venerdì 31 maggio 2024

La Messa è un sacrificio. Da: "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia" Athanasius Schneider - Seconda parte

(Qui la prima parte)

Alcuni dicono che l'idea di sacrificio sembrerebbe essere stata messa in discussione intorno agli anni '60, per il suo rapporto con la violenza in epoca di pacifismo. In realtà, però, chi ha messo in discussione questa idea nella vita della Chiesa dopo il Concilio Vaticano Secondo sono stati i teologi liberali e modernisti, imbevuti dalle idee protestanti che fanno capo a Martin Lutero, che rigettava l’autentico significato del sacrificio. 


Conosciamo le parole blasfeme che egli ha indirizzato a Dio sul sacrificio. Parlando sul sacrificio della Croce, Lutero dice: “Qui lotta Dio contro Dio. (…) Qui Dio era contro di Lui (Cristo), e Cristo è caduto in uno stato di impazienza contro Dio” (Weimarer Ausgabe 45, 370). Lutero ha persino osato a dire questa enormità: “Cristo è il massimo peccatore e l’unico peccatore e nessun altro” (Weimarer Ausgabe 40 III, 745). Secondo Lutero l’umanità di Cristo non ha contribuito per niente alla redenzione, ed è stata solamente un’esca per il diavolo (Weimarer Ausgabe 4, 406). Lutero continua dicendo, che sulla Croce Cristo “non è più quello che è nato dalla divinità e dalla Vergine, ma un peccatore” (Weimarer Ausgabe 40 I, 433). 

La dottrina cattolica, invece, dice con papa Leone il Grande, che Cristo ha operato la salvezza nelle sue due nature, cioè come l’Unigenito Figlio di Dio e come il figlio dell’uomo, poiché l’uno senza l’altro non giova alla salvezza (cf. Sermo de transfiguratione Domini). Lutero fece una perversione del vero senso del sacrificio redentore di Cristo, dicendo che “Cristo per mezzo del suo peccato toglie il peccato del mondo. Non sarebbe meglio dire: la giustizia toglie il peccato e Cristo per mezzo della Sua giustizia ha tolto e condannato il peccato del mondo? No, perché? Perché il peccato e la punizione del mondo intero giace sulle spalle di Cristo” (Weimarer Ausgabe 23, 711). Quindi, secondo Lutero non la santità di Cristo ci ha redento, non la partecipazione nel Suo santo sacrificio della Croce ci dà la vita eterna, ma la lotta del peccato contro il peccato. 

Secondo la dottrina cattolica, però, l’unione della natura divina e umana in Cristo è espressione dell’amore ineffabile di Dio che ha raggiunta la sua massima espressione nel sacrificio amoroso della Croce per tutta l’umanità, per la nostra salvezza. Per Lutero, invece, il sacrificio della Croce è una lotta di Cristo “fatto peccato” contro Dio.  

Il significato della Messa come vero sacrificio rappresentava per Lutero la terza cattività babilonica, nella quale la Chiesa cattolica teneva l’Eucaristia (la prima cattività era la Comunione sotto una specie, la seconda era la dottrina della transustanziazione).  

Per questa ragione Lutero dava al rito della Messa una nuova forma, senza le preghiere dell’offertorio tradizionale. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia Lutero lo riduce alla pura memoria di Cristo, all’atto di ringraziamento e al momento del banchetto, cioè della ricezione del Corpo e Sangue di Cristo in memoria della Sua Passione, dicendo: “Io non faccio né dalla messa né dal sacramento un sacrificio, ma la memoria di Cristo (…) questo è un sacrificio ed è il sacrificio di ringraziamento. (…) Il sacramento stesso non deve essere un sacrificio, ma un dono che Dio ci dà, e il quale noi riceviamo con gratitudine” (Vermahnung zum Sacrament des Leibes und Blutes des Herrn).  

Quei teologi e liturgisti cattolici che diluiscono il carattere sacrificale della santa Messa avevano come sorgente del loro pensiero, più che il pacifismo, il modernismo nella sua forma protestantizzante (per una discussione su questo punto, vedi Joseph Ratzinger, “The Theology of the Liturgy,” in Looking Again at the Question of the Liturgy with Cardinal Ratzinger, ed. Alcuin Reid (Farnborough: St. Michael’s Abbey Press, 2003), 18–31). 

Questo modo di pensare, a sua volta, influenzò poi, durante e dopo il Concilio Vaticano II, parzialmente anche la riforma dell’ordine della santa Messa. 

Durante il dibattito sulla liturgia nel Concilio Vaticano II Mons. Smiljan Franjo Čekada, vescovo di Skopje (Macedonia), riferendosi alla proposizione di un altro Padre conciliare che proponeva di riformare il rito della Messa nel senso ecumenico, ha pronunciato il seguente avvertimento, ciò che di fatto si è rivelato poi profetico. Egli diceva: “Ieri abbiamo, p.e. ascoltato la proposta, che l’intero odierno rito della liturgia latina sia completamente distrutto e al suo posto sia sostituito un nuovo rito “ecumenico”, composto secondo il modello dell’Ultima Cena dai periti di tutte le confessioni che in qualche modo confessano Cristo” (cf. Concilii Vaticani II Synopsis, op. cit., p. 828). 

È un fatto palese che la dimensione del sacrificio è sminuita nel Novus Ordo Missae. Sappiamo che pastori protestanti erano consultori nell'elaborazione del Novus Ordo Missae. 

Il filosofo francese Jean Guitton (+ 1999) ed amico personale di Papa Paolo VI ha fatto durante un dibattito pubblico organizzato da "Lumière 101"dalla “Radio-courtoisie”il 19 dicembre 1993 la seguente affermazione: “Credo di non sbagliare nell'affermare che l'intenzione di Paolo VI, e della nuova liturgia che porta il suo nome, è chiedere ai fedeli di partecipare di più alla Messa, di dare più spazio alla Scrittura e meno spazio a tutto ciò che c'è , alcuni dicono "di magia", altri "di consacrazione consustanziale", transustanziale, e che è la fede cattolica. In altre parole, c'è in Paolo VI un'intenzione ecumenica di cancellare - o almeno di correggere, o almeno di ammorbidire - ciò che è troppo "cattolico", nel senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa cattolica, ripeto, alla messa calvinista” (Yves Chiron, François-Georges Dreyfus, Jean Guitton, Entretien sur Paul VI. Niherne: Éditions Nivoit, 2011, 27–28). 

Il fatto che il Novus Ordo Missae nel suo insieme si avvicini al pensiero dottrinale e liturgico dei protestanti, è illustrato dalla seguente impressionante dichiarazione del “Concistoro Superiore della chiesa della Confessione Augustana di Alsazia-Lorena”, fatta in un’assemblea a Strasburgo l'8 dicembre 1973, dove si diceva tra l’altro: “Data l'attuale forma della celebrazione eucaristica nella Chiesa cattolica e l'attuale consenso teologico, sembrano scomparire molti ostacoli che potrebbero impedire a un protestante di partecipare a una celebrazione eucaristica. Dovrebbe essere possibile per un protestante oggi riconoscere la Cena del Signore nella celebrazione eucaristica cattolica” (Derniere Nouvelles d’Alsace, n. 289, 14 décembre 1973). Questa dichiarazione dei Protestanti consta, con soddisfazione, il mutato aspetto sacrificale nelle preghiere del Novus Ordo Missae: “Vogliamo usare le nuove preghiere eucaristiche, nelle quali ci riconosciamo. Queste preghiere rendono per noi più facile lo scoprire in loro una teologia evangelica del sacrificio”. 

Il Novus Ordo Missae indebolisce l'aspetto essenziale della Messa, che è quello sacrificale. Questo può essere visto in modo più evidente anche nelle nuove preghiere dell'offertorio, che sono sostanzialmente preghiere per la benedizione di un pasto, svuotate del senso propriamente sacrificale. Questo è pericoloso, perché nella tradizione della Chiesa l'offertorio era sempre considerato un piccolo canone. Tutte le liturgie orientali hanno,nella preparazione dei doni, preghiere e gesti espressivamente sacrificali. 

La santa Messa rispetta il metodo della storia della salvezza, che è il modo dell'anticipazione di una realtà simbolica che poi verrà. Come l'Antico Testamento anticipa il Nuovo, ma esso era nascosto nell'Antico: "Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo" (Dei Verbum 16, che cita Sant'Agostino, Quaest. in Hept., 2, 73: PL 34, 623). 

Il Sacramento eucaristico è un segno triplice, commemorativo, indicativo e prognostico, cioè commemora l’evento salvifico del passato, indica la sua presenza sacramentale nel presente e apre la visione alla realtà definitiva nella vita eterna, nella nuova Gerusalemme. Questa ottica della storia della salvezza deve essere rispettata nella liturgia. Le preghiere tradizionali dell’offertorio risalgono al nono secolo o anche prima (cf. Tirot, P., Histoire des prières d´offertoire dans la liturgie Romaine du VIIe au XVIe siècle, Roma 1984). L'offertorio ha il senso di indicare la Croce, quindi la Chiesa esprime in modo solenne e prolisso, la intentio, quello che intende fare, non un semplice pasto, ma la più grande azione, che è il sacrificio di Cristo. Ecco perché l'offertorio deve necessariamente esprimere il sacrificio che si andrà a compiere.

Nelle preghiere dell’offertorio del Novus Ordo Missae, però, la intentio esprime piuttosto l’aspetto di un pasto, di un banchetto. Per questa ragione, le nuove preghiere dell’offertorio sono dogmaticamente, dottrinalmente e spiritualmente difettose. Le nuove preghiere dell'offertorio dovrebbero essere rimpiazzate dalle antiche preghiere, che corrispondono allo spirito della Chiesa universale di tutti i tempi, ed in particolare allo spirito della liturgia di tutte le Chiese orientali (cf. Stéphane Wailliez, L’offertoire à la lumière des rits apostoliques d’Orient: Catholica, n. 77, automne 2003, p. 78-95). 

Il principio dell’anticipazione, ossia della graduale espressione rituale e verbale dell’elemento sacrificale, essenza della Messa, è comune a tutte le liturgie più antiche della Chiesa, sia occidentali che orientali. Stéphane Wailliez lo esprime in queste termini: “È quindi ben confermata la gradazione della liturgia dal meno essenziale al più essenziale, fermo restando che in più occasioni gli elementi che esprimono l'essenza dell'azione si trovano anche al di fuori della loro propria collocazione, in quella delle cose meno essenziali. In termini meno astratti, il sacrificio propiziatorio, l'essenza della Messa, è presente in modo specifico alla consacrazione e nella seconda parte del canone ma, a volte, è già accennato prima, nelle parti non sacrificali della cerimonia” (ibid.). Nel Novus Ordo “c'è un grave difetto nel significato della causa finale, nel caso dell'offertorio. Le nuove preghiere sono chiamate "præparatio donorum". Ma tutta la preparazione è fatta in vista di un fine. Sopprimendo l'"anticipazione" del sacrificio redentore, la nuova liturgia sopprime anche il principio di comprensione dell'offertorio. Le nuove preghiere evocano solo la Comunione (“Ex quo nobis fiet panis vitæ … potus spiritualis”). Ora, a parte il fatto che l'essenza della Messa è il sacrificio propiziatorio e non la Comunione, quest'ultimo può essere inteso solo come partecipazione alla vittima del sacrificio” (Stéphane Wailliez,op.cit.). 

Infatti, l’essenza della Messa e la sua causa finale consiste nel carattere sacrificale. Nel Novus Ordo, invece, le preghiere dell’offertorio esprimono come intenzione dell’offerta e della preparazione dei doni la ricezione del Corpo di Cristo e Sangue di Cristo, quindi l’aspetto del banchetto. Queste preghiere, esprimendo tale intenzione, hanno un carattere teologicamente ambiguo, dimenticando l’avvertenza espressa dal Concilio di Trento, che diceva: “Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema” (sess. 22, can. 1). 

Un altro aspetto difettoso nel Novus Ordo Missae è la Seconda Preghiera Eucaristica, dove manca quasi interamente il senso del sacrificio. Fu detto dai protestanti che loro potevano in coscienza celebrare la liturgia del Novus Ordo Missae prendendo la Seconda Preghiera Eucaristica, insieme con le nuove preghiere d’offertorio. Questa testimonianza chiara dei protestanti dovrebbe svegliarci. Non si può continuare a fare la quadratura del cerchio, dicendo che il Novus Ordo Missae è un’espressione dell’ermeneutica della continuità con la precedente tradizione liturgica, come ha detto recentemente l’arcivescovo Arthur Roche in un articolo (cf. L’Osservatore Romano, 12 dicembre 2020), dove egli persino formula apoditticamente una palese contraddizione contro tutte le prove evidenti, non ammettendo prove contrarie: “Per certi versi vi figura un vocabolario più esplicito circa la dimensione sacrificale della messa. Le opinioni contrarie non sono fondate”. 

Nessun protestante celebrerebbe l’Eucaristia con il Canone Romano e con le antiche preghiere d'offertorio. Nell’anno 1523 Lutero compose la “Formula missae et communionis pro ecclesia Vittembergensi”, un nuovo rito eucaristico, nel quale egli gettò via l'intero canone eucaristico, cioè il Canone Romano, e lo ridusse all’azione di benedizione e di grazie del prefazio e alle parole dell’Ultima Cena. Uno storico luterano così caratterizzò questa riforma liturgica di Lutero, dicendo che quella del canone “fu la più radicale delle riforme liturgiche di Lutero. Con un solo gesto ardito, su questo punto cambia completamente il carattere della liturgia. La santa Comunione diventa di nuovo un sacramento, o un dono di Dio, e non più un sacrificio fatto a Dio” (Reed. L.D., The Lutheran liturgy, Philadelphia 1947, pp. 340-341). Molte comunità anglicane usano esattamente la Seconda Preghiera Eucaristica del Novus Ordo Missae. Purtroppo, una grandissima parte dei sacerdoti cattolici usano esclusivamente la Seconda Preghiera Eucaristica. Se facciamo un'inchiesta tra il clero, potremmo essere sorpresi nell'apprendere che molti oramai considerano la Messa solo un banchetto. Questa tendenza protestantizzante è molto pericolosa e non possiamo negare questo. 

Nel nuovo rito si dà troppo importanza all'aspetto colloquiale, che distrugge il senso ieratico. Già all'inizio, il sacerdote fa il segno della croce guardando i fedeli, indebolendo la teocentricità, e c'è anche il fatto di fare commenti vari. Questo indebolisce il senso sublime della celebrazione liturgica. 

La diminuzione del carattere sacrificale è causata considerevolmente anche dalla forma della celebrazione versus populum. Oggi al 99% lo stile celebrativo è versus populum, ma questo già dal punto di vista visuale psicologico ci dà il senso di un raduno, intorno alla mensa, celebrando un banchetto. Se uno entra e magari non sa nulla della Messa, vedendo come si svolge la celebrazione della Messa direbbe che quello è un raduno intorno ad una mensa. 

Sul rapporto tra il carattere sacrificale della Messa e la moderna forma della tavola rivolta ai fedeli, il grande liturgista tedesco Mons. Klaus Gamber ha fatto la seguente rilevante osservazione: “Oggigiorno si vorrebbe evitare di dare l’impressione che la “tavola santa” (come viene chiamato l’altare in Oriente) sia un altare per il sacrificio. Senza dubbio è la stessa ragione per la quale, quasi dappertutto, si pone sull’altare un mazzo di fiori (uno solo), come sulla tavola da pranzo di una famiglia in un giorno di festa, insieme a due o tre ceri: questi quasi sempre a sinistra, il vaso dal lato opposto. L’assenza di simmetria è voluta: non bisogna creare dei punti di riferimento centrali, come quando si mettevano i candelieri alla destra ed alla sinistra della croce che stava in mezzo; qui si tratta solo di una tavola da pranzo. Non ci si mette dietro l’altare del sacrificio, ci si mette davanti; già il sacrificatore pagano faceva così, il suo sguardo era diretto verso la raffigurazione della divinità a cui si offriva il sacrificio; anche nel Tempio di Gerusalemme si faceva così: il sacerdote incaricato di offrire la vittima stava davanti alla “tavola del Signore”, come si chiamava il grande altare dell’olocausto nel cuore del Tempio (cfr. Malachia 1, 12), e questa “tavola del Signore” era collocata di fronte al tempio interno ove era custodita l’Arca dell’Alleanza, il Santo dei Santi, il luogo in cui dimorava l’Altissimo (cfr. Salmi 16, 15). Un pranzo si consuma con il padre di famiglia che presiede, in seno alla cerchia famigliare; mentre invece, in tutte le religioni, esiste una apposita liturgia per il compimento del sacrificio, liturgia che prevede che il sacrificio si compia all’interno o davanti ad un santuario (che può essere anche un albero sacro): il liturgo è separato dalla folla, sta davanti ai presenti, di fronte all’altare, rivolto alla divinità. In tutti i tempi, gli uomini che hanno offerto un sacrificio si sono sempre rivolti verso colui al quale il sacrificio era diretto e non verso i partecipanti alla cerimonia. Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origène si fa interprete della concezione della Chiesa delle origini: “Colui che si pone dinanzi all’altare dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete consiste nell’intercedere per i peccati del popolo” (Tournés vers le Seigneur!, Le Barroux 1992, pp. 26-27). La Messa come sacrificio dimostra e proclama il coronamento supremo del culto della vera religione, che è il cristianesimo cattolico. Il predicatore domenicano J.L. Monsabré ci ha lasciato la seguente commovente formulazione di questa verità: “Una Messa! Essa è il compendio di tutti i sacrifici antichi, nei quali si divideva la corrente degli atti religiosi che univano l’umanità al suo Dio: sacrificio unico, in pari tempo olocausto, ostia pacifica e vittima per il peccato. Una Messa! È il sacrificio della Croce che viene avvicinato a noi, per risparmiare alla nostra fede un faticoso ripensamento d’un passato lontano e sforzi troppo facilmente paralizzati dalla nostra debolezza o dalla nostra negligenza. Una Messa! è l’immolazione d’un Dio che ci vien posta, in certo senso, nelle mani, affinché vi prendiamo la parte. (…) Una Messa! è un Dio che adora, un Dio che ringrazia, un Dio che placa, un Dio che implora. Una Messa! essa è il coronamento supremo del nostro culto religioso” (Esposizione del dogma cattolico. Conferenze. Vol. XII: Eucaristia, Torino 1950, p. 155). 

La Messa come sacrificio è il vero sole del mondo, il parafulmine spirituale del mondo, il centro spirituale del mondo. La Messa cattolica è insopprimibile. Tante persecuzioni esterne durante duemila anni non la potevano distruggere. Ma anche alcuni persecuzioni fatte dentro della vita della Chiesa di oggi non potranno distruggere quella forma più antica, la forma costante, la forma liturgica più sicura e più espressivamente sacrificale della Messa.  

Citiamo le seguenti parole di profonda fede e di fuoco d’ardente amore per il Sacrificio della santa Messa del servo di Dio l’arcivescovo Fulton Sheen: “La Messa è per noi il coronamento del culto cristiano. Un pulpito sul quale si ripetono le parole del nostro Signore non ci unisce a Lui; un coro in cui si cantano dolci sentimenti non ci avvicina alla sua croce, ma solamente alle sue vesti. Un tempio senza un altare del sacrificio è inesistente tra i popoli primitivi e non ha senso tra i cristiani. E così nella Chiesa cattolica l'altare, e non il pulpito o il coro o l'organo, è il centro del culto, poiché viene rievocato il memoriale della sua passione. Il suo valore non dipende da chi lo dice o da chi lo ascolta; dipende da Colui che è l'unico Sommo Sacerdote e Vittima, Gesù Cristo nostro Signore. Con Lui siamo uniti, nonostante il nostro nulla; in un certo senso, per il momento perdiamo la nostra individualità; uniamo il nostro intelletto e la nostra volontà, il nostro cuore e la nostra anima, il nostro corpo e il nostro sangue, così intimamente con Cristo, che il Padre Celeste non ci vede tanto con la nostra imperfezione, ma piuttosto ci vede in Lui, il Figlio diletto nel quale Egli si è compiaciuto. La Messa è per questo motivo il più grande evento nella storia dell'umanità; l'unico atto santo che trattiene l'ira di Dio da un mondo peccaminoso, perché tiene la Croce tra il cielo e la terra, rinnovando così quel momento decisivo in cui la nostra triste e tragica umanità si è avviata all'improvviso verso la pienezza della vita soprannaturale. Ciò che è importante, a questo punto, è che assumiamo il giusto atteggiamento mentale verso la Messa e ricordiamo questo fatto importante, che il sacrificio della Croce non è qualcosa che è accaduto millenovecento anni fa. Sta ancora succedendo. Non è qualcosa di passato come la firma della Dichiarazione di Indipendenza; è un dramma costante sul quale il sipario non è ancora calato. Non si creda che sia successo molto tempo fa, e quindi non ci riguarda più di qualsiasi altra cosa nel passato. Il Calvario appartiene a tutti i tempi ea tutti i luoghi. (…) Non eravamo consapevoli di essere presenti lì sul Calvario quel giorno, ma Lui era cosciente della nostra presenza. Oggi conosciamo il ruolo che abbiamo svolto nel teatro del Calvario, dal modo in cui viviamo e agiamo ora nel teatro del ventesimo secolo. Ecco perché il Calvario è reale; perché la Croce è la crisi; perché in un certo senso le cicatrici sono ancora aperte; perché il dolore è ancora divinizzato e perché il sangue come stelle cadenti sta ancora gocciolando sulle nostre anime. Non si può sfuggire alla Croce nemmeno negandola come facevano i farisei; nemmeno vendendo Cristo come fece Giuda; nemmeno crocifiggendolo come fecero i carnefici. Lo vediamo tutti, o per abbracciarlo nella salvezza, o per fuggire da esso nell'infelicità. Ma come si rende visibile? Dove troveremo il Calvario perpetuato? Troveremo il Calvario rinnovato, rievocato, ripresentato, come abbiamo visto, nella Messa. Il Calvario è uno con la Messa, e la Messa è uno con il Calvario, perché in entrambi c'è lo stesso Sacerdote e Vittima. Le sette ultime parole sono come le sette parti della Messa. E proprio come ci sono sette note nella musica che ammettono un'infinita varietà di armonie e combinazioni, così anche sulla Croce ci sono sette note divine, che il Cristo morente ha risuonato nel corso dei secoli, che si combinano per formare la bellissima armonia della redenzione del mondo. Ogni parola fa parte della Messa. La Prima Parola, "Perdona", è il Confiteor; la Seconda Parola, "Oggi tu sarai in paradiso", è l'Offertorio; la Terza Parola, "Ecco tua madre", è il Sanctus; la Quarta Parola, "Perché mi hai abbandonato", è la Consacrazione; la Quinta Parola, "Ho sete", è la Comunione; la Sesta Parola, "È finito", è l'Ite, Missa Est; la settima parola, "Padre, nelle tue mani", è l'ultimo Vangelo. Immaginate quindi il Sommo Sacerdote Cristo che lascia la sacrestia del cielo per l'altare del Calvario. Ha già rivestito la veste della nostra natura umana, il manipolo della nostra sofferenza, la stola del sacerdozio, la casula della Croce. Il Calvario è la sua cattedrale; la roccia del Calvario è la pietra dell'altare; il sole che diventa rosso è la lampada del santuario; Maria e Giovanni sono gli altari laterali viventi; l'ostia è il suo corpo; il vino è il suo sangue. È retto come sacerdote, ma è prostrato come vittima. La sua messa sta per iniziare” (Calvary and the Mass. A Missal Companion. New York 1936, pp. 5-7).

 


(da "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia " di Athanasius Schneider
Capitolo IV "La Messa è un Sacrificio" - seconda parte)