giovedì 2 maggio 2024

Le formule liturgiche o cultuali mariane esprimono la fede della Chiesa sulle verità relative a Maria SS.ma

 Altri testi mariologici
(dal libro "Mariologia biblica" di padre  Stefano M. Manelli)

 
Se la Liturgia è un «luogo teologico», è soprattutto al valore non certo trascurabile di questo «luogo teologico» che noi dobbiamo il senso mariano di altri testi dell'Antico Testamento. 
La novella Liturgia instaurata dal Vaticano II ha offerto un discreto numero di testi biblici tratti dall’Antico Testamento e adoperati per le solennità, le feste, le memorie e le ricorrenze mariane (1).
Parlare però — come fanno alcuni — di senso solo accomodatizio nell’uso liturgico di diversi testi veterotestamentari, oltre che poco onorifico per la Liturgia, sembra apparire in netto contrasto con il genuino senso teologico della Liturgia, che valuta e adopera ogni brano biblico — dell’Antico o del Nuovo Testamento — alla luce della Rivelazione di Cristo, .del compimento della Redenzione e del «sensus fidei». della Chiesa maestra di verità (2).
«La mariologia — afferma il Le Deaut — non sì può accontentare di considerare l'Antico Testamento come un tesoro d’immagini applicabili alla Vergine in senso accomodatizio, molto elastico. Esso contiene, sulla Madre del Messia, una rivelazione autentica, sia pure solamente abbozzata, che si scoprirà nel Nuovo Testamento, rivelatore dell’Antico, e nell’interpretazione tradizionale della Chiesa» (3).
 
Sacra Scrittura, Chiesa e Liturgia vanno sempre insieme, in organicità di legami fecondi e vitali per la fede che salva l’uomo. 
 
Molto opportunamente, infatti, il P. Roschini, trattando del valore teologico del culto mariano, fa notare che «la preghiera liturgica della Chiesa (il suo culto) è espressione della fede della Chiesa, la quale fede antecede la preghiera liturgica (il culto) e perciò è garanzia della fede... Conseguentemente, non è la liturgia (con le sue forme liturgiche o cultuali) quella che genera la fede o le verità della fede, ma è la fede che genera la liturgia, ossia le espressioni cultuali o liturgiche, come l’albero. genera il frutto, e non viceversa» (4).
Per questo è stato anche scritto, giustamente, che «l’interpretazione liturgica dei testi scritturali ha una importanza teologica di prim’ordine» (5), perché è un portato della fede genuina della Chiesa, e «le formule liturgiche o cultuali mariane, ossia il culto mariano, perciò, non fanno altro che esprimere, manifestare la fede della Chiesa sulle varie verità relative a Maria SS.» (6).

Ebbene, fra i testi veterotestamentari adoperati e interpretati in senso mariologico dalla Liturgia — oltre i tre testi fondamentali del Genesi, di Isaia e di Michea — ve ne sono almeno altri quattro più importanti, dei quali due sono stati riportati e interpretati mariologicamente anche dal Concilio Vaticano Il: ossia, quello sui «poveri di Iahvé» e quello sulla «figlia di Sion» (7).

Nel capitolo ottavo della Lumen gentium è scritto: «Essa (Maria) primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza» (8).

In diversi salmi è descritta la realtà degli «anawim» di Dio, i veri «poveri di Jahvé» (9). Essi sono i figli di Abramo, umili e timorati di Dio, oppressi dagli uomini, ma fiduciosi nel Signore che li salva. Tra le vicende più dolorose del popolo eletto, nella tragedia delle deportazioni e dell’esilio babilonese, i «poveri di Jahvé» realizzano la più alta ascesi veterotestamentaria e, per la loro fedeltà a tutta prova, costituiscono quel «resto di Israele» da cui uscirà il rinnovato popolo eletto, la Chiesa di Cristo.

Nel Magnificat, la Madonna stessa si colloca appunto fra gli umili, oggetto della compiacenza di Dio, che «ha guardato l’umiltà della sua serva» e che «ha innalzato gli umili» (Lc 1,48).

Nel dialogo con l’Angelo, all’Annunciazione, nel momento stesso in cui accetta la sublime missione della Maternità divina, la Vergine Maria dice il suo Fiat come una povera «ancella del Signore» (Lc 1,38).
Sappiamo che la Madonna fu povera dal punto di vista sociale ed economico, vivendo in un paesello minuscolo e di nessun conto («da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?»: Gv 1,46), nascosta e ignorata da tutti.

Lo stesso Concilio Vaticano II rileva che, per la sua povertà, Maria SS. dovette fare al Tempio l'offerta dei poveri (10). Ma questa povertà esteriore era segno e figura della grande povertà interiore che fece di lei, per antonomasia, «l’umile vergine», modello e maestra della povertà di spirito beatificata dal Signore Gesù nel discorso della montagna: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 11,29) (11).

« Eccelsa Figlia di Sion »

Leggiamo nella Lumen gentium: «Eccelsa figlia di Sion con lei, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova Economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l’uomo dal peccato» (12).

Sion è la terra-madre di quei «poveri di Jahvé» che costituiscono il «resto di Israele», da cui sorgerà il «nuovo Israele»; e il monte Sion è figura del regno eterno di Jahvé rinnovato in un popolo nuovo, come annunciò il profeta Michea: «In quel giorno — dice il Signore — radunerò gli zoppi, raccoglierò gli sbandati e coloro che ho trattato duramente. Degli zoppi io farò un resto, e degli sbandati una nazione forte. E il Signore regnerà su di loro sul monte Sion, da allora e per sempre. E a te, Torre del gregge, colle della figlia di Sion, a te verrà, ritornerà a te la sovranità di prima, il regno della Figlia di Gerusalemme» (Mic 4, 6-8).

Maria è l’«eccelsa figlia di Sion», ossia è appunto colei che tra gli umili e i poveri del Signore fu eletta per dare compimento alle promesse antiche della salvezza, instaurando la «nuova Economia» del riscatto redentivo dell’umanità dal peccato, per il ritorno alla «sovranità di prima» (13).

Sion, in origine, era la rocca dominante di Gerusalemme, espugnata da Davide, che vi costruì la sua reggia e vi trasportò anche l’Arca dell’Alleanza (14). Per questo Sion era chiamata «città di Davide» e «dimora di Jahvé». 
Con il re Salomone, in seguito, si cominciò a chiamare Sion anche il monte dove egli fece costruire il nuovo Tempio e la nuova reggia, a nord di Gerusalemme (15).
Infine, con la parola Sion, si arrivò a indicare l’intera Gerusalemme e l’intero popolo di Israele, che vengono accomunati anche in diversi altri testi veterotestamentari, oltre che in quello sopra citato di Michea (16).

Maria, «eccelsa figlia di Sion», porta in sé il compimento del disegno salvifico di Dio e diviene ella stessa personificazione del nuovo Israele, la più vera «dimora di Jahvé», per l’incarnazione del Figlio di Dio che restaura il regno di Israele con un dominio che non avrà mal fine,

Per tutto questo, il tema della « Figlia di Sion » trova i suol richiami più fecondi e gioiosi nei testi di Sofonia (3, 14-17) e di S. Luca (1,28-33) (17).
Nell'uno e nell'altro c'è l'esultanza messianica che fa prorompere nel grido gioioso: «Esulta», Sofonia preannuncia il futuro dell'avvento di Dio: «Esulta, figlia di Sion... » (3, 14), L'Angelo, invece, annuncia a Muria la gioia dell'arrivo del Verbo di Dio che sta per incarnarsi in Iei: «Esulta, o piena di grazia...» (Lc 1,28) (18).

Maria SS. e la Sapienza

Certamente fra le pagine più alte dell’Antico Testamento ci sono quelle riguardanti la Sapienza, presentata come ipostasi di Dio, Verbo del Padre, che preesiste e presiede a tutta l’opera della creazione.

Orbene, queste pagine del Siracide (24, 3-21) e dei Proverbi (8, 22-35) — fatte le debite restrizioni — dalla Chiesa sono state applicate a Maria SS. fin dal secolo VII per la festa dell’Assunzione (Sir 24, 3-21) e dal secolo X per la festa della sua Natività (Prv 8, 22-35). 
Specialmente la pagina dei Proverbi, nella sua solenne bellezza e sublimità di espressioni, di immagini, di concetti ci porta a contemplare l’origine di Maria nel pensiero eterno di Dio. La Sapienza «si traspone, per riflesso e partecipazione, a Maria, la Madre del Verbo di Dio» (19).

Ci si può chiedere, però, se l’applicazione di tali testi a Maria Vergine sia fatta solo in senso accomodatizio o in qualche altro senso biblico particolare più appropriato.

Diciamo subito che sembra davvero strano il parere di quegli autori i quali parlano, troppo sbrigativamente, di pie accomodazioni biblico-liturgiche, pur sapendo bene che Maria SS. fu da Dio predestinata fin dall’eternità «uno eodemque decreto» con il Verbo Incarnato, come dice luminosamente la Bolla «Ineffabilis Deus», con esplicita applicazione a Maria delle parole della Sapienza (20).

« A causa della sua intima partecipazione attiva all’Incarnazione del Verbo di Dio — scrive Mons. Romeo — essa (Maria) riveste in certa misura la missione e le prerogative della Sapienza ipostatica che «ha posto la sua abitazione fra noi» (Gv 1, 14). Non si tratta di accomodazione arbitraria, bensì di senso «pieno» postulato dal mistero dell’Incarnazione. La Sapienza increata, incarnandosi in Maria, fa di essa il centro della Verità e della Vita (Sedes Sapientiae(21).

Inoltre, riesce davvero difficile ammettere che la Liturgia, in quanto «lex orandi», così strettamente correlata alla «lex credendi», si voglia servire di pie accomodazioni per illuminare e santificare i fedeli sotto l’azione dello Spirito Santo.

Si noti, piuttosto, che l’applicazione fedele e costante, per molti secoli, di queste pagine bibliche a Maria SS. «non può spiegarsi — scrive giustamente il P. Pietrafesa — a livello di semplici «accomodazioni» più o meno felici, ma deve essere valutata sul piano teologico, proprio dalla loro utilizzazione nella liturgia. Questo legge la Bibbia con occhi cristiani, alla luce delle meraviglie che Dio ha compiuto in Cristo e nella Vergine Maria, e quindi non sorprende che vegga un senso molto più ricco, esteso e profondo, sconosciuto ai contemporanei e allo stesso agiografo. Il quale senso suppone evidentemente quello letterale, ma nello stesso tempo lo supera, lo allarga, lo arricchisce» (22).

« Tutta bella sei tu » 

 
Il Cantico dei cantici è un poemetto allegorico sull'amore. Ma, quale amore? A chi va riferito?

La sposa del Cantico dei cantici «secondo le più sicure interpretazioni dell’esegesi moderna — scrive il Bertetto — confermate dalla tradizione patristica e medioevale, designa metaforicamente sia la Figlia di Sion, sia il popolo di Israele, nelle relazioni di amore e di fedeltà con Jahvé suo Sposo; sia la Chiesa cattolica, che continua il popolo di Dio dell’Antico Testamento; sia anche ogni anima fedele, membro della Chiesa, e in modo particolare Maria SS., alla quale si applicano e si riferiscono in senso tipico scritturistico, manifestato dalla Tradizione patristica e teologica, alcuni versetti della Cantica: hortus conclusus, fons signatus (orto chiuso, fonte sigillata) (Ct 4, 12), in favore della verginità di Maria; e tota pulchra es (sei tutta bella) (Ct 4,7), in favore della assenza di colpa in Maria» (23).

Nell’insieme, quindi, il Cantico dei cantici esprime, in suggestiva allegoria poetica, la realtà dell’amore di Dio verso la sua sposa eletta, senza colpe né difetti, tutta innocente e bellissima.
Questa «sposa» è il «nuovo Israele», ossia la Chiesa «senza macchia e senza ruga» (Ef 5,27); questa «sposa» è ogni anima cristiana che si dona a Dio in purezza e santità; questa «sposa» è, in modo perfetto ed eminente, Maria SS., solo lei, l’Immacolata, ossia la «Tutta bella» per eccellenza e la «senza macchia» per antonomasia.

È interessante rilevare che il «sensus fidei» della Chiesa, espresso dalla Liturgia nell’applicare a Maria i passi del Cantico dei cantici, si armonizza pienamente con l’interpretazione mariologica data dai Santi Padri e scrittori ecclesiastici, quali S. Ippolito, S. Efrem (soprattutto), S, Ambrogio, S. Girolamo, S. Epifanio, S. Sofronio, S. Giovanni Damasceno, S. Germano, S. Pier Damiani, Ruperto di Deutz, Alano di Lilla, e via di seguito (24).

Nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia è detto che la Chiesa «in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere» (25).

Questa «immagine purissima» la Liturgia ce la presenta appunto con l’immagine della «sposa» senza macchia del Cantico dei cantici, a cui il Signore rivolge le sue parole ripiene di vaghezza d’amore estatico: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!... O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro» (Ct 2, 10-14) (26); e ancora: «Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia! Vieni con me dal Libano, o sposa, vieni!» (Ct 4, 7-8) (27)

Il «sensus fidei» della Tradizione patristica e della Liturgia ci fanno leggere il Cantico dei cantici in filierana mariologica, portandoci a contemplare in trasparenza Marla nella «sposa» tutta bella e senza macchia, lo quale con la sua purezza originaria — con frapposta all'infedeltà adultera di Israele ricapitola, riflette e sublima In sé il «nuovo Israele», cioè la Chiesa, e ogni anima, sposa del Signore (28).

Infine, un rilievo particolare va dato al celebre versetto 10 del capitolo VI: «Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiera a vessilli spiegati?».
La figura di Maria, qui disegnata con le immagini più seducenti dol cosmo (l'aurora, la luna, il sole) e della forza degli uomini (le schiere all’assalto) preannuncia suggestivamente il «grande segno» dell’Apocalisse, la «Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, coronata di dodici stelle» (Ap 12,1).
Il legame delle immagini presenti nei due testi identifica in simbiosi luminosa la Sposa del Cantico dei cantici con la Donna dell’Apocalisse; e la Liturgia, di fatto, insieme alla Tradizione medioevale, interpreta l’uno e l’altro testo in senso mariologico, riferendoli direttamente alla Vergine Maria (29).

Padre Stefano M. Manelli
Mariologia biblica (pag 65-76)



Ndr: senso accomodativo o accomodatizio è un termine in uso nell'esegesi biblica. In maniera generale si riferisce all'uso di citare frasi e passi delle Scritture in un senso diverso da quello che hanno nel contesto, basandosi spesso su mere analogie di parole o anfibologie.

(1) Cfr. A. MIORELLI SM, L’uso della Scrittura nelle feste liturgiche mariane, Torino 1968; AA. VV., Lezionario Mariano, Brescia 1975.

(2) Sull'argomento cfr. C. VAGAGGINI, Il senso teologico della liturgia, Roma 1958, pp. 354s.; A.M. TRIACCA, Bibbia e Liturgia, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Roma 1984, pp. 175-197; A. NOCENT, La lettura della Sacra Scrittura, in AA.VV., Assemblee, Brescia 1986, pp. 198-221. Si rifletta attentamente su ciò che dice la “Dei Verbum” sulla Chiesa sempre sollecita «soprattutto nella Sacra Liturgia, di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (n. 21 - corsivo nostro).

(3) R. LE DEAUT, Marie et l’Ecriture dans le Chapitre VIII, in Etudes Mariales 22 (1965) 61. «Se c’è un ambito dove la Chiesa è certa dell’assistenza dello Spirito Santo, è proprio nella struttura fondamentale della sua liturgia. Ora, non c’è niente di più comune a tutti i riti cristiani che questo legame fra Antico e Nuovo Testamento»: così scrive D.C. JEAN-NESMY, Per una lettura cristiana della Bibbia, in Communio, n. 87 (1986) p . 48.

(4) G. ROSCHINI OSM, Il valore teologico e efficacia pastorale del Culto Mariano, in Marianum 39 (1977).

(5) I. H. DALMAIS, La liturgia testimonianza della tradizione, in La Chiesa in preghiera, Grottaferrata 1963, pp. 244. Vedi pure M. MARTIMORT, L’Eglise en prière, Tournai, p. 227.

(6) G. ROSCHINI OSM, art. cit., l.c. Subito dopo, l’autore riferisce l'esempio del Papa Pio XII il quale nell’enciclica Mediator Dei riporta «come attuazione del celebre effato "Lex orandi, lex credendi”, il fatto che Pio IX, nel definire come dogma di fede l’Immacolata Concezione di Maria SS., incluse, nella documentazione, l’argomento dedotto dalla Liturgia» ivi, l.c.).

(7) Giustamente, riguardo alle due espressioni «poveri di Iahvé» e «figlia di Sion», è stato rilevato che nel testo conciliare «nessuna delle due espressioni è accompagnata con un riferimento. Le due espressioni formano quasi un luogo comune della pietà vetero-testamentaria alla  "figlia di Sion”, figura del popolo eletto, la quale porterà la promessa a compimento nella pienezza dei tempi » (G. PHILIPS, L’Eglise et son mystère aut deuxième du Concile Vatican. Histoire, texte et commentaire de la Constitution «Lumen Gentium», Paris 1968, II, p. 231).

(8) Lumen gentium, n. 55. 

(9) Si vedano, ad esempio, i salmi 9, 10, 11, 12, 34, 37. 

(10) Lumen gentium, n. 57.

(11) Sull'argomento, cfr. A. GELIN, Il povero nella Sacra Scrittura, Milano 1956, pp. 121-123; F. URICCHIO OFMConv., La povertà di Maria nella Sacra Scrittura, in Miles Immaculatae 2 (1966) 175-184, 263-272; ORTENSIO DA SPINETOLI, OFM Cap, Maria nella Bibbia, Genova 1964, pp. 111-131; E.M. MORI, Figlia di Sion e Serva di Jahvé, Bologna 1970, pp. 301-449. | 

(12) Lumen gentium, n. 55.

(13) Cfr GI 2, 21-27; Sof 3, 14-17; Zac 9,9.

(14) Cfr 2 Sam 5, 6-7, 9-11.

(15) Cfr Is 18,7; Ger 26, 18.

(16) Cfr Is 37,32; 46,17; 52,1-2; Ger 26,18; 51,35; Sal 142.2.

(17) Cfr D, BERTETTO SDB, La Madonna oggi, Roma 1975, pp. 65-66,

(18) Il tema così interessante della «Figlia di Sion», visto in rapporto con il Nuovo Testamento, e specificamente con Lc 1,26-38, ha impegnato e sta impegnando gli studiosi più qualificati in campo biblico e mariologico. C'è divergenza di valutazioni, però, come risulta efficacemente dalla esauriente panoramica presentata da N. LEMMO, Maria, «Figlia di Sion», a partire da Lc 1,26-38. Bilancio esegetico dal 1939 al 1982, in Marianum 45 (1983) 175-258. È di notevole portata il tentativo di presentare il tema della «Figlia di Sion» quale « sfondo biblico della figura neotestamentaria di Maria», come ha fatto I. DE LA POTTERIE, Maria nel mistero dell'alleanza, Genova 1988.


(19) A. ROMEO, Maria e il Verbo Incarnato nei libri poetici e sapienziali del V. T., in Tabor 23 (1958) 323. Cfr pure D.J. ALFONSO, Marie et la Sagesse divine (Prv 8,22-35), in Assemblées du Seigneur, n. 80, pp. 19-28.

(20) Ecco il testo originale contenuto nella Bolla pontificia: «Atque idcirco vel ipsissima verba quibus divinae Scripturae de increata Sapientia loquuntur, eiusque aeternas origines repraesentant, consuevit tum in ecclesiasticis officiis, tum in sancta Liturgia adhibere et ad illius Virginis primordia transferre, quae uno eodemque decreto cum divinae Sapientiae incarnatione fuerant praestituta». Cfr TH. PLASSMANN OFM, Uno eodemque decreto, in Virgo Immaculata, III, Roma 1955, pp. 174-197.
(21) A. ROMEO, art. cit., pp. 327-328.

(22) P. PIETRAFESA CSSR, La Madonna nella Rivelazione, Napoli 1970, p. 64; si vedano gli importanti riferimenti ad alcuni autorevoli studiosi, quali Bea, Vagaggini, Scheeben, Dillenschneider (ivi, p. 65, nn. 7-10). Per una conoscenza più estesa e documentata sull’argomento, si veda E. CATTA, Sedes Sapientiae, in Maria, Parigi 1961, vol. VI, pp. 688-866; D. COLOMBO OFM, Maria nei libri sapienziali, Vercelli 1979.

(23) D. BERTETTO SDB, La Madonna oggi, Roma 1975, p. 60.

(24) Cfr lo studio accurato ed esteso di A. Rivera CMF, Sentido mariologico del Cantar de los Cantares, in Ephemerides Mariologicae 1 (1951) 437-68; 2 (1952) 25-42.

(25) Sacrosanctum Concilium, n, 103,

(26) Testo riportato nella Messa della Visitazione della Beata Vergine Maria, salmo responsoriale.

(27) Sul tema delicato e suggestivo di Maria « Sposa del Verbo Incarnato », si veda A. Rivera CMF, Maria Sponsa Verbi en la tradicion biblico-patristica, in Ephemerides Mariologicae 9 (1959) 461-478; A. PIOLANTI, « Sicut Sponsa ornata monilibus suis », in Virgo Immaculata, Romae 1955, pp. 181-193. 

(28) Scrive il Laurentin: « La dichiarazione apparentemente iperbolica del Re-Jahvé a Israele: Non vi è macchia in te, si attua alla lettera solo in questa nuova creazione che comincia con l’Immacolata Concezione di Maria. Poiché questo senso si attua oggettivamente, dato che è stato riconosciuto (benché con modalità spesso deficienti) da un'abbondante tradizione, il teologo può con fondamento vedervi un senso pieno o ultrasenso che risponde a un disegno di Dio, autore principale della Scrittura » (R. LAURENTIN, La Vergine Maria, Roma 1983, p. 179, n. 3). Cfr pure A, ROMEO, art, cit., pp. 318-323.

(29) Cfr P. DE AMBROGGI, Il Cantico dei cantici, Roma 1952, p. 211; G. NOLLI, Cantico dei cantici, Roma 1968, p. 34; D. COLOMBO, Cantico dei cantici, Roma 1983, p. 22