Dal diario spirituale di Cleonice Morcaldi
Nonostante l’estrema povertà in cui cadde la mia famiglia dopo la morte del mio povero babbo, continuai gli studi a Foggia. Abitavo in una stanzuccia, presso una famiglia povera. Cucinavo da me, quasi sempre riso. La mattina senza colazione. Non assaggiai mai un po’ di latte o una tazzina di caffè. A scuola portavo un pezzo di pane solo. La sera quasi sempre un cardo, quella verdura che ha le foglie spinose. Neppure un pezzo di formaggio arrivavo a comprare con i pochi soldi che avevo. Oggi ancora mi domando: come potevo vivere e studiare con un nutrimento da eremiti?
In quella casa, in più, mancava la luce. Studiavo con le candele che mi mandava lo zio prete. Questo stato di povertà mi accompagnò fino a quando, finiti gli studi, ebbi un posto nelle scuole elementari. A gloria di Dio devo dire che, durante i sei anni che stetti a Foggia, non ebbi né una febbre, né un dolor di testa, né mossi un lamento con qualcuno, né la tristezza o l’abbattimento oppressero mai il mio cuore.
Ero piuttosto allegra e piena di buona volontà, per l’ardente desiderio di aiutare la mia povera famiglia.
Durante la ricreazione, mentre le mie compagne si preparavano a consumare i loro freschi panini imbottiti di salame, io mi appartavo per rosicchiare il pezzo di pane duro e nudo. Non ricordo di avere avuto il desiderio di quelle belle colazioni. Ricordo invece che sentivo vergogna della mia povertà e cercavo di nasconderla.
So che non era virtù ma amor proprio. Non ancora frequentavo la scuola del Padre.
Soffrivo molto la lontananza della mamma. Non andavo in famiglia né a Natale né a Pasqua. La rivedevo solo alla fine dell’anno scolastico.
Fui promossa sempre senza esami, con grande gioia della mamma. Un anno mi assegnarono la borsa di studio. Durante le vacanze il mio divertimento era di cominciare a studiare il programma dell’anno seguente. Di che cosa non è capace la volontà quando «fortissimamente vuole»! E questo sia detto nel bene, come nel male.
A chi io devo tutta l’assistenza e gli aiuti? Non forse a Dio per le continue preghiere del Padre al quale la mamma mi raccomandava? Povera mamma, non aveva altro rifugio su questa terra. Si confessava dal Padre che la confortava tanto e le parlava di Dio Provvidenza.
Mi raccontava spesso che un giorno non ne poteva più, era oppressa da tante tribolazioni e infermità. Andò a piedi al convento per avere una parola di conforto. Ma prima di lei c’era tanta gente in corridoio. Stava per perdere ogni speranza di riuscita e tornarsene a casa, quando vide il Padre sulla soglia della clausura. La gente gli corse vicino.
Il Padre, stendendo il braccio verso mia madre, disse: «Eh! tu... vieni qua!». Tutti si voltarono indietro per vedere questa fortunata e fecero spazio. Dopo che il Padre ebbe benedetto tutti, mia madre lo seguì. Il Padre si sedette in sacrestia e disse: «Beh, che vuoi?». La trattenne a lungo. Se ne tornò a casa piena di conforto e di letizia.
La prima lettera inviata al Padre
Nell’ultimo anno di studi, l’anno in cui dovevo diplomarmi, fui presa da grande angustia e abbattimento. Un po’ per la preoccupazione di ottenere buoni voti onde aver diritto al posto; un po’ perché la coda è sempre la più difficile da scorticarsi; e poi, per la nuova legge del passaggio col sette. La materia che mi dava da pensare era la pedagogia scritta. Infatti, al primo tema che svolsi a casa con l’aiuto di una brava insegnante, meritai appena il sei. Cosa potevo sperare svolgendolo in classe, da sola?
Senza perdere tempo chiesi aiuto al Padre, per iscritto. Fu questa la prima lettera che gli mandai. Quale non fu la mia sorpresa e la mia gioia nel ricevere un bigliettino del Padre, scritto da lui; in fondo c’era una piccola macchia di sangue. Le parole erano queste:
«Anima del caro Dio. Non temere: studia con amore e avrai a suo tempo la dovuta ricompensa. Con i professori ce la vedremo io e Dio.
Ti benedico con effusione pari al bisogno e al desiderio di vederti santa». P, Pio Capp.no.
Non finivo di esclamare durante il giorno: «Un santo che scrive a me! E che voglio più?
Se la vedrà lui con i professori, altro che raccomandazioni umane». Ripresi coraggio e
dissi a me stessa: «Tu fai tutto quello che puoi, e sii pur certa che il resto lo farà il caro
Padre assieme a Gesù. C’è al mondo un aiuto più sicuro e potente?».
Ci vuole un grosso volume per narrare tutto quello che ha fatto il Padre per aiutarmi
in modo miracoloso (e non esagero) presso tutti i professori. Miracoli? Sì, e di quelli grossi. Accenno solo alla pedagogia che era il mio terrore, la mia preoccupazione, la cosa
più difficile.
Dopo parecchi mesi, sia la professoressa che il direttore, in pubblico e in privato, mi fecero le congratulazioni per i grandi progressi fatti in poco tempo in italiano e pedagogia scritta. Mi dettero un bell’otto in media. La professoressa mi disse pure che meritavo di più, ma che non era consentito darlo in tale materia.
Questi progressi lei li attribuiva alla lettura continua di buoni libri di pedagogia. Io li
attribuivo al fiume di idee che Padre Pio mi metteva nella mente. Lui dettava e io scrivevo. Tanto è vero che, quando a casa leggevo la brutta copia del tema svolto in classe, restavo meravigliata: «Ma sono idee mie queste?». Mi dispiace non poter raccontare ciò che avvenne nelle altre materie per mancanza di tempo.
Divenni oggetto di lode da parte di tutti i professori; oggetto di ammirazione da parte
della scolaresca. Mentre prima nessuno si dava pensiero di me, dopo mi circondavano
di attenzioni e cure.
Mi offrivano pezzi di cioccolato e altri dolcini.
Il mio diploma era brillante. Ottimi voti in tutte le materie. Ne parlò pure il giornale provinciale. Solo Padre Pio sapeva fare queste cose! Solo la sua mano piagata sapeva toccare la mente e il cuore degli uomini e operare meraviglie e miracoli.
Un giorno mi mandò un’immaginetta con queste parole scritte da lui (l’immaginetta rappresentava il Cuore di Gesù):
«Guarda, egli è l’Onnipotente... ma la sua onnipotenza è umile ancella del suo Amore».
Compresi che tutti gli attributi di Dio sono a servizio del suo Amore. Gli aiuti potenti che Dio, per mezzo del Padre, mi dette in quest’ultimo anno, hanno del meraviglioso. Io li chiamo «scherzi del potente suo Amore». Nel mio caso posso dire che Dio si compiace di sollevare e innalzare i piccoli e i poveri.
Sedevo in un cantuccio dell’aula, tutta rannicchiata, con lo stomaco vuoto; con il vestito poco decente, con le calze grossolane che la povera mamma lavorava a mano;
con le scarpe rotte, quieta, quasi muta, perché nessuno si accorgesse di me e scoprisse la mia povertà e miseria. Ma quando il Signore si compiacque di porgermi la sua destra, mi cavò fuori dal cantuccio e mostrò a tutti quello che lui fa a chi confida in lui.
Grande fu la gioia della mamma al ritorno di questa figliuola che aveva fatto parlare di sé anche i giornali. Lei si compiaceva di avere una figlia così brava. Parlava di me alle amiche che venivano a salutarmi. Parenti e amici si congratulavano con lei e con me.
C’era da montare in superbia. Ma non a me andavano le lodi. Tutto aveva fatto colui che mi voleva per sé.
Andai dal Padre per ringraziarlo. Mi rispose:
«Ringraziamo Gesù!».
Poi mi disse:
«Così piccola d’anni e di statura vuoi fare la maestra? Ti confonderanno con le scolarette».
Io sorrisi e gli raccomandai di pregare, perché presto mi affidassero una scuola onde
aiutare la mia povera famiglia. Me lo promise.
Dopo ansie e sospiri della mia povera mamma, arriva la nomina mia, per le scuole di campagna, come primo passo. Giorno di grande gioia fu per tutta la famiglia e per i parenti che si erano interessati. Presi il foglio della nomina e corsi in convento per ringraziare il Padre. Lo trovai in sacrestia; stava per salire in clausura. Gli bacio la mano e gli dico: «Ecco, Padre, la nomina; ho avuto il posto; grazie delle preghiere, ringraziatelo voi Gesù per me».
Il Padre prese il foglio dalle mie mani, lesse; e poi, senza tante parole, mi disse:
«Va, va, rifiuta questo posto. E che? Vorresti andare in quella campagna ove non passa neppure una corriera? Rifiuta, il Signore provvederà».
Mi mise la mano sulla testa e andò via. Restai come Dio sa! Non sapevo cosa dire, cosa pensare, cosa fare. Né mi decidevo a tornare in famiglia con questa risposta. Una vera doccia fredda! Che dirà la mamma? E i parenti? Dopo tanto pregare, dopo tante raccomandazioni e sacrifici.
Tempesta in famiglia
Piena di tristezza e di incertezze, tornai a casa, supplicando la Vergine di venire in mio soccorso. Cosa devo fare, mio Dio? Come affrontare questa tempesta? Come comportarmi? Al Padre voglio obbedire ad ogni costo, a costo di qualunque sacrificio dell’anima e del corpo, e alla mamma non vorrei dare altri dolori. Troppo ha sofferto.
Solo tu, o mio Dio, puoi conciliare cose opposte e contrarie.
Arrivai a casa. Non avevo la forza di salire le scale. Sentivo il vociare allegro della mamma e dei parenti che contrastava con l’afflizione del mio animo. Non descrivo la reazione di tutti alla risposta del Padre, né la tempesta che si scatenò su di me in seguito alla mia ferma decisione di ubbidire al Padre. Per finirla, me ne andai in soffitta, sul tetto, che fu sempre il mio rifugio. Un dolore bucava il mio cuore: la grande afflizione della mamma. Aprii il Vangelo e lessi: «Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di
me».
Mi fortificai nel proposito di seguire il consiglio del Padre. Guardai il convento che dal tetto vedevo benissimo, e ringraziai l’Altissimo di averci mandato il Padre. Allora più che mai mi apparve grande: più che profeta, più che santo, l’amico di Dio e l’amico nostro; Gesù stesso, vestito da frate, che è tornato a vivere in mezzo ai figliuoli degli uomini. Sei grande, o Signore, mio rifugio e mio conforto, mio asilo e mia fortezza.
Quando il Provveditore agli Studi passò la mia nomina a un’altra diplomata del mio
paese, i miei si indispettirono di più contro di me. La mia arma era il silenzio. Non mi
guardavano, né mi rivolgevano parola. Li compativo. Però la loro condotta verso di me
cambiò quando seppero dei guai che capitarono a quell’incauta signorina che aveva accettato il posto da me rifiutato. Compresero allora chi era il Padre! Ma non basta.
Il direttore delle scuole mi affidò la scuola serale per adulti, in un’aula attigua alla mia
casa. I miei, quasi pentiti e umiliati, cominciarono a parlarmi e a scusarsi del loro
comportamento verso di me. Sei grande, o Signore! Sei buono! Ti ho invocato nel giorno
della tribolazione, e subito mi hai aiutato! Sei stato sempre il mio rifugio e il mio
soccorso.
Si è forse limitato a questo l’aiuto del Padre? Egli mi disse:
«Ricordati che chi obbedisce non fallisce, chi obbedisce canta vittoria».