domenica 14 luglio 2024

Nei buoni, Dio manifesta la sua potenza e la sua misericordia, nei cattivi la sua ira, ossia la sua giustizia, e della mescolanza dei cattivi con i buoni si serve per preparare questi alla gloria con l’esercizio della virtù. (Don Dolindo, commento a Romani 9)

 


Don Dolindo Ruotolo
Commento alla Lettera ai Romani 9
Pagg 207-216; 219-229

Dio è libero di distribuire i suoi doni a chi vuole

Da quello che l'Apostolo ha detto, potrebbe sorgere una gravissima difficoltà che egli si affretta a risolvere: se Dio elegge gratuitamente e per pura misericordia, ne consegue da questo che vi è ingiustizia in Dio? San Paolo rigetta la conclusione come blasfema: Non sia mai! E soggiunge, a conferma che Dio è libero nel distribuire i suoi doni a chi vuole, le parole che Egli stesso disse a Mosè quando questi gli domandò di vederlo faccia a faccia: Farò misericordia a chi faccio misericordia, e avrò compassione di chi ho compassione (Es 33,19). 
L’occasione per la quale Dio pronunciò le citate parole fu questa: il popolo ebreo aveva commesso l’orribile peccato di farsi come idolo un vitello d’oro, sostituendolo a Dio, e adorandolo come Dio con clamorose feste.
Mosè, per lo sdegno provato nel vedere quell’obbrobriosa degradazione, non potendo esprimersi appieno perché balbuziente, aveva spezzato le tavole della Legge ricevute dal Signore, ed aveva fatto giustiziare ventitremila uomini tra i più rei di quell’orribile peccato. Poi risalì sul monte per ottenere da Dio il perdono a tutto il popolo prevaricatore, che avrebbe meritato lo sterminio.

Dio perdonò al popolo, e ordinò a Mosè di condurlo nella terra promessa, promettendogli di farlo accompagnare dal suo angelo, custode della nascente nazione.

Mosè, fatto ardito dalla misericordia di Dio, gli domandò in grazia che Egli medesimo avesse accompagnato il popolo, e per poterne riconoscere la presenza e assicurarsene, lo supplicò di fargli vedere la sua gloria. Evidentemente Mosè, uomo semplice ed amante di Dio fino al punto da conversare con Lui, assillato dall’idea di tutelare nel viaggio il popolo che gli era stato affidato, invece di abbandonarsi al Signore interamente, pretese che Egli lo rassicurasse, quasi che avesse avuto diritto alla protezione che invocava, e per questo Dio gli disse: Avrò misericordia di chi vorrò e sarò clemente verso chi mi piace.  
Egli volle fargli capire che gli usava misericordia e lo esaudiva non perché ne avesse diritto, ma per pura misericordia e con libera sua volontà.
San Paolo cita le parole di Dio dalla versione dei Settanta, e le riporta per confermare che Dio, nei benefici che elargisce, non è stretto da un dovere, ma lo fa liberamente e per pura misericordia. Dunque, conclude l’ Apostolo, il conseguire la grazia di essere eletti dal Signore per il compimento di un suo disegno d’amore non dipende né dal volere dell’uomo né dal correre egli nelle sue vie, quasi che potesse imporsi con il suo al volere di Dio, o potesse affacciare un diritto, solo perché ha camminato fedelmente nelle vie del bene, ma dipende unicamente dalla misericordia di Dio, che elegge le sue creature e se ne serve per la manifestazione della sua gloria. 
Nello stesso modo, Dio può servirsi anche della perversità umana liberamente, e può negare la grazia della luce e della conversione a chi merita per propria colpa la riprovazione, per utilizzare il male stesso dei perversi alla manifestazione della sua potenza.
San Paolo cita, a conferma di quello che dice, le parole che Mosè disse al faraone in nome di Dio, e le cita a senso e come se le avesse dette Dio stesso a lui: io ti ho suscitato precisamente per mostrare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia annunciato in tutto il mondo (Es 9,16). Dunque — conclude l’ Apostolo — Egli usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole. Il Signore, infatti, utilizzò la perfidia del faraone, e permise che avesse corso, mentre avrebbe potuto stroncarla con un atto di giustizia fin dal primo momento, per manifestare, nei prodigi che operò per vincerla e punirla, la potenza della sua gloria, e per farsi conoscere a tutto il mondo in tutti i secoli.
Dio, in fondo, come si rileva chiaramente da quello che segue in san Paolo (versetto 22, 23), non indurì il faraone quasi per capriccio, ma ne sopportò con grande longanimità la protervia e la durezza, per aver occasione di compiere quei grandiosi miracoli che in ogni tempo hanno parlato al mondo della grandezza della divina potenza.

Sul libero arbitrio 

Dio, motore supremo, muove tutte le cose in conformità della loro natura e, poiché è proprio dell’uomo il libero arbitrio, Dio lo muove in modo che egli liberamente vuole ed opera. Con la sua grazia, Egli chiama e previene l’uomo e questi, sotto l’influsso efficace della grazia, liberamente acconsente alla chiamata, si prepara alla giustizia e, divenuto giusto, opera il bene. 
Un perverso ha una volontà traviata, ed opera liberamente il male; Dio, lasciandolo in questa libertà, contro la quale nulla potrebbe la grazia perché il perverso la rifiuta, lo muove secondo questa libertà ostinata nel male, e se ne serve per manifestare al mondo la sua potenza, la sua sapienza e il suo amore, senza fare né torto né ingiustizia all’empio, anzi usandogli la misericordia di utilizzarne la perfidia. 
Così si servì dell’empietà dei Giudei per far immolare suo Figlio sulla croce, e si servì dell’ostinata perfidia del faraone per poter manifestare la sua potenza, e conquidere con essa tanti cuori ostinati in tutti i secoli. 
È un mistero altissimo senza dubbio, che l’uomo non ha la forza di scrutare, e innanzi al quale non può avere la presunzione di contendere con Dio. A lui deve bastare sapere che Dio è infinito amore e infinita giustizia, e che tutto fa con infinita sapienza e con ordine perfettissimo. 
 
San Paolo, perciò, propone un’obiezione, che immagina gli faccia un Giudeo o un pagano in particolare, e la risolve non con un ragionamento diretto, ma imponendo un pieno rispetto al Signore.
L’obiezione è questa: Se Dio indurisce chi vuole, perché egli allora si lamenta con quelli che peccano e non si convertono? E chi può resistere al suo volere se Egli indurisce il peccatore e non gli dona la grazia per risorgere? 
Ma Dio non indurisce perché vuole il male o la perdizione, ma perché utilizza il male e l’ostinazione della libertà traviata dell’uomo, come si è visto. Dio la utilizza quando è giunta a tal punto che resiste ad ogni grazia, operando sempre con infinita giustizia. 
San Paolo, però, non risponde all’obiezione, ma ritorna all’argomento della divina elezione, e mostra che, se Dio è padrone di utilizzare le sue creature come vuole, perché ne è il Creatore amorosissimo, e se può chiamarle a compiere un ufficio alto o umile nell’armonia della creazione e della provvidenza, può anche utilizzare il male che esse fanno, senza che cessi la loro responsabilità. Dinanzi alle disposizioni di Dio, che non possono essere che amore e non sono che amore, del resto, può l’uomo osare di contendere con Lui?

O uomo tu chi sei — esclama con forza l’Apostolo — che vuoi entrare in discussione con Dio? Domanda forse il vaso di terra al vasaio: perché mi hai fatto così? O non ha Il vasaio potere sulla creta, da formarne della stessa pasta sia un vaso per uso onorevole, sia un altro per uso vile?

Se il vasaio non fa torto alla creta servendosene per un suo disegno particolare, pur non avendola creata, farà torto Dio alla sua creatura chiamandola, se buona, come strumento della sua gloria, e se cattiva, sopportandola con grande longanimità, quando dovrebbe ricacciarla e punirla subito dopo il peccato, e utilizzandola per far conoscere i tesori della sua gloria servendosi di essa come strumento per far esercitare la virtù e la pazienza ai buoni? 
Nei buoni, Dio manifesta la sua potenza e la sua misericordia, nei cattivi la sua ira, ossia la sua giustizia, e della mescolanza dei cattivi con i buoni si serve per preparare questi alla gloria con l’esercizio della virtù. 
 
Per noi — soggiunge san Paolo — proprio per noi Dio compie questo ammirabile piano, e lo compie senza distinzione di razza, quasi che la virtù fosse il privilegio ereditario di un popolo, avendoci Egli chiamati come suo popolo nuovo e discendenza spirituale di Abramo, sia tra i Giudei che tra i pagani.
Questa elezione non è un pensiero dell’Apostolo, ma il compimento di una promessa di Dio, e san Paolo, a conferma cita due passi di Osea, e li cita dai Settanta: il primo in modo libero: Chiamerò mio popolo — dice il Signore — quello che non è mio popolo, e colei che non era amata la chiamerò mia diletta (2, 23-24). 
Queste parole, in senso letterale si riferiscono alle dieci tribù scismatiche d’Israele, cadute nell’idolatria e in tutti i vizi pagani, alle quali Dio promette misericordia e la restituzione dell’antico privilegio di popolo di Dio se si convertiranno. In senso spirituale, esse si riferiscono ai pagani figurati dalle dieci tribù. Le due frasi: popolo non mio e non amata, sono i due nomi simbolici che, per comando di Dio Osea mise ad uno dei suoi figli ed a sua figlia, per dire che il Signore non riguardava più come suo popolo le tribù scismatiche. La figlia la chiamò Senza-misericordia, e il figlio lo chiamò: Non più popolo mio (1, 6-9).

Il secondo testo di Osea san Paolo lo cita quasi letteralmente: E avverrà che in quel medesimo luogo dove fu detto loro: Voi non siete popolo mio, là essi saranno chiamati figli del Dio vivente (1,10). Anch'esso era letteralmente diretto alle dieci tribù scismatiche ma in realtà si riferiva profeticamente alla conversione dei pagani, perché le dieci tribù non ritornarono mai a Dio in modo da chiamarsi suo popolo, e furono infedeli insieme a tutto Israele.

Dio chiama dunque i pagani come parte del suo popolo, eredi anch’essi della promessa fatta ai santi patriarchi, e li chiama anzi in maggioranza, riservandosi, poi, di richiamare negli ultimi tempi il resto d’Israele. San Paolo lo conferma con due testi d’Isala, citati dai Settanta in modo libero: Isaia poi — egli soggiunge — esclama su Israele: Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come l’arena del mare, se ne salveranno solo il resto (Is 10, 22-23).
Poiché Dio fino al termine e con prestezza compirà la sua parola sulla terra con equità, parola presto compiuta farà il Signore .

Il Profeta annuncia il terribile eccidio che per mezza di Sennacherib Dio avrebbe fatto dei Giudei al tempo di Ezechia, eccidio dal quale solo pochi sarebbero scampati. Questo piccolo numero di scampati figurava il piccolo numero di Giudei che avrebbero riconosciuto il Messia e quelli che si sarebbero convertiti alla fine del mondo, Tutt'altro, dunque, che rappresentare unicamente il popolo di Dio promesso ad Abramo, Isacco e Giacobbe, gli Ebrei, erano una minoranza nel vero popolo di Dio, e rappresenta. vano solo una parte di scampati ad uno sterminio. Per questo san Paolo cita un altro testo d’Isaia: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato discendenza, saremmo diventati come Sodoma, e saremmo stati simili a Gomorra (1,9).

Isaia annunciava l'imminente devastazione del regno di Giuda da parte dei re alleati di Siria e d’Israele. In questa devastazione sarebbe perito così gran numero di Giudei, che i superstiti potevano essere paragonati a pochi semi. Questo fatto era figura di ciò che sarebbe avvenuto spiritualmente al popolo di Dio sia al tempo del Messia sia in tutta la sua storia, poiché pochi soltanto si sarebbero aggregati al suo regno, e pochi, relativamente a tutta la massa degli Ebrei nei secoli, gli si sarebbero uniti alla fine del mondo. Gli apostoli e gli Ebrei convertiti al tempo del Messia furono come una semente della messe ubertosa del vero popolo di Dio che fu raccolto tra i pagani, e la massa degli Ebrei che si convertirà alla fine del mondo rappresenterà l’ultima fioritura di quel residuo che il Signore lasciò del suo popolo eletto, perché non fosse interamente escluso dal vero popolo suo e dalla vera spirituale discendenza di Abramo, Isacco e Giacobbe.

La responsabilità dei Giudei

Dopo aver dimostrato che Dio non è stato infedele alle sue promesse, e dopo aver considerato il problema della riprovazione dei Giudei in ordine a Dio, san Paolo passa a considerare la responsabilità dei Giudei nella loro riprovazione, facendo così risaltare ancora meglio la giustizia di Dio. Nel resto di questo capitolo egli comincia ad affermare che non cercarono la salvezza là dove Dio l’aveva posta. Essendo stato Dio fedele alle sue promesse, che cosa si dovrà dire della vocazione dei pagani e della riprovazione dei Giudei? Si dovrà dire che le genti le quali non seguivano la giustizia hanno conseguito la giustizia, quella giustizia che viene dalla fede. Erano traviati nei loro vizi, ma abbracciarono la fede, furono giustificati, e conseguirono la giustizia.

Israele invece, seguendo una legge di giustizia, non pervenne alla legge di giustizia.

Aveva una legge santa datagli da Dio, poteva santificarsi aspirando al Messia prima della sua venuta ed abbracciando la fede dopo la sua venuta, ma non cercò la giustizia da questa fede, si restrinse alle opere della Legge secondo la lettera e non secondo lo spirito, non riconobbe Il Cristo predetto dalla Legge, anzi se ne scandalizzò, urtando contro di Lui come contro una pietra d'inciampo, e non trovò la salvezza. 
San Paolo cita a conferma due testi d'Isaia, abbreviandoli e combinandoli insieme, il primo (28,16) dai Settanta, e il secondo (8,14) dall'ebraico: Ecco che io pongo in Sion una pietra d'inciampo, una pietra di scandalo, e chi crede in Lui non sarà confuso. Il primo testo dice esattamente così: Ecco che io pongo nelle fondamenta di Sion una pietra eccellente, eletta, angolare, preziosa... colui che crederà in essa non resterà confuso. È un testo messianico, e la pietra di cui parla è il Cristo.
Il secondo testo dice: E sarà [il Dio degli eserciti]... in pietra d'inciampo e di scandalo alle due case d'Israele ecc.; parla direttamente di Dio, ma deve intendersi del Messia, come consta dall’autorità di san Paolo stesso, di san Pietro (2Pt 2,6-8) e dal contesto, giacché Isaia parla del futuro Emmanuele. Accecati dai loro pregiudizi aspettavano un Messia politico, si scandalizzarono dell’umile condizione del Redentore, si scandalizzarono ancora più della sua Passione, e lo rigettarono. (...)

Dio elegge gli umili 

Il maggiore servirà al minore, disse Dio eleggendo il secondogenito Giacobbe anziché il primogenito Esaù. E perché? Affinché rimanesse fermo il disegno elettivo di Dio, non dipendente dalle opere ma da Colui che chiama. Dio elegge sempre ciò che è più umile e più povero, non solo per manifestare la sua liberissima volontà di eleggere quegli che a Lui piace, ma anche perché colui che è umile, piccolo, povero, inetto, offre minori ostacoli alla sua grazia operante, e si lascia più facilmente condurre nelle sue vie. Per essere, quindi, strumenti adatti nelle sue mani, bisogna farsi piccoli e umiliarsi profondamente nella propria nullità.

Le anime difficilmente progrediscono nelle vie della pietà, perché difficilmente si umiliano in modo totalitario innanzi a Dio. C’è sempre in esse un senso di presunzione, di tracotanza, di critica, soprattutto di critica, che le rende incapaci ad essere modellate da Dio. Sono creta granulosa che l’artista non può plasmare, sono pietre scistose, che lo scalpello non può lavorare; si sfaldano; sono legni duri con venature in un solo senso, che l’artista non può scolpire; sono tizzoni ardenti di passioni, che la rugiada non può refrigerare, perché prima di giungervi si svapora.

Siamo minorati per il peccato e per le nostre miserie, eppure ci crediamo maggiori degli altri; se ci credessimo minori, Dio ci eleggerebbe, perché Egli guarda ciò che è umile. Non possiamo far appello che alla misericordia di Dio; non abbiamo alcun titolo per pretenderla, e dobbiamo implorarla nei gemiti della nostra umiliazione interiore.

O uomo, tu chi sei?

O uomo tu chi sei che vuoi entrare in discussione con Dio? E questa la grande domanda che deve guidarci nelle nostre relazioni col Signore: Chi sono io? O qual conoscenza ho io dei disegni divini?

Sono piccola e spregiata creatura, macchiata di peccato, corta di giudizio, inetta nella volontà, tutta impigliata nelle cose della terra, ristretta nella cerchia di povere aspirazioni, traviata da falsi apprezzamenti, incapace di valutare i disegni altissimi di Dio. Ed io oso contendere con Lui ed affacciare diritti innanzi a Lui? Egli fa tutto con grande sapienza, ma non dà conto di quello che fa, perché non potrebbe spiegarcelo, data la nostra inettitudine.

Se un petulante e incretinito fanciullo domanda ad un artista valoroso nel colmo del suo lavoro: Perché fai così? E lo domanda con presunzione perché gli sembra che, a suo modo di vedere, agisca a capriccio e con disordinata confusione, l’artista che cosa gli risponde? Non potendo dargli conto di quello che fa perché il fanciullo non sarebbe capace d’intenderlo, gli dice semplicemente: Io faccio quello che mi piace.

Nello stesso modo e con proporzioni immensamente superiori, è detto che Dio fa come gli piace; sceglie il minore invece del maggiore, ama uno e odia un altro, fa misericordia a chi vuol farla e la nega a chi vuole negarla, ha compassione di chi vuole, indurisce chi gli piace, e da una stessa pasta di creta fa un vaso di onore o un vaso vile, come meglio gli piace. Egli in realtà opera con infinita sapienza ed infinito amore, e compie mirabili disegni di misericordia e di giustizia che a noi sfuggono completamente, perché non siamo capaci d’intenderli.

Ha mai trovato uno scienziato nelle opere della creazione qualcosa che non avesse ragion d’essere o che fosse un capriccio? A volte ha creduto di trovarla, ma poi ulteriori scoperte scientifiche gli hanno fatto capire che tutto era disposto con peso e misura, e tutto aveva la profonda ragion d’essere. Ora, se neppure una cellula è superflua e sta fuori posto, come potrebbe Dio disporre a capriccio quello che riguarda le anime?

Noi, dunque, dobbiamo adorare i disegni della sua grazia, della sua misericordia e della sua giustizia e, pur non intendendoli, dobbiamo umiliarci nella nostra profonda stoltezza. Non siamo tra mani estranee ma tra mani paterne, anzi materne, e invece di contendere con Dio nei momenti di dolore e di ansietà, dobbiamo abbandonarci alla sua adorabile volontà che tutto dispone con infinito amore. Nell’universo materiale, che pur non ragiona, c’è sempre una ragione che regola i suoi movimenti; potrebbe questa grande legge fallire proprio dove la ragione e la volontà imperano da regine? Tutto è buono, tutto è santo, tutto è giusto, tutto è minutamente ponderato, anche la perdizione dell’empio

O uomo tu chi sei? È necessario farci questa domanda quando sorge in noi la presunzione di contendere con Dio. Chi sono io? Un povero nulla venuto dal fango della terra e dal soffio misericordioso di Dio. Questo sono: fango e nullità come corpo, creatura d’amore come anima, ma anche come anima sono uno spirito vuoto, se la grazia di Dio non lo riempie di attività e di doni. Una macchina è formata di ferro; è una materia grezza che è lavorata nel fuoco, a stento. L’artista ne connette le parti secondo un fine particolare, e la macchina sembra quasi animarsi. Non può muoversi, però, né produrre, se l’artista non vi accende il motore. Essa allora produce ma per la mano abile dell’artista che la muove. In se stesso è sempre ferro inerte e pesante.

Chi sono io? Sono ragionevole ma sragiono; di tutte le mie idee e aspirazioni poche possono sottrarsi ad una diagnosi negativa. Ho una volontà, ma di tutti i suoi atti pochi possono passare immuni dalla sanzione di un codice; la mia volontà delinque anche quando desidera le piccole e povere cose della vita.

Che cosa sono? Sono gonfio di orgoglio eppure non sono che stoltezza, sono avido di possedere e sono vuoto, poiché ogni mio possesso o mi è di peso o sfugge per l’inesorabilità del tempo e della morte come grano che sfugge tra i fori d’un crivello. Nulla rimane a me di quello che avidamente raccolgo.

Che cosa sono? Ricercatore di miserie, che, aspirando all’amore ed alla vita, mi avvilisco spesso nel fango. Non fisso gli occhi al Cielo, vedo solo il cielo riflesso nel pantano, e mi tuffo nel pantano per abbrancarlo, rimanendo soffocato nella melma.

Che cosa sono? Un uragano di stoltezze, nel quale la ragione si perde, nel quale, come in un vortice, vorticano false impressioni, apprezzamenti errati, reazioni stupide, impeti irragionevoli, urti che dissolvono, strali che non feriscono, ma ritornano contro di me, come frecce avvelenate, nel mio cuore. Groviglio di nervi che si mettono al posto della ragione, fiotti di sangue che confluiscono come nebbia rossigna che mi offuscano la vista, flutti di amarezza che irrompono per frangersi, lasciando in me solo il mugolare della tempesta che mi rende infelice. Questo sono nell’ira, io che nell’ira pretendo affermarmi, difendermi, vincere e dominare! Salgo solo per precipitare con un tonfo più disastroso, mi impongo per diventare servo, più vilipeso, e come povero fuscello sono travolto dal vento della realtà, innanzi alla quale apro gli occhi quando già sono tutto in rovina!

Che cosa sono io? Un misero ricercatore di rifiuti, io che ho in me l’anelante desiderio delle cose eterne! Un infelice che si rattrista nella sua stolta felicità, poiché gli basta un nulla per sentirsi infelice, poiché nulla lo sazia e tutto desidera, traendo disgusti ed oppressioni da quella stessa fame insaziata di piaceri, egli che potrebbe raccogliere perle di penitenza e rubini d’amore.

Che cosa sono io? Un perenne scontento che tutto brama e di tutto si lamenta, un perenne ozioso che nulla sa fare per la sua vera felicità. Un muto che non sa parlare la lingua del Cielo, un sordo che non ne sa ascoltare le armonie, un misero orecchiante di grandezze e di gloria che strimpella, su questa rotta arpa di sette suoni scordati, le nenie della sua follia, e che nell’ubriachezza della sua ragione stravolta, pretende contendere con Dio!

Quale gara, quale gara di ributtante contrasto: un bimbo moccioso che contende col suo zufolo scordato con l’orchestra di Beethoven, e che giudica capricci di follia le stupende architetture d’una composizione mirabile! Un povero sfavillare di paglia bruciaticcia che crede disordinata stoltezza lo scintillare matematico degli astri! O uomo tu chi sei? Nudo sei uscito dal seno di tua madre e nudo ritorni nel seno della terra, perché sei polvere e in polvere ritornerai.

Perché hai tanta presunzione di contendere con Dio? Perché ti credi una cosa importante, tu con la tua ragione vacillante e le tue forze stremate! Perché ti levi contro il Signore? Guardati nello specchio della verità, e le tue pose ti appariranno ridicole.

Ecco uno scienziato, accigliato nel suo studio, sprofondato nei suoi libri, intento alle sue ricerche. Egli si crede dominatore del creato e non vi rappresenta che un giocattolo. Quello che fa è gioco d’infanzia, è gioco che sparisce nel colossale gioco della creazione, opera delle mani di Dio. Cammina tra le tenebre dell’ignoranza, incede a tentoni fra ipotesi; dice e si contraddice, e il mondo che edifica oggi è demolito domani da un altro. Noi ridiamo dell’alchimia, come i nostri posteri rideranno delle nostre teorie di fronte a quelle che saranno fatte, e già si presenta all’orizzonte scientifico non altro che un atomo, il cui nucleo, disgregato, già rivoluziona tutte le ricerche del passato. Lo scienziato non conosce altro che il mondo materiale, ma in minimissima parte, e come può ardire di valutare, a suo modo, la potenza, la sapienza e l’amore di Dio, fino al punto da censurarlo, quasi che avesse fatto delle cose inutili o dannose?

Un critico, un ineffabile critico, un torrente mormorante di stoltezze, un perenne scontento di tutto, che per troppo valutare svaluta tutto, e per troppo illuminare spegne ogni luce. Quante stoltezze trae dai suoi documenti, quante deduzioni fa, che crede infallibili e che un altro demolisce! Come di una testa non rimane che il teschio con le orbite vuote, paurosamente vuote, col naso troncato che non percepisce odori, con i denti che sogghignano e bocca che non parla, muto, inerte, sul quale il mondo esterno non riflette più nulla, così rimane un critico tra le sue demolizioni avventate, povero teschio irrigidito, sul quale passa il soffio mucido della morte! 
E ardisce egli criticare l’infinita Vita, l’infinita Sapienza e l'Eterno Amore? 
 
O uomo tu chi sei? In tutto sei piccolo, anche quando col pennello credi emulare le fulgenti aurore, o con lo scalpello vuoi trarre dal marmo la vita di un’idea, o dal vibrare dei suoni vuoi trarre onde di emozioni delicate. Tutto è piccolo quel che tu fai, anche quando è bello, perché tu non ritrai nella tua tela che una linea scialba di quello che Dio ha fatto nello scenario dei cieli, sul tuo marmo non incidi che un piccolo tratto della tua vita che sprizza dalle sue viventi creature, e nei tuoi suoni non riproduci che un’eco lontana delle armonie create. 
E tu vuoi contendere con Dio, tu, piccolo nulla?
Dinanzi ai monti sei atomo, innanzi ai mari sei meno che una chiocciola, innanzi ai cieli sei meno che un pulviscolo errante; in mezzo alle forze che ti circondano sei impotente, ti abbatte una folata di vento, ti atterrisce un brivido della crosta terrestre, che manda in frantumi i tuoi superbi edifici, ti sconvolge il saettare delle nubi, e allo scroscio della pioggia non hai che opporre. Oggi sei piccolo innanzi ad un atomo solo, anzi all’infinitesimale nucleo di un atomo, che con la sua forza sconvolge le tue città, e ti rende come stilla evaporata in un grande fuoco! 
Sei tu forse padrone di quel che ti circonda? Puoi imporre leggi al creato, puoi conoscere le disposizioni di Dio? Se un vaso non può domandare al vasaio: Perché mi hai fatto così, noi domandarlo tu a Dio che opera sempre per un fine altissimo, e che tutto t’avvolge col suo amore? Tu non puoi fare che adorarlo e amarlo, amarlo, amarlo, perché Egli è potenza, Sapienza e Amore. 

4. Un atto di profonda umiltà e adorazione innanzi a Dio Uno e Trino.

Io ti adoro, o mio Dio, Uno e Trino, ti adoro nella manifestazione della tua potenza, nella magnificenza della tua sapienza e nell’infinito tuo amore, ti adoro e ti amo.

Ti adoro nelle disposizioni della tua volontà, le accetto come beneficio dell’immensa tua carità; ti adoro e ti amo.

Mi umilio innanzi al tuo trono; sono un nulla, sono peccato, sono stoltezza, sono estremamente povero di tutto, e riconosco da te ogni bene; ti adoro e ti amo.

Fa’ di me quello che vuoi e manifesta in me la tua gloria come ti piace; io sono tutto nelle tue mani, o mio Dio; ti adoro e ti amo.

Nel mondo vedo ondate di malvagità che mi sconvolgono, ma non sono io il padrone o il regolatore del mondo,

Se tu lo permetti non fai nulla di storto o d’ingiusto; io credo, ti adoro e ti amo.

Quale aspirazione più nobile io posso avere, quanto quella di fare la tua volontà? Tu sei bontà per essenza e non puoi far nulla che non sia un bene; ti adoro e ti amo.

Canti a te gloria ed onore questo mio piccolo essere, e dalla mia cenere si sprigioni l’applauso alla tua infinita grandezza; ti adoro e ti amo.

Innanzi alla tua sapienza, confesso la mia stoltezza, innanzi alla tua potenza la mia somma inettitudine, innanzi al tuo amore la mia malvagità; ti adoro e ti amo.

Oh, quanto sono piccoli i cieli innanzi alla tua infinita grandezza, quanto è ristretto il mare innanzi alla tua immensità, quanto sono povere le forze create innanzi alla tua onnipotenza; ti adoro e ti amo.

Io credo in te, spero in te, ti amo sopra tutte le cose, e mi dono tutto a te, perché Tu compia in me i tuoi disegni d’amore; rendimi pure vaso d’onore se ridonda a tua gloria, e vaso di contumelia se con questo posso esaltarti; ti adoro e ti amo.

Rendimi tuo servo, comandami quello che vuoi, donami quel che comandi, disponi di me come ti piace; ti adoro e ti amo.

Se passa la morte e spegne ogni luce che illumina la mia vita, ti benedico, ti adoro e ti amo, perché so che tu sei la risurrezione e la vita.

Se mi colpisce un malanno e mi rende inerte nel mio povero giaciglio, io vi dimoro nella tua volontà come su letto di fiori, perché so che allora l’Amor tuo mi riplasma, e so che allora i miei lamenti diventano armonia d’amore per la tua gloria; ti adoro e ti amo.

Eccomi tutto umiliato nel mio nulla, come sgabello della tua gloria; levati trionfante, o infinita potenza e regna in me, levati, o eterna sapienza e glorificati in me, levati, O Eterno Amore, e uniscimi a te.

Io sono un nulla e tu sei tutto, sia benedetto il tuo Nome e sia fatta la tua volontà ora e per sempre. Amen.

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Lettera ai Romani 9 (Bibbia Ricciotti)

Incredulità dei Giudei

1- Dico la verità in Cristo; non mentisco, rendendone testimonianza la mia coscienza nello Spirito Santo:2grande dolore io provo e continua pena è nel mio cuore.3Vorrei essere io stesso anàtema e separato da Cristo, per i miei fratelli, parenti miei secondo la carne,4i quali sono Israeliti, dei quali è l'adozione a figliuoli e la gloria e i patti d'alleanza e la Legge e il culto e le promesse,5ai quali appartengono i patriarchi, e dai quali è Cristo secondo la carne, il Dio che è sopra tutte le cose benedetto nei secoli, amen.6Non già che sia andata perduta la parola di Dio, perchè non tutti i discendenti da Israele, sono Israeliti,7nè per essere seme d'Abramo son tutti figli; ma: «In Isacco avrà nome la tua discendenza».8Il che vuol dire: non i figli della carne sono i figli di Dio, ma i figliuoli della promessa van calcolati nella discendenza.9Poichè della promessa questa è la parola: «In questo tempo verrò, e Sara avrà un figliuolo».10E non solo questo, ma anche Rebecca ebbe due figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre;11poichè pur non essendo ancora nati e non avendo fatto nulla nè di bene nè di male, affinchè fermo stesse il proponimento di Dio relativamente alla elezione,12non dalle opere ma dal voler di chi chiama, fu detto a Rebecca che:13«il maggiore sarà servo del minore», conforme sta scritto: «Ho amato Giacobbe, ho odiato Esaù». Dio non può essere accusato d'infedeltà o d'ingiustizia

Dio non può essere accusato d'infedeltà o d'ingiustizia.

14Che cosa diremo dunque? Forse è ingiustizia in Dio? non sia mai!15Egli dice a Mosè: «Userò misericordia a chi uso misericordia, e avrò compassione di chi avrò compassione».16Adunque non è di chi vuole nè di chi corre, ma di Dio misericordioso.17Dice la Scrittura a Faraone: «Per questo appunto ti ho suscitato, per mostrare in te la mia potenza, e perchè sia annunziato in tutto il mondo il mio nome».18Adunque a chi Egli vuole usa misericordia, e chi Egli vuole indura.19Mi dirai: «E allora, di che cosa ancora si lagna? poichè al voler di lui chi s'è opposto?».20O uomo, e chi se' tu che vieni a disputa con Dio? Non mica dirà il vaso al formatore: «Perchè mi hai fatto così?»21o non ha il formatore dell'argilla facoltà di fare della stessa pasta il vaso di uso onorevole, e quello spregevole?22E se Dio, volendo mostrare l'ira sua e far conoscere ciò che egli può, avesse tollerato con molta longanimità dei vasi d'ira pronti per la perdizione,23anche al fine di manifestare la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, già preparati per la gloria?24[Dico di] noi che anche chiamò non solo dai Giudei ma altresì dalle genti,25come dice anche in Osea: «Chiamerò quello che non è mio popolo, popolo mio: e colei che non era amata, amata»,26e «Avverrà nel luogo ove fu detto loro: - Non siete mio popolo voi - », proprio là saranno chiamati «figli del Dio vivente».27E Isaia esclama sopra Israele: «Se anche il numero dei figli di Israele fosse come la rena del mare, non ne sarà salvato che il residuo».28Poichè la parola sua adempiendo e circoscrivendo, l'effettuerà il Signore sopra la terra.29Conforne anche aveva predetto Isaia: «Se il Dio degli eserciti non avesse lasciato a noi un seme, noi saremmo diventati come Sodoma e ci saremmo assomigliati a Gomorra».

I Giudei responsabili della loro riprovazione

30Che diremo dunque? Diremo che le Genti le quali non andavano dietro alla giustizia l'hanno ottenuta,31e Israele che cercava la legge della giustizia a tal legge non pervenne.32E perchè? perchè non dalla fede [la cercò], ma dalle opere; urtarono nella pietra d'inciampo;33secondo che fu scritto: «Ecco io pongo in Sion un sasso d'inciampo, una pietra d'intoppo, e chi ha fede in lui non sarà svergognato».

 

mercoledì 10 luglio 2024

La Messa è la prova più grande dell'amore di Dio per noi

AI cuore della Messa 

 


Poiché il Sacrificio di Nostro Signore è al cuore della Chiesa, al cuore della nostra salvezza, al cuore delle nostre anime, tutto ciò che tocca il santo Sacrificio della Messa ci tocca profondamente, tocca ciascuno di noi personalmente. Dobbiamo partecipare a questo sacrificio per la salvezza delle nostre anime. Dobbiamo ricevere il Sangue di Gesù attraverso il battesimo e tutti i sacramenti, in particolare il sacramento dell’Eucaristia, per salvare le nostre anime.

Nulla ci dispone così bene a ricevere il sacramento dell'Eucaristia quanto la meditazione del santo Sacrificio della Messa, perché il Sacrificio della Messa è una sorgente di suggestioni, di incoraggiamenti, di pensieri che ci mettono nelle disposizioni di carità nei riguardi di Dio e del prossimo. Il sacrificio di Nostro Signore è stato precisamente il più grande atto di carità che ci sia mai stato nella storia dell’umanità. «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per coloro che si amano» (Gv. 15,13).

Lo scopo di Nostro Signore Gesù Cristo è stato quello di offrirsi sulla Croce. Non è venuto per qualcos'altro. E la Messa è la continuazione della Croce. Lo scopo di Nostro Signore è dunque quello di continuare la sua Croce attraverso il Santo Sacrificio della Messa sino alla fine dei tempi. Sembra che molte anime l'abbiano dimenticato. Hanno cercato la sorgente delle grazie in piccole pratiche, nella recita di certe preghiere personali, in piccole devozioni a questo o a quel santo... È bene avere delle devozioni, ma dobbiamo avere la devozione essenziale, la devozione  capitale e fondamentale della Chiesa e di tutti i santi: quella che Nostro Signore ci ha trasmesso. Non c’è nulla che sostituisca il Sacrificio della Croce. Nessuna devozione, nemmeno alla Santa Vergine, può sostituire il santo Sacrificio della Messa. E, giustamente, la Santa Vergine ci spinge ad accostarci alla Croce; lei vi è sempre presente.

Che cos'è la Messa? Cosa rappresenta? La Messa è un catechismo vivente. Ciò che il catechismo ci insegna: il Credo, i comandamenti di Dio, i sacramenti, le virtù cristiane, la preghiera del Pater, tutto ciò si realizza, punto per punto, e in una maniera sublime, durante ogni Messa.

In effetti, la prima parte della Messa è la parte didattica. Essa espone le diverse verità del Credo, ci guida lentamente e con fermezza nella nostra professione di fede.

E se il Credo è il canto dell’amore di Dio per noi, la seconda parte della Messa ne è la realizzazione. Come ha detto Nostro Signore, tutta la Legge e i profeti sono contenuti in questi due comandamenti: amare Dio e amare il prossimo.

Ora, tutto ciò che avviene, dall’offerta e la consacrazione fino al Pater, è la realizzazione dell'amore di Dio per noi e dell'amore di Nostro Signore Gesù Cristo per il Padre suo. Conseguentemente, i due comandamenti essenziali, che riassumono il Decalogo, sono realizzati in questa parte della Messa.

Infatti, ci può essere stato quaggiù un atto d’amore per Dio più grande di quello che Nostro Signore Gesù Cristo ha realizzato sul Calvario? Gesù Cristo, spirando sulla Croce, ha manifestato il suo amore infinito per il Padre. E questo si realizza nuovamente sui nostri altari.

D'altra parte, il secondo comandamento, che consiste nell’amare il nostro prossimo come noi stessi, è anch'esso esattamente realizzato nel santo Sacrificio della Messa. È Nostro Signore Gesù Cristo stesso che lo dice: «Ci può essere un atto d'amore più grande che dare la vita per coloro che si amano?» (Gv. 15,13). Ora, Nostro Signore Gesù Cristo ha dato la sua vita per coloro che ama, cioè per noi, e questo si realizza anche nel santo Sacrificio della Messa. La morte di Nostro Signore Gesù Cristo è il più grande atto di carità che egli potesse compiere per redimere gli uomini, suoi fratelli. Ha dato tutto il suo Sangue, così come la sua Anima; ha dato la sua Vita per quelli che amava.

E questo stesso Sangue divino ci purifica e ci santifica durante la Messa.

Così, il Decalogo viene vissuto. Non è solamente scritto sulle nostre pagine di catechismo, in lettere morte, ma è vissuto; ogni giorno, ogni volta che il santo Sacrificio della Messa viene offerto, il Decalogo è realizzato da Nostro Signore Gesù Cristo stesso. Quale esempio per noi! Ed è per questo che desideriamo partecipare alla vita di Nostro Signore Gesù Cristo, al fine d’avere anche in noi questo desiderio, questo bisogno di amare Dio e di amare il nostro prossimo.

Il Sacrificio della Messa è tutto un programma. È veramente un gioiello. Ci sono tre parti nella Messa: la prima parte è quella dell’insegnamento, poi segue la consacrazione, dove Nostro Signore viene sull’altare, e infine la comunione.

Nella Messa, il sacerdote trova tutto ciò che egli deve compiere. Queste tre parti esprimono il ministero sacerdotale nei suoi tre poteri: la potestas docendi, il potere di insegnare, la potestas sanctificandi, quello di santificare, e la potestas regendi, quello di guidare i fedeli.

La prima parte della Messa corrisponde al potere di insegnare dato al sacerdote; la seconda alla santificazione: il sacerdote santifica i fedeli con la sua preghiera; la terza al potere di guidare le anime. In effetti, donando il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Nostro Signore ai fedeli, per il fatto stesso, il sacerdote comunica loro il comandamento della carità. È precisamente l’atto di carità che permette ai fedeli di indirizzarsi nella vita cristiana. Trasmettendo loro la legge vivente che è Nostro Signore, il sacerdote esercita il suo potere di direzione.

Per i fedeli, le differenti parti della Messa corrispondono alla fede, alla speranza e alla carità. La fede nell'insegnamento, la speranza nella Croce. La transustanziazione significa la Croce di Gesù che è la nostra speranza. «O Crux, ave, spes unica», «Salve, o Croce, nostra speranza». Poi viene la carità, cioè la comunione, che è questa unione nell’amore con Nostro Signore che non poteva darci una più grande prova del suo amore di quella di donarsi in nutrimento alle nostre anime..

Infatti, ci può essere stato quaggiù un atto d’amore per Dio più grande di quello che Nostro Signore Gesù Cristo ha realizzato sul Calvario? Gesù Cristo, spirando sulla Croce, ha manifestato il suo amore infinito per il Padre. E questo si realizza nuovamente sui nostri altari.

D'altra parte, il secondo comandamento, che consiste nell’amare il nostro prossimo come noi stessi, è anch'esso esattamente realizzato nel santo Sacrificio della Messa. È Nostro Signore Gesù Cristo stesso che lo dice: «Ci può essere un atto d'amore più grande che dare la vita per coloro che si amano?» (Gv. 15,13). Ora, Nostro Signore Gesù Cristo ha dato la sua vita per coloro che ama, cioè per noi, e questo si realizza anche nel santo Sacrificio della Messa. La morte di Nostro Signore Gesù Cristo è il più grande atto di carità che egli potesse compiere per redimere gli uomini, suoi fratelli. Ha dato tutto il suo Sangue, così come la sua Anima; ha dato la sua Vita per quelli che amava.

E questo stesso Sangue divino ci purifica e ci santifica durante la Messa.

(Mons. Marcel Lefebvre "La Messa di sempre")

lunedì 8 luglio 2024

La Messa di sempre

di Marcel Lefebvre
 

L’autorità del rito tradizionale

Due considerazioni mettono in luce l'autorità della Messa detta di san Pio V: la sua origine e il privilegio unico di cui è beneficiata.

Il rito tradizionale è di origine apostolica

1. Il Papa Paolo VI ha riconosciuto l'antichità della messa tradizionale

Lo stesso Papa Paolo VI, nell’introduzione al nuovo rito, dice che la Messa di sempre che noi celebriamo risale a san Gregorio Magno1. Ma si può dire che risale agli Apostoli, quindi ben più prima di san Gregorio Magno. I decreti del concilio di Trento affermano in modo molto chiaro che le preghiere della Messa, in particolare del Canone, risalgono presumibilmente agli Apostoli2.

Le parole del Canone della Messa sono certamente le parole più venerabili della nostra Tradizione. Secondo don Giuseppe Pace, è molto probabile che durante i quaranta giorni prima dell'Ascensione, Nostro Signore ha insegnato ai suoi Apostoli almeno le parole della consacrazione. E sono queste parole che sono state conservate preziosamente nella Chiesa latina. La Santissima Vergine ha ricevuto la comunione dalle mani di san Giovanni dopo che il sacrificio della Messa era stato offerto. Essa non avrebbe mai tollerato che fossero dette delle parole non conformi a quelle pronunciate da Nostro Signore. Per anni ha assistito al sacrificio della Messa e si è comunicata. Bisogna pensare a tutto questo. Gli Apostoli avevano una fede indefettibile, erano ispirati. Ecco, tutto questo è la Tradizione 3.


2. San Pio V ha restaurato il rito «secondo la forma dei santi padri»

Se leggiamo con attenzione la Bolla che san Pio V ha pubblicato per ridare alla Messa il suo vero rito, il Papa chiede alla commissione dei cardinali che ha riunito di restaurare la Messa: «Restaurare il messale stesso secondo la norma e il rito antico dei Santi Padri» 4.

Cosa vuol dire san Pio V con «restaurare secondo le norme e il rito antico dei Santi Padri?». Ebbene, parla dei Padri dei primi secoli che furono nostri Padri nella fede. Così san Pio V non ha per nulla l’intenzione di creare una nuova Messa, ma bensì di restaurare la Messa secondo i princìpi e la forma che essa aveva nei primi secoli. Vuole restaurare la Messa la cui origine risale ai nostri Santi Padri, «Sanctorum Patrum», nostri Padri nella fede, nostri Padri nella Tradizione. Il santo Papa vuole restaurare i santi misteri che Nostro Signore Gesù Cristo stesso ha istituito e che i nostri Santi Padri hanno trascritto integralmente e con una precisione dottrinale, nelle differenti preghiere che hanno ricevuto sia da Nostro Signore, sia dagli Apostoli, sia dai primi Padri della Chiesa 5.


Non possiamo leggere senza emozione ciò che dice il concilio di Trento [del rito tradizionale della Messa] 6: «E poiché le cose sante devono essere trattate santamente e questo è il sacrificio più santo, la Chiesa cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro Canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente che non profumi estremamente di santità e di pietà e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com'è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici» 7.

Si capisce molto bene che le preghiere, che sono state certamente composte dagli Apostoli, siano state preservate preziosamente dai cristiani, dai sacerdoti che le hanno trasmesse fedelmente gli uni dopo gli altri, per conservarle; ed è per questo che tutti i testi che parlano della Messa latina si riferiscono sempre alla Messa della Tradizione, della Tradizione apostolica 8.

Ci sono delle case editrici in Austria che hanno fatto delle meravigliose riproduzioni di antichi sacramentari. E in questi sacramentari, sovente, si ritrovano, qualche volta dall’offertorio, in ogni caso a partire dal Canone, le preghiere del rito romano.

Tutto è stato riprodotto con mezzi moderni, in una maniera assolutamente splendida. Si vede, chiaramente, che è esattamente lo stesso Canone che oggi utilizziamo noi! Tutti i segni di croce, tutte le genuflessioni sono identiche a quelle che oggi facciamo noi. Alcuni di questi sacramentari risalgono all'VIII secolo, dunque non vi è nessun cambiamento. Ecco le preghiere che per secoli, santi, papi, tutti coloro che seguivano il rito romano, hanno detto 9.

3. San Pio V non ha elaborato una nuova Messa

La Messa detta di san Pio V non è, dunque, una nuova Messa. Il santo Papa non ha detto: «Per conformarci allo spirito del nostro tempo, allo spirito dell’uomo moderno, facciamo una Messa che si chiamerà “Messa di Pio V”»!",

Lo stesso san Gregorio Magno non ha inventato la Messa che noi oggi celebriamo. Ha probabilmente agito nello stesso modo del concilio di Trento e di san Pio V. Ha eliminato ciò che era stato aggiunto e ha conservato tutto ciò che egli stimava dover essere mantenuto e fissato definitivamente nel santo sacrificio della Messa 11.

Ascoltiamo a volte certe discussioni tra i nostri fedeli che vogliono conservare la Tradizione, che parlano della Messa di Giovanni XXIII, della Messa di san Pio X, della Messa di san Pio V. In realtà, non esiste la Messa di Giovanni XXIII, la Messa di san Pio X, e nemmeno la Messa di san Pio V 12. «La Messa di san Pio V» non è, in verità, un buon termine da usare. Bisognerebbe dire: la Messa di sempre, la Messa cattolica, perché questa Messa risale a san Gregorio Magno e ai tempi apostolici 13.

La nostra santa Messa è essenzialmente la stessa detta da Giovanni XXIII, da san Pio X, da san Pio V. Se vi è stata una riforma, questa riforma ha fermamente voluto mantenere le forme della Messa secondo i nostri Santi Padri. Anche la pretesa riforma di Giovanni XXIII, che non è una vera riforma, è stata voluta ugualmente per rittovare la forma originaria della nostra santa Messa 14.

Il privilegio perpetuo del rito «di san Pio V»

1. La messa tradizionale non è mai stata vietata

Alcuni mi rimproverano la fedeltà alla Messa cattolica di tradizione immemorabile [...] che S.S. Paolo VI non ha mai vietato. Per lo meno, ci sarebbe voluto un atto legislativo chiaro ed emanato dal Papa in persona; lo si citi se esiste, ma non si esibisca un testo introdotto furtivamente tra la prima e la seconda edizione della Costituzione apostolica del Papa Paolo VI del 3 aprile 1969 o falsificata nella traduzione 15.

Questa Messa [detta di san Pio V] non è stata interdetta 16 e non può esserlo. San Pio V che, lo ripetiamo, non l’ha inventata, ma ha «ristabilito il Messale conforme alla regola antica e ai riti dei Santi Padri», ci dà tutte le garanzie contenute nella Bolla Quo Primum, firmata il 14 luglio 1570: «Abbiamo deciso e dichiariamo che Superiori, Amministratori, Canonici, Cappellani e altri sacerdoti a qualsiasi titolo designati, o Religiosi di qualsiasi Ordine, non possono essere tenuti a celebrare la Messa diversamente da come Noi l'abbiamo fissata, e che mai e in alcun tempo assolutamente nessuno potrà ostacolarli e costringerli ad abbandonare questo Messale o abrogare la presente istruzione o modificarla, ma che essa resterà sempre in vigore e valida, in tutta la sua forza. [...] Se tuttavia qualcuno si permettesse una tale alterazione, sappia che incorrerebbe nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo» 17.

2. La Messa tradizionale è canonizzata

La Messa antica è stata canonizzata dal concilio di Trento e da san Pio V.

Che cos'è una Messa canonizzata? Quando il Papa canonizza un santo, sono le virtù di quel santo e il culto che a lui si deve rendere che egli canonizza. La canonizzazione di un santo è un decreto disciplinare che regola il culto che si deve avere verso quel santo: il culto di dulìa. Per la Messa si tratta della stessa cosa. Non è né il Papa san Pio V, né il concilio di Trento che hanno fatto la Messa. Hanno semplicemente constatato che, già da molti secoli, — la maggior parte delle preghiere risaliva ai tempi apostolici — questa Messa ha mostrato, con la pratica ininterrotta da più di dodici secoli, con i frutti di santità che essa ha prodotto, che era santa. Se san Pio V ha canonizzato questa Messa, lo ha fatto perché pensava che era santa, che era per sempre portatrice di grazia, che avrebbe sempre edificato la Chiesa 18.

3. La canonizzazione della Messa tradizionale è da considerare infallibile

Per questo, personalmente, sono persuaso che l’atto di san Pio V sia un atto infallibile, perché egli, per confermare la santità di questa Messa, si basa su un concilio e su tutta la Tradizione. Come si canonizza un santo, san Pio V ha canonizzato questa Messa ed è in conseguenza di questo che ha potuto accordare l’indulto, il privilegio dato ai sacerdoti, affermando: «Mai — in perpetuum — si potrà impedire a un sacerdote di dire questa Messa; nessun sacerdote che dice questa Messa potrà mai incorrere per questo motivo in censure, in condanne, in qualunque basilica o cappella o chiesa che sia» 19.

4. Un Papa può annullare la Bolla «Quo primum»?

La bolla «Quo Primum» porta, almeno in una certa misura, tutte le caratteristiche dell’infallibilità. Io non penso che un Papa possa annullarla 20.

5. Obiezione sull'impossibilità di annullare la Bolla «Quo primum»

Riguardo all’impossibilità di annullare la Bolla «Quo Primum» di san Pio V, ricevetti un’obiezione da un sacerdote di Ginevra che mi disse: «Lei invoca la Bolla di san Pio V; ma guardi che la Bolla che san Pio V ha fatto per il breviario è esattamente la stessa e comunque il Papa san Pio X ha cambiato il breviario e ha fatto una Bolla simile a quella di san Pio V».

Innanzitutto, bisogna dire che san Pio X non ha fatto che rinnovare e riprendere ciò che san Pio V aveva fatto: egli non ha praticamente cambiato nulla. Inoltre, se le formule finali sono identiche, all’interno stesso del testo, le formule impiegate per la perpetuità della Messa di san Pio V non sono quelle utilizzate per il breviario, o non lo sono del tutto allo stesso modo.

Per questo è bene qualche volta rileggere la Bolla di san Pio V che trovate all’inizio di tutti i messali romani. Rileggetela. Queste parole sono veramente convincenti. Traduco rapidamente il latino come lo si trova nella Bolla 21. Il Santo Padre dice che questa Bolla può essere utilizzata liberamente e lecitamente per sempre e concede in perpetuo il privilegio di cantare o dire delle Messe basse in qualsivoglia chiesa senza alcun scrupolo di coscienza e senza timore di incorrere in alcuna pena, alcun avviso contrario o alcuna censura. Questo dice il Papa: «Noi lo concediamo e l’accordiamo in perpetuo».

Il Papa riprende in seguito e precisa ulteriormente il suo pensiero. Si direbbe che è stato veramente profeta e che ha previsto il tempo in cui questa Messa sarebbe stata attaccata. Si direbbe che prevedendo questo, ha eliminato ogni scrupolo di coscienza per i sacerdoti che avrebbero continuato a dire questa Messa. Nessun Prelato, nessun Amministratore, nessun Canonico, né Cappellano né nessun altro, qualunque nome abbia 23 potranno obbligare i sacerdoti secolari o di qualsiasi ordine regolare a dire la Messa diversamente da come il Papa l’ha stabilita e nessuno potrà essere obbligato a cambiare alcunché a questo messale. «Neque ad missale hoc immutandum a quolibet cogi ac compelli praesentes litterae ullo unquam tempore — mai — ullo unquam tempore» 24.

Perché san Pio V ha preso una simile decisione vincolante per l'avvenire? Perché si sentiva sostenuto da tutta la Tradizione 25.

6. La costituzione «Missale romanum» non vieta la Messa tridentina

Volendo supporre che il Papa possa intervenire su questo indulto perpetuo, occorrerebbe lo facesse con un atto altrettanto solenne. La Costituzione apostolica «Missale Romanum» del 3 aprile 1969 autorizza la messa «detta di Paolo VI», ma non contiene alcuna interdizione, espressamente formulata, della Messa tridentina 26, A questo proposito, il cardinale Ottaviani poteva dire nel 1971: «Il rito tridentino della Messa non è, che io sappia, abolito». Mons. Adam che pretendeva, nell'assemblea plenaria dei vescovi svizzeri, che la Costituzione «Missale Romanum» avesse vietato di celebrare, salvo indulto, secondo il rito di san Pio V, ha dovuto ritrattare, dopo essere stato invitato a dire in quali termini sarebbe stata pronunciata questa interdizione 27.

7. Un prete non può essere censurato perché dice la messa tradizionale

Ne risulta che se un sacerdote fosse censurato, o magari scomunicato per questa ragione, la condanna sarebbe assolutamente invalida. San Pio V ha canonizzato questa santa Messa; ora un Papa non può revocare una canonizzazione e a maggior ragione ritornare su quella di un santo. Possiamo celebrare in tutta tranquillità e i fedeli assistervi senza il minimo pensiero recondito, sapendo per di più che essa è il miglior modo di conservare la fede 28.

Custodire la Messa di sempre

1. Scegliere tra l'apparente obbedienza e la conservazione della fede

Due religioni si affrontano. Ci troviamo in una situazione drammatica, in cui è impossibile non fare una scelta. Tale scelta però non è fra l'obbedienza e la disobbedienza. Ciò che ci propongono, ciò a cui siamo espressamente invitati, ciò per cui ci perseguitano, si riduce a scegliere una parvenza di obbedienza 29.

Dobbiamo scegliere tra un’apparenza di obbedienza — perché il Santo Padre non può domandarci di abbandonare la nostra fede, questo è assolutamente impossibile — e la conservazione della nostra fede. Ebbene, noi scegliamo di non abbandonare la nostra fede. In questo, non possiamo sbagliare.

La Chiesa non può essere nell’errore in ciò che ha insegnato per duemila anni, È per questo che siamo attaccati alla Tradizione che si è espressa in maniera meravigliosa e in un modo definitivo, come ha confermato il Papa san Pio V, nel santo sacrificio della Messa 30.

Già san Paolo dice a Timoteo: «O Timoteo, custodisci il deposito» 31. Questo deposito della fede, stava formandosi da qualche decina di anni e san Paolo, riferendosi all'infanzia di Timoteo, aggiunge: «Resta nella sincera fede, quale prima albergava in tua nonna Loide e in tua madre Eunice» 32. Ora l’infanzia di ‘Timoteo risale circa alla morte di Nostro Signore Gesù Cristo. Quindi san Paolo dice già a Timoteo di custodire ciò che ha appreso da sua nonna e da sua madre: il catechismo e tutto ciò che la Chiesa ha insegnato. Rispetta, dice san Paolo a Timoteo, e resta in ciò che tu hai appreso da loro.

Allora, se san Paolo dice questo in un tempo in cui il deposito della fede si stava appena formando, in cui la Rivelazione era appena conosciuta nel mondo, a maggior ragione noi dobbiamo custodire ciò che ci è stato insegnato, ciò che la Chiesa, da venti secoli, ha insegnato ai suoi figli. Non possiamo separarci dalla nostra santa religione” 33.

Abbiamo la fede nel successore di Pietro, ma come dice Pio IX nella sua Costituzione dogmatica «Pastor Æternus», al Concilio Vaticano I, il Papa ha ricevuto lo Spirito Santo non per predicare delle verità nuove, ma per mantenere noi nella fede di sempre 34. Ed è per questo che siamo persuasi che mantenendo queste tradizioni, noi manifestiamo il nostro amore, la nostra docilità, la nostra obbedienza al successore di Pietro 35.


Dobbiamo dire no a questa ondata di neo-modernismo e di neo-protestantesimo. Non si può dire che si accetta una parte e che si rifiuta l’altra; questo non è possibile, perché tutto deve essere conservato. Per questo scegliamo ciò che è sempre stato insegnato e facciamo i sordi nei confronti delle novità distruttrici della Chiesa 36.

2. Non dobbiamo dubitare della legittimità della nostra posizione

Dobbiamo assolutamente mantenere la nostra fermezza, la nostra opposizione e non dubitare un solo istante della legittimità della nostra posizione. Non possiamo restare indifferenti davanti al degrado della fede, dei costumi, della liturgia. Questo è impossibile! 37. Non vogliamo separarci dalla Chiesa; al contrario, vogliamo che la Chiesa continui! Una Chiesa che rompe con il suo passato non è più la Chiesa cattolica.

Non c'è che una Chiesa cattolica, quella che continua la Tradizione; per questo non esito a dire: voi siete la Chiesa cattolica! Perché? Perché voi continuate ciò che la Chiesa ha sempre fatto 38.

Vi si tratterà da scismatici, ma voi non siete scismatici. Coloro che abbandonano la fede della Chiesa, che non credono più nella presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo, che non credono più al peccato originale, che non credono più nella grazia santificante, che non credono più negli angeli e nei demoni, sono loro che si separano dalla Chiesa 39.

3. Custodire la fede mantenendo la Messa di sempre

Qual è il mezzo per mantenere la fede cattolica? Mantenere la vostra santa Messa. Essa è la pietra fondamentale della Chiesa, è il tesoro che Nostro Signore Gesù Cristo ci ha donato. «Questo è il Calice del mio Sangue, della nuova ed eterna Alleanza» 40.  Il Sangue di Nostro Signore sparso per la remissione dei nostri peccati: ecco il testamento di Nostro Signore Gesù Cristo. Manteniamo la Messa, non perché è in rito latino, ma perché essa racchiude esplicitamente le verità della fede (ci sono Messe dette in altri riti, ma questi riti contengono tutte le verità della nostra fede cattolica e le proclamano) 41.

Dobbiamo essere uniti con tutta l’anima, con tutto il cuore al santo sacrificio della Messa, perché è in essa che troveremo veramente ciò che l’amore di Dio ha fatto per noi. Perché se c’è una testimonianza dell'amore di Dio per noi, è proprio Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso sulla Croce. Cosa poteva fare di più Nostro Signore che immolarsi sulla Croce per riscattarci dai nostri peccati? 42.

Non possiamo abbandonare il culto di Nostro Signore Gesù Cristo e anche se è in una sala come questa, che avete cercato di rendere più degna possibile, dove vi riunite, voi continuate la Chiesa cattolica. È ciò che diceva già sant’Atanasio a coloro che lo criticavano perché voleva mantenere la Tradizione: «Voi avete conservato le chiese, noi abbiamo conservato la fede. Tenetevi le chiese se volete, tenetevi i templi, ma noi teniamo la fede». È ciò che voi ripetete da questa sala: «Tenetevi le vostre chiese, poiché ci impedite di adorare veramente Nostro Signore Gesù Cristo. Noi vogliamo conservare la fede, vogliamo continuare la Chiesa». Così manifestate di volervi riunire intorno all’altare, intorno al santo sacrificio della Messa, attorno ai sacerdoti che realizzano la liturgia come la Chiesa l’ha sempre realizzata, per conservare la vostra fede e la fede dei vostri figli. È il più grande servizio che possiate rendere alla Chiesa, sperando che un giorno — eh sì! — possiate ripopolare le vostre chiese, le chiese che sono state costruite per questo culto e non per un culto che assomiglia a quello protestante 43. Vogliamo serbare la fede cattolica per mezzo della Messa cattolica, e non per mezzo di una messa ecumenica ancorché valida, non eretica, ma «favens haeresim», che favorisce l'eresia 44.

Il solo atteggiamento logico per custodire la fede cattolica è di mantenere la Messa cattolica, questa Messa cattolica che è contraria allo spirito del concilio, contraria all’ecumenismo, contraria alla collegialità, contraria al liberalismo che si trova nel concilio. La nostra Messa è la Messa del sacrificio e non vi è che un solo sacrificio che ci apre la porta del Cielo: «Tu devicto mortis aculeo...», «Tu liberandoci dalle catene dell’inferno, ci hai condotti in Cielo con la Croce» 45.

La Croce è la via che ci porta in Cielo. Il sacrificio di Nostro Signore è la via regale che ci porta all’eternità. Non ce n’è un’altra 46. Celebrare il nostro santo sacrificio secondo la tradizione dei nostri Santi Padri, degli Apostoli e di coloro che li hanno seguiti, che ci hanno trasmesso questo rito, che è stato restaurato da san Pio V, da san Pio X, da Giovanni XXIII: ecco ciò che conta per noi 47.

4. Fedeltà malgrado la persecuzione

In poco tempo fui del tutto persuaso che il mio attaccamento alla Messa di sempre ci avrebbe valso delle difficoltà con Roma. In effetti, ci hanno sempre spinto ad abbandonare la Messa. Mons. Mamie, nella sua lettera che mi informava illegalmente della soppressione della Fraternità 48, ci rimproverava prima di tutto di restare legati all’antica liturgia. Nel 1976, gli emissari del Vaticano mi ripetevano: «Dica la nuova messa e tutto si risolverà» 49. È proprio la loro insistenza nel cercare di farmi commettere questa empietà che mi ha confermato nel mio progetto di procedere alle ordinazioni che mi si voleva vietare di fare. Ma, l’ho ricordato tante volte, prima ancora che emergesse la questione delle ordinazioni è il nostro rifiuto della nuova messa che ci è valsa la persecuzione 50.

Ci dispiace infinitamente, è un dolore immenso per noi il pensare che siamo in difficoltà con Roma a causa della nostra fede!

Com'è possibile questo? È una cosa che supera la nostra immaginazione, una cosa che mai avremmo potuto credere, soprattutto nella nostra infanzia, quando tutto era in armonia, quando la Chiesa aveva nella sua unità generale la stessa fede, aveva gli stessi sacramenti, lo stesso sacrificio della Messa, lo stesso catechismo.

Ecco tutto d’un colpo la divisione, la lacerazione. I cristiani sono lacerati nelle loro famiglie, nelle loro case, i figli ugualmente, a causa di questa divisione nella Chiesa, di questa nuova religione che insegnano e praticano. Dei sacerdoti muoiono prematuramente, dilaniati nel loro cuore e nella loro anima, non sapendo più cosa fare: o sottomettersi all’obbedienza e perdere in qualche modo la fede della loro infanzia e della loro giovinezza e rinunciare alle promesse che hanno fatto al momento dell’ordinazione, quando hanno pronunciato il giuramento anti-modernista, o avere l’impressione di separarsi da colui che è il nostro padre, il Papa, da colui che è il successore di san Pietro. Che tormento per i sacerdoti! Molti sacerdoti sono morti prematuramente di dolore. Dei sacerdoti sono ora cacciati dalle loro chiese, perseguitati perché dicono la Messa di sempre 51.

Allora, anche se noi dobbiamo soffrire, soffriamo dunque per la nostra fede! Non siamo i primi: quanti martiri, prima di noi, hanno sofferto per salvare la fede! Se dobbiamo soffrire il martirio morale di essere, in qualche modo, puniti e censurati da coloro che dovrebbero essere nostri padri nella fede, sopportiamo questa sofferenza, ma custodiamo innanzitutto la nostra fede! Il Buon Dio lo vuole, la Santissima Vergine Maria lo vuole.

La Vergine Maria è nostra madre. E perché siamo della famiglia della Vergine Maria che vogliamo custodire la fede da lei sempre professata. Vi è nel cuore della Vergine Maria altra cosa oltre il nome di Nostro Signore Gesù Cristo? Anche noi vogliamo avere nei nostri cuori un solo nome: quello di Gesù, come la Santissima Vergine Maria. [...] Siamo certi che un giorno tornerà la verità. Non può essere altrimenti, il Buon Dio non abbandona la sua Chiesa 52.

5. Saranno formati dei veri sacerdoti

Per questo si formeranno dei veri sacerdoti, cioè dei sacerdoti che offriranno il sacrificio, il vero sacrificio; e voi farete una vera Eucarestia, in modo che Nostro Signore sia presente sull'altare. È questo che vi ha spinto a venire nel seminario della Fraternità. La sintesi di tutta la vostra formazione è l’altare, il sacrificio della Messa”. Nel mio seminario non farò altro che riaffermare le verità che la Chiesa ha sempre professato. I giovani sono attirati all’altare da questo, dal santo sacrificio della Messa 54.

Senza alcuna ribellione, senza alcuna asprezza, senza alcun risentimento, perseguiamo la nostra opera di formazione sacerdotale sotto la stella del magistero di sempre, persuasi di non poter rendere un servizio più grande alla santa Chiesa cattolica, al Sovrano Pontefice e alle generazioni future. Noi ci appoggiamo fermamente su tutto ciò che è stato creduto e praticato dalla Chiesa di sempre nella fede, nei costumi, nel culto, nell’insegnamento del catechismo, nella formazione dei sacerdoti, nell’istituzione della Chiesa, e codificato nei libri editi prima dell’influenza modernista del concilio, aspettando che la vera luce della Tradizione dissipi le tenebre che oscurano il cielo della Roma eterna. Così facendo, con la grazia di Dio e il soccorso della Vergine Maria, di san Giuseppe e di san Pio X, siamo convinti di restare fedeli alla Chiesa cattolica romana, a tutti i successori di Pietro, e di essere fedeli dispensatori dei misteri di Nostro Signore Gesù Cristo nello Spirito Santo 55.

6. Che i seminaristi diventino santi sacerdoti

Vi domando di pregare con tutta la vostra anima per tutti questi giovani seminaristi che vengono a mettersi sotto la direzione e la protezione del seminario di Ecône, affinché comprendano queste cose, divengano santi sacerdoti, veri sacerdoti, sacerdoti di cui avete bisogno, che vi parlano di Dio, dell'eternità, della salvezza


delle vostre anime: è questo che cercate, di cui avete bisogno, è questo che speriamo di trasmettervi con i nostri seminaristi di Ecòne. Vi domando di pregare per loro: ci vuole quasi dell’eroismo per continuare nella via in cui si trovano; spero che ne siano capaci, con il soccorso delle vostre preghiere! 56


 NOTE

 

1 «Molti santi hanno alimentato la propria vita spirituale con le sue letture bibliche e le sue preghiere, ordinamento che, nell’essenziale, risaliva a san Gregorio Magno» (Costituzione apostolica promulgante il messale romano restaurato dal decreto del II Concilio Ecumenico del Vaticano, 3 aprile 1969; dalla prefazione del messale romano, Droguet- Ardant, 1969).

2 Conferenza spirituale, Zaitzkofen, 7 febbraio 1980. Cfr. concilio di Trento, 22a sessione, c. 4 (DS 1745). 

3 Ritiro, Ecône, 22 settembre 1978.

4 Bolla Quo primum tempore di san Pio V: «Secundum pristinam normam sanctorum Patrum restituerunt missale».

5 Conferenza spirituale, Ecône, 27 settembre 1986. Le preghiere del Canone romano, per esempio, si trovano nel trattato De Sacramentis di sant'Ambrogio (fine IV secolo).

6 Concilio di Trento, 22a sessione, c. 4 (DS 1745): «Appare chiaro, intatti, che [il Canone] è costituito sia dalle parole stesse del Signore, sia dalle tradizioni degli Apostoli, e dalle pie istruzioni dei santi pontefici»; c. 5 (DS 1746): «La nostra santa Madre Chiesa [...] ha anche introdotto delle cerimonie, come le benedizioni mistiche, le luci, gli incensamenti, gli abiti, e numerose altre cose di tal genere, ricevute dall’autorità e dalla tradizione degli Apostoli».

7 Conferenza, Firenze, 15 febbraio 1975, in La messa di Lutero

8 Conferenza spirituale, Ecône, 14 settembre 1975 
9 Ritiro, Avrillé, 18 ottobre 1989.
 

10 Conferenza spirituale, Ecône, 14 settembre 1975.

11 Conferenza spirituale, Zaitzkofen, 7 febbraio 1980.

12 Conferenza spirituale, Ecône, 27 settembre 1986.

13 Conferenza spirituale, Ecône, 14 settembre 1975.

14 Conferenza spirituale, Ecône, 27 settembre 1986.

15 Lettera a Libre Belgique, 21 agosto 1975.

16 Il cardinale Stickler lo ricordava il 27 novembre 2004, nella prefazione della riedizione del Breve esame critico del nuovo ordo missa dei cardinali Ottaviani e Bacci: «Fortunatamente, la Messa romana latina detta di san PioV non è mai stata proibita: i sacerdoti ed i fedeli possono sempre attingere alla fonte della Lex orandi e vivere così fedelmente la Lex credendi».

 

17 Lettera aperta ai cattolici perplessi, p. 147 

18 Conferenza spirituale, Ecône, gennaio 1974.

 19 Conferenza spirituale, Écône, 14 settembre 1975.

20 Conferenza spirituale, Écône, 19 gennaio 1982.

21 Atque ut hoc ipsum Missale in missa decantanda aut recitanda in quibusvis Ecclesiis absque ullo conscientia scrupolo (senza nessun scrupolo di coscienza) aut aliquarum penarum sententiarum, censurarum incursu posthac omnino sequantur coque libere et licite uti possint et valeant auctonitate apostolica tenore prasentium etiam perpetuo concedimus et indulgemus.

22 Etiam perpetuo concedimus et indulgemus. 

23 Et alii quocumque nomine nuncupati.

24 Conferenza spirituale, Ecône, 16 gennaio 1975. 

25 Conferenza spirituale, Écône, 14 settembre 1975, 

26 Messa Tridentina, così detta in riferimento al Concilio di Trento.

27 Lettera aperta ai cattolici perplessi, pp. 146-147,

28 Ivi, p. 147.

29 Ivi, p. 136.

30 Omelia, Ecône, 29 giugno 1976. È da notare che mons. Lefebvre poggia l’essenza della sua argomentazione non sulla questione canonica, con l’esame delle condizioni di promulgazione della nuova messa, ma sull’aspetto teologico della nuova messa, che non è più un'espressione cattolica della fede e dunque non è più una legge nel senso profondo del termine. Il Breve esame critico, realizzato per iniziativa di mons. Lefebvre, tocca d’altronde la questione secondo questa prospettiva, concludendo che il N.O.M. «si allontana in modo impressionante, nel suo insieme come nel dettaglio, dalla teologia cattolica della santa Messa». È questa quindi la ragione essenziale del rifiuto del N.O.M. da parte di mons. Lefebvre.
 

31 Depositum custodi.

32 Permane, o Timothee, permane in iis quæ didicisti ab avia tua Loide ab infantia tua (2 Tm. 1,5).

33 Omelia, Lione, 8 febbraio 1976.
 

34 «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché facciano conoscere sotto la sua rivelazione una nuova dottrina, ma perché con la sua assistenza conservino santamente ed espongano fedelmente la dottrina esposta dagli Apostoli, cioè il deposito della fede» (Concilio Vaticano I, Pastor Æternus, DS 3070). Omelia, ordinazioni sacerdotali, Écòne, 29 giugno 1976.

35 Omelia, ordinazione sacerdotale, Ecône, 29 giugno 1976.

36 Conferenza spirituale, Ecône, 2 dicembre 1974. 

37 Conferenza spirituale, Ecône, 13 marzo 1975. 

38 Omelia, Ginevra, 15 maggio 1978.

39 Omelia, Lione, 8 febbraio 1976.

40 Hic est calix sanguinis mei, novi et eterni Testamenti.

41 Omelia, Écône, 29 giugno 1981. 

42 Omelia, Écône, 14 settembre 1975. 

43 Omelia, Lione, 8 febbraio 1976. 

44 Mons. Lefebvre e il sant'Uffizio, p. 72.

45 Traduzione libera del Te Deum.

46 Omelia, Ecône, 1° novembre 1990.

47 Conferenza spirituale, Ecône, 27 settembre 1986.

48 Cfr. a questo riguardo La condamnation sauvage de Monseigneur Lefébvre, Itinéraires, fuori serie, 8a ed. aprile 1977

49 Padre Edouard Dhanis era giunto da Roma, inviato da mons. Benelli, l’antivigilia delle ordinazioni, per convincere mons. Lefebvre a concelebrare con lui. 

50 Nonostante le persecuzioni, l'epopea della Fraternità, Fideliter, n. 59, settembre-ottobre 1987, p. 73.

51 Omelia, Ecône, 29 giugno 1976. 

52 Omelia, Ginevra, 15 maggio 1978.

53 Conferenza spirituale, Ecéne, 30 maggio 1971. 

54 Pellegrinaggio, Mariazell, 8 settembre 1975,

55 Dichiarazione, 21 novembre 1974; il testo integrale in Vi trasmetto quello che ho ricevuto, pp. 84-85.

56 Omelia, Garges-lès-Gonesse, 11 febbraio 1973

domenica 7 luglio 2024

Le profezie sulla Chiesa di don Dolindo

La Chiesa vincerà ogni errore

Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi, dice san Paolo ai Romani esaltando la loro fede. Nel Testo della Volgata è detto conterat satanam sub pedibus vestris velociter, STRITOLI SATANA, ma nel testo greco l’espressione è al futuro, stritolerà, come l’abbiamo tradotta noi, ed esprime non un augurio ma una profezia certissima. 

Questa profezia si è già in parte avverata nella storia della Chiesa, come accennammo, e costituisce la nostra grande speranza nei momenti di tristissima apostasia nei quali si trovano le nazioni e il mondo tutto. Ci siamo un po’ familiarizzati con l’errore a furia di sentircene assordare gli orecchi, e non ci accorgiamo che satana, subdolamente o apertamente, mira ancora una volta a sostituirsi a Dio e a Gesù Cristo.

Il dragone rosso, predetto già nell’ Apocalisse (12,3), stende i suoi artigli su tutta la terra, seduce i popoli e le nazioni, e in una gran massa di gente appare come tramontata per sempre la fede in Dio e il cristianesimo.

Il comunismo scellerato ed ateo, tiranno fino a sottoporre gli uomini alle più esose schiavitù, come ha fatto in Russia, nel Messico e dovunque ha imposto il suo dominio, è completamente agli antipodi del cristianesimo, che per esso non solo non ha più ragione di essere, ma che dev’essere sterminato dalla faccia del mondo. 

Il "nuovo Giovanni" profetizzato da Don Dolindo

Un grande combattimento si delinea già, anzi è in atto, ed esploderà in una persecuzione spaventosa contro la Chiesa, e la nostra fede sarà posta a durissima prova perché la bestia che sorge dal mare e quella che sorge dalla terra vinceranno i santi e vi sarà una grande desolazione nella Chiesa costretta a rifugiarsi nella solitudine, nascondendosi quasi e sparendo dal mondo.

Ma la Chiesa è indefettibile, e le porte dell’Inferno non possono prevalere contro di essa; da Roma verrà la luce, e Dio ridonerà la pace al mondo, stritolando satana sotto i piedi della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.

È questa la nostra grande speranza, anzi la nostra certezza; solo allora la grazia del Signor nostro Gesù Cristo sarà in pieno nella Chiesa Romana, e per essa nel mondo non si può negare che c’è stato ed è in atto un connubio adulterino tra il popolo di Dio e i seguaci del dragone e della bestia apocalittica, e da questo connubio è sorta come un’infezione luetica che ha inflacchito l’organismo de Corpo mistico del Redentore. 

Il modernismo biblico, teologico e storico ci ha infettati, la parola di Dio non ci penetra più, la fede vacilla e si spegne in tanti cuori, la pietàn è come morta, l’amore a Dio langue anche elle anime consacrate a Dio. Dissimulare questo stato deplorevole nelle anime è una stoltezza, e non metterci rimedio lasciandosi trasportare dalla trista e limacciosa corrente è un tradimento. 

Ma noi non siamo senza speranza, attendiamo e dobbiamo attendere fiduciosi l’intervento di Dio, e siamo certi che Egli darà pace al mondo stritolando satana sotto i piedi della Chiesa. 

(Don Dolindo  Ruotolo)

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Queste affermazioni di Don Dolindo hanno effettivamente il loro fondamento indiscusso nel Vangelo. Le parole di Gesù a Pietro: «Tu sei Pietro (cioè pietra, roccia) e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’Inferno non prevarranno contro di essa», stanno a indicare la divina assistenza alla Chiesa che ha la sua sede in Roma, con i successori di san Pietro. 

Però, dal tono del commento, ci si può chiedere se per caso Don Dolindo non ebbe qualche sensazione profetica, specialmente per una caduta del comunismo ateo e un ritorno alla libertà religiosa di tutti i popoli.

Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata da un fatto che sembra marginale, ma che fa pensare a qualcosa di più di un’intuizione assolutamente imprevedibile, anzi da escludersi, quando l’episodio avvenne. Si tratta di questo.

Don Dolindo era solito donare qualche immaginetta alle persone che erano in relazione con lui. In esse scriveva talvolta: Gesù dice... oppure: la Madonna dice... non come rivelazione avuta, ma come semplice interpretazione del pensiero del Signore e della Vergine Santissima.

Le signorine dell’ Apostolato Stampa — pia associazione fondata e guidata spiritualmente da Don Dolindo — spesse volte trascrivevano in vari quaderni le belle frasi spirituali poste sul retro delle immaginette. Da quelle, anzi, ricavarono poi utili raccolte per le suore, per le madri di famiglia ecc. pubblicate in opuscoletti molto diffusi.

Ora avvenne che un diplomatico polacco, sig. Vitold Laskowski, amico di un avvocato napoletano, aveva da questi sentito parlare di Padre Pio e di Don Dolindo. L’avvocato lo sollecitava per un incontro con Don Dolindo, ma ora per un motivo, or per un altro, il viaggio a Napoli veniva sempre rimandato. 

Un giorno, però, si vide recapitare un’immaginetta di Don Dolindo, mai visto e mai conosciuto di persona, in cui si parlava della salvezza del mondo, che sarebbe venuta dalla Polonia. L’immaginetta fu trascritta anche dalle sorelle dell’ Apostolato Stampa, il 2 luglio 1965; si osservi bene: 2 luglio 1965, tredici anni prima che venisse eletto papa Giovanni Paolo II

Il sig. Laskowski fu molto meravigliato nel ricevere l’immaginetta, non avendo mai avuto corrispondenza o relazione con Don Dolindo. L’immaginetta, dopo qualche tempo, la donò al vescovo profugo cecoslovacco mons. Paolo Hnilica. Ma tutto fu dimenticato, come cosa di nessuna importanza. 

Dopo l’elezione a sommo pontefice di Giovanni Paolo II — si era nel novembre 1978 — una delle sorelle dell’ Apostolato Stampa, aprendo a caso uno dei quaderni dove talvolta venivano riportate le parole scritte da Don Dolindo sulle immaginette, ebbe davanti il testo mandato a Vitold Laskowski, lo lesse e lo comunicò alle sorelle: era una profezia fatta da Don Dolindo nel 1965? Sembrava di sì. Sorprendente! 

Però, se non si aveva l’originale, non poteva essere te. stimoniata. Ma chi era questo sig. Laskowski? Dove si trovava? Si pensò che fosse un monaco camaldolese perché nel 1963 Padre Dolindo aveva conosciuto un camaldolese. Le sorelle dell’ Apostolato Stampa telefonarono a vari monasteri camaldolesi; ma non esisteva un monaco con tale nome. Finalmente dall’ Abbazia di Firenze un monaco diede indicazioni che fecero rintracciare il sig. Vitold, il quale rispose e narrò quanto sopra accennato.

Ma l’immaginetta? L’aveva donata a padre Paolo, come chiamavano il vescovo Hnilica. Fu pregato, il conte Laskowski, di fare del tutto per rintracciarla. Furono scrutate tutte le carte nello studio di mons. Hnilica, ma non fu trovato nulla. Finalmente, in una vecchia cassa, in fondo a un cumulo di carte, corrispondenza ecc., si trovò quello che si cercava. Si volle la dichiarazione autenticata dal Vicariato di Roma sulla copia fotostatica. 

Ma che cosa dice lo scritto di Don Dolindo del 1965 ad un polacco che il sacerdote napoletano non aveva mai conosciuto? Ecco il testo: 

«Vitold Laskowski. 2 luglio 1965. Maria all’anima: Il mondo va verso la rovina, ma la Polonia, come ai tempi di Sobieski, per la devozione che ha al mio cuore, sarà oggi come i 20.000 che salvarono l’Europa e il mondo dalla tirannia turca. Ora la Polonia libererà il mondo dalla più tremenda tirannia comunista. Sorge un nuovo Giovanni, che con marcia eroica spezzerà le catene, oltre i confini imposti dalla tirannide comunista. Ricordalo. Benedico la Polonia. Ti benedico. Beneditemi. Il povero sac. Dolindo Ruotolo via Salvator Rosa 58, Napoli».

Basta riferire il fatto, far conoscere il testo e lasciare a ciascuno di giudicare se vi sia stato o no in Don Dolindo il carisma della profezia. Oggi i fatti parlano. Un papa polacco, Giovanni Paolo Il, è andato avanti Con «marcia eroica»!

Anniversario di Sacerdozio di Don Dolindo Ruotolo

Una bella preghiera del 24 giugno 1955
Ricordo del cinquantesimo anniversario di Sacerdozio di Padre Dolindo Ruotolo

ELIE G. DIBELIE G. DIB
24 GIUGNO 2024

La mia cara amica Gabriella ha fatto di recente una scoperta incredibile: un'immagine sacra originale datata 24 giugno 1955, stampata per celebrare il 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Don Dolindo. Gabriella ha condiviso con me le foto sia del fronte che del retro di questo ricordo speciale.


 

Mentre esaminavo l'immagine sacra, sono stato immediatamente colpito dalla preghiera sentita scritta sul retro. Le parole di Don Dolindo trasmettono un profondo senso di gratitudine e devozione che lo aveva sostenuto nel corso del suo lungo ministero sacerdotale. Nella sua preghiera, esprime profondo apprezzamento per le "misericordie divine" che lo avevano sostenuto anche nella sua "povera e travagliata vita".

Don Dolindo riconosce umilmente in Gesù la fonte della sua "dignità" sacerdotale, ringraziando il Signore per aver reso fecondo il suo "doloroso cammino" nel portare "tante grazie per la gloria di Dio e il bene delle anime". Si rivolge anche alla Beata Vergine Maria, sua "Madre", chiedendole di aiutarlo a rimanere "fedele a Gesù e alla Chiesa fino alla morte" e di "condurmi un giorno in Paradiso".

Il fronte dell'immagine sacra presenta il suggestivo testo latino "VENI CREATOR SPIRITUS" - "Vieni, Spirito Santo" - un'invocazione appropriata data la devozione e il servizio di Don Dolindo come sacerdote per tutta la vita. Questo ricordo speciale offre uno sguardo al cuore e alla spiritualità di questo fedele servitore di Dio mentre celebrava 50 anni di ordinazione sacerdotale.

Nel 2024 ricorre il 119° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di don Dolindo, 69 anni dopo il 50° anniversario celebrato sull'immaginetta del 1955:



Cinquant'anni di Sacerdozio, cinquant'anni di misericordie divine nella mia povera e tribolata vita!
 
Grazie, Gesù, per tanta dignità, grazie per il mio cammino doloroso, che Tu hai reso fecondo di tante grazie per la gloria di Dio e il bene delle anime.
  
Voi tutte che oggi mi circondate, ringraziate per me Gesù. 
 
O Maria, Mamma mia, sono un povero nulla, fammi fedele a Gesù e alla Chiesa fino alla morte, coprimi col tuo manto. Portami un giorno in Paradiso.
 
1905 24 GIUGNO 1955 
 
RICORDO
 
del cinquantenario del Sacerdozio del 
 
Sac. Dolindo Ruotolo

mercoledì 3 luglio 2024

Nulla ci turbi e nulla ci sgomenti: Dio realizza le nostre speranze in una maniera immensamente più grande (don Dolindo Ruotolo)

Don Dolindo Ruotolo
Fede e speranza: l’augurio di san Paolo ai Romani 15:13 

Se tutti i popoli insieme col popolo Ebreo devono formare un sol coro di lodi a Dio e riporre in Lui ogni loro speranza, san Paolo augura ai Romani, formati appunto da Giudei e pagani, che il Dio della speranza li ricolmi di ogni gaudio e di pace nel credere, affinché abbondino nella speranza per virtù dello Spirito Santo. (Romani 15,13) 

Lucas Cranach il Vecchio: Gesù  benedice i bambini

La fede non è un atto sterile dell’intelletto, non è un semplice assenso alla verità, ma diventa speranza: confìdenza, abbandono in Dio e sospiro alla vita e ai beni eterni, poiché fede è sostanza delle cose sperate. La speranza, resa certissima per la fede, è quella che dà all’anima il gaudio dell’attesa di ogni bene e la pace della confidenza e dell’abbandono in Dio per la grazia dello Spirito Santo.

È il più grande augurio che possa farsi ad un’anima, e che san Paolo poteva fare ai Romani. La vita è piena di angustie, d’incertezze, di lotte, di tribolazioni, e non può essere sorretta che dalla speranza soprannaturale. Chi crede, ma è pessimista nella vita, vede tutto nero e giudica tutto male, non ha né gaudio interiore né pace, ma passa la sua esistenza terrena tra lamenti, angustie, pene e molte volte tra disperazioni che la rendono infelicissima. Di nulla si appaga e di nulla si contenta, perché non vede che il momento presente, che è momento di prova e di tribolazione.

Nelle più piccole e comuni cose della vita è solo la speranza che sostiene e che dà un senso di tranquillità e di pace in ciò che si ha e che appare sempre incompleto e insoddisfacente.

Se un fanciullo, per esempio, sta a tavola e non gli va la minestra, spera nella pietanza e si appaga momentaneamente della minestra. Se non ha quella speranza si sconvolge e si dispera. I pianti disperati dei bambini quando sono scontenti di ciò che hanno, dipendono proprio dalla mancanza di questa infantile speranza. E difatti, per acquietarli, basta loro prospettare, sia pure illudendoli, la speranza di un giocattolo, di una leccornia. Nell’attesa cessano di piangere e di agitarsi perché sperano.

Noi, che siamo sempre infanti nella vita presente, dobbiamo sperare non illudendoci, ma nello Spirito Santo, con vera speranza soprannaturale fondata sulla fede. Anche se ci pare di essere dei falliti o degli illusi dobbiamo sperare, perché il Signore è potente a riparare i nostri fallimenti ed a realizzare nella sua volontà le nostre stesse illusioni di un bene futuro, che sono, in fondo, aspirazioni fondate sulla sua potenza. Tutto può fallire fuorché l’onnipotenza di Dio, e l’anima che magari sogna, se si appoggia nei suoi sogni di bene e d’amore all’onnipotenza di Dio, li vede realizzati in una maniera più grande, perché Dio è Padre amoroso e fedele. 

Le inclinazioni del bimbo possono vedersi pure nella preferenza che egli ha per certi giocattoli e per certi modi di divertirsi; il babbo non contenta sempre immediatamente suo figlio nelle sue aspirazioni infantili, ma spesso parte proprio da esse per realizzare in lui un disegno più ampio. Invece di dargli una pianeta di carta, per esempio, o un calicetto di piombo, lo avvia all’età più matura agli studi del seminario perché abbia un giorno una pianeta di broccato e un calice d’oro. Invece di appagarlo nella speranza di avere giocattoli meccanici, ai quali lo vede inclinatissimo, lo avvia, magari anche penosamente, alle scuole tecniche e meccaniche; invece di piccole armi che scoppiettano, lo indirizza alla scuola militare.

Noi siamo meno che bimbi nelle nostre aspirazioni e nei nostri sogni, ma se confidiamo in Dio, e se speriamo contro ogni speranza, Egli vede nell’illusione stessa la nostra inclinazione, e da Padre amorosissimo qual è, ci contenta, realizzandola nella sua volontà in una maniera immensamente più grande.

Adamo ed Eva caddero nel peccato per la speranza di essere simili a Dio. Fu una rovina, un'immensa rovina; ma, quando alla voce di Dio provarono sgomento, e al suo rimprovero si pentirono, il Signore raccolse quella stessa speranza, sorta come fiore silvestre tra macerie della giustizia originale, e alla donna promise il frutto vero della vita, e all’uomo l’Uomo-Dio, che doveva realmente renderlo simile a Dio. Passarono quattromila anni di attesa angosciosa; ma quella speranza, quella stessa speranza si realizzò, e il figlio lontano di Adamo fu l’Uomo-Dio, e la donna Immacolata, figlia di Eva, colse dalle regali sedi, per lo Spirito  Santo, il frutto della vita.

lo spero, Signore, contro ogni speranza!

In un arruffato groviglio d’illusioni, io sospiro sinceramente al regno di Dio, al regno dell’infinito Amore. Vi sospiro e spero in Dio contro ogni speranza, perché le illusioni non possono darmi che il fallimento delle mie speranze. Fallisco ma mi ostino nelle mie speranze perché spero in Dio, spero sinceramente in Lui solo.

Tutto fallisce, magari, tutto quello che è mia idea, mio sogno, mia claudicante profezia da strapazzo, ma non fallisce la speranza perché fondata sinceramente in Dio, nella sua onnipotenza e nel suo amore.

Egli la raccoglie.

È un seme avariato e selvatico, ma la sua onnipotenza può farlo germinare e può innestare al virgulto selvatico la viva e robusta pianta d’un suo disegno d’amore. La mia pianta è tutta potata dalla tribolazione, ma il suo vivo germoglio cresce e prospera, e nel tempo stabilito da Dio produce il suo frutto. Per questo Dio loda gli uomini di desideri, per questo fu lodato Daniele, che meritò così di vedere determinatamente il compimento lontano dei suoi desideri, che erano la sua speranza. Solo l’illusione peccaminosa non è raccolta e non può essere raccolta da Dio, perché non è speranza riposta in Lui, ed è un viscido seme che produce triboli e spine.

Adamo sospirò ad un benessere orgogliosamente e stupidamente personale di grandezza terrena, poiché non guardò che alla propria vita sulla terra, e dalla terra raccolse triboli e spine, ma si pentì e sperò la salvezza dalla misericordia divina, e la misericordia mutò l’aspirazione stupida in soprannaturale speranza, e la compì meravigliosamente nell’Incarnazione del Verbo. Il peccato fruttò la rovina, la speranza attrasse la misericordia.

Con profondissima ragione, quindi, l’Apostolo, dopo aver parlato ai Romani della fede in Gesù Cristo, conclude augurando loro l'abbondanza della speranza, che doveva realizzare e compiere in loro le divine misericordie. Quest’abbondanza di speranza dobbiamo averla anche noi, sospirando al regno di Dio in noi e nel mondo, e dobbiamo averla in tutte le vicende della nostra vita, soprannaturalmente, per virtù dello Spirito Santo.

Nulla ci turbi e nulla ci sgomenti, ma in tutte le necessità della vita spirituale e materiale confidiamo in Dio, pienamente, sovrabbondantemente.

Togliamo da noi quell’oscuro ed opprimente pessimismo che ci fa vedere tutto fallito intorno a noi nell’anima e nel corpo; confidiamo e preghiamo. Anche se avessimo seminato, con le nostre illusioni, un germoglio di bene, Dio è potente ad innestarlo ad un suo disegno d’amore ed a svilupparlo inopinatamente nella sua grande misericordia. Nulla fallisce in ciò che abbiamo sperato da Lui, e che non è aspirazione di orgoglio o di sensi. Egli è il paterno amore che muta i giocattoli in edifici solidissimi, e che nella terra piantata a spine semina i suoi germogli di vita.

L’aspirazione fiduciosa ad un’azione viva dello Spirito Santo muta, magari, l'illusione di una falsa visione in un intervento magnifico dello Spirito Santo; la speranza di un'universale rinnovazione fondata su disegni fantastici provoca dalla bontà di Dio una rinnovazione reale delle anime per il suo intervento.

Si passa tra le croci e le tribolazioni, perché Dio deve demolire le nostre fantasie; ma se non si abbandona la mano della Chiesa che guida, orienta e purifica le aspirazioni delle anime, anche il gioco di un’infanzia esuberante diventa realtà mille volte più in grande nelle mani di Dio.

Il Dio della speranza, perciò, ci ricolmi di ogni gaudio e di pace nel credere, affinché, avendo in Lui una viva fede, abbondiamo nella speranza per virtù dello Spirito Santo.

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Lettera ai Romani 15,4-13

4Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza.5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù,6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.8Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri;9le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:

'Per questo ti celebrerò tra le nazioni pagane,
e canterò inni al tuo nome'.
10E ancora:

'Rallegratevi, o nazioni, insieme al suo popolo.'
11E di nuovo:

'Lodate, nazioni tutte, il Signore;
i popoli tutti lo esaltino'.
12E a sua volta Isaia dice:

'Spunterà il rampollo di Iesse,
colui che sorgerà a giudicare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno'.

13Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.