa e ci figura la dormitazione di Adam, e dopo la donna, formata della costa sua, che lui si svegliò dal sonno, e conoscerai che questo fu figura della morte e resurrezione di Cristo. Poi, se tu leggi Abel, che fu morto dal fratello e fu dato per sacrificio a Dio, ma non già per li suoi peccati, conoscerai essere figura di Cristo. Considera poi Abraam che per ubbidire a Dio volse ammazzare e dare in sacrificio il proprio suo unigenito figliuolo. E così vedi poi Ioseph, venduto da’ fratelli, e prima messo nella cisterna e quivi come sepolto, e poi cavato di quella. E poi troverai l’arca di Noè, e conoscerai tutte queste cose esser prenunziative delli misterii e cose di Cristo. Va, e leggi poi nei libro dello Esodo, e troverai lo agnello pascale, il quale tutto figura Cristo offerto in su la croce, il di' avanti la Pasca de' Giudei. Così tutto quello che vi si legge dell'arca, dove erano le tavole della legge, la manna, la verga, la quale messa nell'acque amare le fece diventare dolci. Tutte cose figurative del Salvator nostro, che con l'amaritudine e passione della Croce ha fatto ogni cosa diventar dolce alli suoi cristiani. Discorri poi il libro del Levitico e de' Numeri, tutti quelli sacrificii vedrai di notare tutti e' misterii e le cose di Cristo. Tutti e’ profeti, poi, se tu li vai discorrendo, vedrai che non è cosa alcuna, fatta nella persona di Cristo dal suo nascimento e ancora innanzi a quello e insino alla morte e alla resurrezione e ascensione sua, che non sia stata prenunziata e profetata centinaia e migliaia d’anni innanzi. 

E però t'ho detto che chi vacilla nelle cose di Cristo e nella sua fede, è stolto e fuori d'ogni ragione, come erano ancora questi due discepoli che n’andavano disputando. Così ancora possiamo dire essere stolti questi che disputano del sacramento dell’altare, e vogliano col lume naturale e col loro intelletto intendere quello che non si può, e che 'l lume naturale non v'aggiunge. Guarda pure gli effetti che fa questo santo e vero sacramento in chi lo piglia bene, e, e converso, in chi lo piglia male, e conoscerai che non possono essere da causa naturale, ma dalla divinità e da Cristo, che quivi è realmente; e questo te lo detta anche la ragione naturale: che tali effetti non possono essere se non da Dio e da cosa divina. E se tu vuoi ben gustare gli effetti di questo sacramento, bisogna che tu viva purificatamente e non nelle delizie del mondo; bisogna, dico, patire, e così patendo purificarsi, però c'ha detto qui Cristo: Oportuit pati Christum et ita intrare in gloriam suam. Bisogna patire, ti dico io, se tu vorrai entrare nella gloria dov'è salito Cristo; non v’entra in quella gloria se non spiriti purgatissimi d’affetto e d’intelletto. 

Or procedendo e camminando Cristo con questi discepoli, s'approssimava la sera, secondo che qui narra l’Evangelista, e appropinquandosi loro a quel castello, Christus finxit se longius ire. Cioè il Signore pareva che ’l volesse andare più di lungi. Non credere, però, che dicesse mendacio, ma ben mostravasi così perchè il cuore loro era molto discosto dal Signore, perchè non avevano fede nè credevano che lui fusse resuscitato; ma loro, pure allettati e mossi dal parlare che aveva fatto Cristo con loro per la via, gli dissono: — Mane nobiscum, Domine, quoniam advesperascit. — Cioè: — Statti questa sera con esso noi, perchè e’ si fa notte. — In quella primitiva Chiesa erano molto dedite le persone alla ospitalità de’ peregrini e viandanti: etiam che non li conoscessino, gli ricevevano volentieri. Et ideo coegerunt eum. Lo costrinsono, dice qui lo Evangelista, e entrò con loro. Bisogna far forza, chi vuole ritenere Iesù con seco. Sapete che gli è scritto: Regnum caelorum vim patitur et violenti rapiunt illud. Cioè che ’1 regno del cielo patisce forza, e chi fa forza lo piglia; e però questi discepoli forzorono Cristo che rimanessi con loro. Non credere però che Cristo fusse sforzato, ma vuol dire che noi facciamo ogni nostra forza e ogni nostro potere, dal canto nostro, di volere essere con Cristo e di ritenerlo con esso noi; ma lui per sua bontà e per sua natura sta con chi lo cerca e con chi lo vuole. Sì come e’ fa il sole verso delle cose naturali che, quando le sono bene disposte, non gli manca mai del suo influsso e del suo lume per condurle alla loro perfezione. 

Se tu hai l'olivo o la vite bene disposti, delle cose inferiori, e il sole li volesse negare il suo influsso, non potrebbe, perchè di sua natura è di dare la sua virtù a tutte le cose naturali ben disposte; e la pianta che è ben disposta, attrae l'influsso e la virtù dal sole, e lui non gliene può negare, nè mai la niega. Così Cristo, che è il sole della giustizia, non mai diniega la sua grazia a chi la vuole, e che fa ogni forza dal canto suo di volerla. Ne è, per questo, forzato Cristo in cosa alcuna, ma per sua natura e bontà concede a ciascuno quel che vede essere il suo bisogno. Et praesertim ci concede le grazie che domandiamo quando siamo aiutati da gli altri santi, che priegano per noi. Come fece alla Cananea, quando fu aiutata dagli apostoli, che dissono: — Domine, dimitte eam, quia clamat post nos. — E fu essa udita, benchè lei più volte domandasse e più volte fusse ributtata. E così tu, benchè tu non sia così presto esaudito, Dio lo fa perchè meglio ti disponga a ricevere la grazia; e non è perchè ti voglia dinegarla, anzi n'ha più voglia di te di concedertela. Come fa il padre al figliuolo, che lo fa più volte chiedere la cosa, benchè lui abbi più voglia di dargliene che 'l figliuolino di riceverla. E però dice qui quod Christus finxit se longius ire, che Cristo mostrava di volere andare più di lungi e non fermarsi con quelli discepoli co’ quali pure voleva fermarsi, sì come tu vedi che si fermò, perchè lo conoscessimo, come finalmente lo conobbono in fractione panis, chè, posti a mensa e partendo il pane, lo conobbeno. 

La cena di Emmaus,1537, Jacopo da Ponte detto il Bassano

 

Fate adunque, dilettissimi, come feciono qui questi due discepoli: costringete il Signore con le vostre orazioni e col bene operare, e dite come dissono questi discepoli: Mane nobiscum Domine, Signore sta’ con esso noi, non ti partire da noi, quoniam advesperascit. Cioè, perchè egli è fatto sera. Non vedete voi che nella Chiesa di Dio è già fatto sera, e che non si vede già più lume, e che noi siamo al fine dal quarto stato della Chiesa? Et inclinata est iam dies. Egli è già spento quel lume della primitiva Chiesa, e però la s'ha a rinnovare; e allora voi direte come quelli Samaritani, che dicevano alla Samaritana: Non propter tuam loquelam credimus, sed quoniam ipsi vidimus. Quando voi vedrete rinnovata la Chiesa, allora direte che voi siati chiari di quel che noi v’abbiamo detto. Vedrete, dico, commuovere ogni cosa, e poi rinnovarsi la Chiesa di Dio. Firenze, fa’ orazione, abbi fede, sopporta in pazienzia, e vedrai alfine essere vero quello ch’io t'ho detto, e conoscerai la verità, e saratti aperti gli occhi sì come furono aperti qui a questi due discepoli, che conobbono Cristo in fractione panis. Come questo spezzare del pane fusse fatto, molti dicono molte cose e variamente, perchè l’Evangelio non dice in che modo fusse fatto. Questi discepoli allora conobbono che gli era Cristo, maestro loro; così a voi sarà ora aperti gli occhi, se camminerete in verità. E sì come questi discepoli ritornorno in Ierusalem, a dire agli altri discepoli ch'avevano veduto il Signore resuscitato, così voi annunzierete alli vostri vicini, e ognuno sarà tirato al lume di Dio in questo modo. E questo basti quanti all’evangelio del giorno passato. Ora andiamo a quello del presente giorno.

Stetit Iesus in medio discipulorum et dixit: Pax vobis! Stette il Signore nostro in mezzo degli suoi discepoli e disse loro: — Pax vobis. — Cioè: — La pace sia con voil — Quest’altra apparizione fu immediate, chè quelli due discepoli erano ritornati in Ierusalem e narravano agli altri come il Signore era apparito loro, e quel che gli aveva detto. E allora, essendo tutti così congregati insieme, il Signore apparse in mezzo di loro, e salutolli dicendo: — Pax vobis. La pace sia con esso voi. — La pace, dilettissimi, è da essere amata, perchè l’è sposa dell’anima nostra, e dall'uomo, come sposa sua, debba essere amata. Inquire pacem et prosequere eam. Dice la Scrittura: Cerca la pace, e seguitala, e tienla sempre teco e nel cuor tuo, perchè ogni volta che tu arai la pace nel cuore, venga che tribulazione si voglia, tu non la sentirai. 

Ma la vuole esser la pace di Dio, non quella del mondo; vuole essere quella che Cristo lasciò a’ suoi discepoli: Pacem meam do vobis; non quomodo mundus dat, ego do vobis. Questa, chi l'ha, supera ogni senso, sì come dice l’Apostolo: Pax Dei superat omnem sensum. E però, chi ha questa pace, poco o niente sente le tribulazioni. Ma a volerla possedere, si ricercano tre cose, le quali hanno tutti coloro c'hanno questa pace, cioè povertà, amore e croce. Quanto alla povertà, vediamo che quella dà più pace che non fanno le ricchezze. Se le ricchezze dessino pace, quanto più l'uomo ne avesse, arebbe antora sempre più pace; ma noi vediamo per esperienzia tutto il contrario: che questi ricchi, quanta più roba hanno, tanto più ogni dì s’inquietano e tanto più s'inviluppano nelle cose del mondo, e tanto più crescano e’ loro desiderii e le loro sfrenate voglie. Adunque si vede che le ricchezze non recano la pace del cuore e della mente, ma tutto il contrario; anzi si vede che 'l  fine della roba e delle cose del mondo non è recare pace all'uomo, anzi molta inquietudine. Quelli che sono stati poveri volontarii, cioè poveri di spirito, come sono stati gli apostoli e gli altri santi, tutti sono stati pieni di questa pace, tutti e’ servi di Cristo hanno in sè questa vera pace. Vedi nella primitiva Chiesa in quanta pace e unione vivevano! Non fu mai la Chiesa di Dio in tanta pace, quanta ella era quando la viveva in povertà. Vedi pure oggi con le sua ricchezze e con le sue pompe quanta pace tu truovi infra loro, tutti pieni d’odii e d'invidia l'uno con l'altro. Quanto all'amore, se tu aggiugni alla povertà l’amore fervente e retto verso di Dio, non è al mondo il più felice stato. Guarda pure quelli màrtiri: per il grande amore e carità che avevano verso di Cristo, tutti godevano nel mezzo de’ martirii, abbandonando le ricchezze e le dignità e gli onori per amore di Cristo. La terza è la croce: cioè patire volentieri improperii, flagelli e morte.

In questi è la vera pace di Dio, e a questo modo s'acquista questa sposa. Piglia, cristiano, questa sposa, piglia questa pace, e sarai sempre felice. Apparì dunque il Signore in mezzo di questi undici discepoli, salutandoli con questa pace. Et conturbati sunt. Loro si conturborno, perchè non avevano ancora vera fede nè questa pace. La povertà, la croce, non piace così ad ognuno; anzi chi è ancora appiccato al senso si conturba. Disse loro il Signore: — Quid conturbati estis? Perchè vi turbate voi? Voi non credete ancora che veramente io sia resuscitato. Io sono pur quel medesimo vostro maestro di prima. Voi v’immaginate forse ch’io sia un spirito sanza corpo. Quae cogitationes ascendunt în corda vestra? Che pensieri sono questi vostri? Venite et videte, quoniam spiritus carnem et ossa non habet. Toccate questo mio corpo, e vedrete che ’l non è spirito, perchè lo spirito non ha ossa nè carne, come voi vedete me avere. — Così dico io a voi, dilettissimi: Non vi turbate, anzi rallegratevi che gli è resuscitato Cristo, capo nostro, per tirare ancora noi, sue membra, in cielo, dove sarà la nostra quiete e la nostra vera pace. 

Questi discepoli erano ancora spauriti, e Cristo, per confortarli e certificarli della sua resurrezione, disse loro: — Habetis aliquid quod manducetur? Avetici voi cosa alcuna da mangiare? — Non crediate però che lui n’avesse voglia nè bisogno, ma fece per certificare ancora per quest'altro segno la sua vera resurrezione, e che lui aveva reassunto quel medesimo corpo umano che prima aveva. Che volete voi dare a mangiare al Signore? Forse e’ vostri peccati o le dignità e onori e roba di questo mondo? No, no, nè il Signore nè li servi suoi si pascano di queste cose. Obtulerunt ei piscem assum et favum mellis. Posono dinanzi a Cristo un pesce arrostito e un favo di mèle. Il pesce arrostito e arso nel fuoco delle tribulazioni è Cristo, nostro capo: così bisogna che siano le membra, così bisogna che siano e’ servi suoi, arsi dalle tribulazioni, come fu lui per noi in sulla croce. Ma tolse anche il favo del mèle, perchè Cristo gli mescola con questa amaritudine delle tribulazioni tanta consolazione, che volentieri le fa sopportare a’ servi suoi, che quasi non le sentano, mescolate con la sua divina grazia. 

Mangiò il Signore in presenzia delli suoi discepoli, e poi dette loro di quelle reliquie, come se dicesse: — Io ho sopportato la mia passione per voi in sulla croce e ci restano anco delle reliquie per voi: arete ancora voi la vostra parte, discepoli miei, di questa croce e di questo pesce arrostito, ma confortatevi che ci sarà ancora el favo del méle, cioè la dolcezza e consolazione che in quelle vi sarà data. Haec sunt verba quae locutus sum vobis. Queste sono quelle cose che già io, innanzi la mia morte, vi dicevo che avevano a essere, e però, essendo venute, tanto più dovete confirmarvi nella fede. Così dico a voi, dilettissimi: quando saranno venute le cose ch'io v'ho dette, doverrete tanto più confermarvi e laudare Dio, qui est benedictus et laudabilis et gloriosus in saecula saeculorum. Amen.