mercoledì 9 ottobre 2024

"Ite Missa est": Andate: la Messa è fatta a pezzi! (di Pellegrino Santucci, 1977)

ITE MISSA EST 
 
Di Pellegrino Santucci
Tratto da: "Il lievito dei Farisei. Una polemica del nostro tempo"
Legal Editrice 1977



«Ricordavo ancora (a dieci anni avevo servito messa) certi passi della messa in latino: e li confrontavo all'italiano cui erano stati ridotti; propriamente ridotti, e anche nel senso di quando si dice: com'è ridotto il tale».

(Leonardo Sciascia) 



Andate: la Messa è fatta a pezzi! È ormai scontato che il punto centrale della polemica dei cattolici tradizionalisti è la Messa. Ora va detto subito che la Messa di oggi non è quella voluta dal Concilio. Non solo, ma deve essere chiaro una volta per tutte:
  1. che questa messa, proposta nell'ottobre 1967 con la formula «messa normativa», fu bocciata;
  2. che il «Novus Ordo Missae» è identico nella sostanza alla bocciata «messa normativa»; .
  3. che il «Novus Ordo» fu imposto senza interpellare le Conferenze episcopali per timore di ricevere altre bocciature;
  4. che le cosiddette richieste di riforma della messa da parte del popolo sono una pura invenzione;
  5. che il paragrafo 50 della Costituzione liturgica richiedeva un riordinamento delle singole parti della messa, non la loro distruzione;
  6. che l'art. 7 del «Novus Ordo», così come fu formulato (e poi cambiato un anno dopo per le proteste di Cardinali, Vescovi e fedeli di ogni parte del mondo) era sfacciatamente e volutamente eretico;
  7. che la promozione dell'assemblea a rango sacerdotale è una mitizzazione del populismo oggi di moda (il Sacerdote è il prete e come dice la stessa Costituzione «Sacrosanctum Concilium, il Sacerdote offre il Sacrificio a Dio a «nome» del popoIo);
  8. che la Messa è Sacrificio, non cena, per la cui celebrazione esige l'altare e non la tavola;
  9. che la celebrazione «versus populum» come ha dimostrato Klaus Gamber in uno studio di assoluto rigore critico, è un'invenzione di Lutero e non un ritorno alla prassi degli antichi.

Se poi a tutto questo si aggiungono le mutilazioni, i doppi sensi, dall'Offertorio al Cànone, è facile rendersi conto che lo sconfinamento nell'eresia e l'abbandono della tradizione risultano così vistosi da dover parlare di «altra» messa.

Ricordino gli eversori: perché questa messa e non la vecchia di S. Pio V piace anche ai protestanti? Come si spiega che gli avvenuti cambiamenti sono secondari per i cattolici, essenziali per ì protestanti? Perché alla sua «formulazione» hanno dato largo contributo i protestanti? (2).

La risposta è semplice: perché sono prevalse le loro tesi e cioè: riduzione del culto dei Santi e della Madonna; abolizione delle formule sacrificali dell'Offertorio, soppressione del latino, prevalenza delle letture, accentuazione del concetto messa-assemblea ecc. Ciò che faceva scrivere a Tilloy: «Ma a queste conclusioni, non meno sicure teologicamente che accertate storicamente, noi dobbiamo purtroppo aggiungere la constatazione seguente, di gravità eccezionale, dobbiamo affermare che, spezzando l'unità dei riti, delle formule e degli usi liturgici, il Concilio Vaticano Il “sacrificava” e distruggeva di fatto l'unità dottrinale e l'unità disciplinare della Chiesa Cattolica Romana» (Tilloy - «L'Ordo Missae» - «L'unità nell'eresia», Ed. Volpe).

Le conseguenze di questi rivolgimenti furono immediate e clamorose: la messa divenne lo scempio di tutti gli scervellati. Le cose più ignobili e più assurde si consumarono attorno all'altare e sull'altare. L'Eucaristia divenne l'oggetto più ridicolo delle celebrazioni. Un autentico carnevale imperversò (ed imperversa) nelle chiese, «inscii et conscii» i superiori.

Perché tutto questo? Papa Montini è sempre felicissimo nella diagnosi: «spirito di vertigine». Ma da chi, come e quando i fedeli presero le vertigini? Meglio tacere. Adesso capisco quello che scrisse Montesquieu: «La Chiesa cattolica distruggerà quella protestante, perché diventerà più protestante ancora».

A questo punto i novatori ed anche l'enorme massa dei ben pensanti che non si sono mai posto il problema in crudi termini di fede e di verità, hanno al loro attivo la grande carta: il popolo!

Ma chi è questo popolo? Certo, la maggioranza oggi è contenta della riforma avvenuta: il tempo sistema tutto. Ma... e gli assenti, i fuggiti e gli indignati e gli scandalizzati e i traumatizzati non li mettete nel conto? E ancora, i tartassati e i sofferenti e le vittime di questa «inutile strage» non dicono proprio nulla?

Poi, popolo o non popolo, una cosa è chiara: il Concilio a cui, signori, vi appellate, queste cose non volle e lo dimostrò. Perché allora vantare una vittoria ottenuta con l'inganno? Perché non seppellire una volta per sempre questo benedetto Concilio Vaticano Il quando di esso si è distrutto lo spirito e la lettera? Ci si accusa, come si accusa Mons. Lefèbvre, di criticare il Papa perché, tanto lo sappiamo, oggi non costa molto aggredire l'autorità: «ci vuole più coraggio e più temperamento — scrive Kraus — ad attaccare uno spazzino che un monarca». Anche qui il sofisma è evidente. Noi non attacchiamo il Papa: noi lamentiamo le stesse cose che Egli pure lamenta, che la Chiesa lamenta come tutti coloro che non possono assistere al disfacimento di quanto secoli di tradizione hanno costruito. Noi lottiamo contro quelle che sono vere ingiustizie, violazioni palesi, imbrogli diabolici, oggi unanimamente riconosciuti da credenti e non credenti. Forse non si capisce quanto costi e quali sofferenze ci causi la nostra posizione scomoda e proprio per questo devo dire che spesso a nostro riguardo si è spietati e senza cuore. Lo so, lo so: ce l'hanno detto tante volte: siamo presuntuosi! Personalmente confesso che lo sono, ma la mia presunzione è solo la ricerca della verità. Tutto il resto è retorica.

Qualora poi i soliti giacobini volessero la prova ultima, inequivoca e definitiva di quanto sopra affermato, torniamo anche noi al Concilio (dico al Concilio anch'io, come se nella Chiesa cattolica, dalla sua origine ai giorni nostri ci fosse stato un «unico» Concilio!).

La Costituzione «Sacrosanctum Concilium», al paragrafo 4 dichiara: «Il Sacro Concilio, in fedele ossequio alla Tradizione, dichiara che la Santa Madre Chiesa considera su una stessa base di diritto e di onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati ed in ogni modo incrementati, e desidera che, ove sia necessario, vengano prudentemente e integralmente riveduti nello spirito della Santa Tradizione, e venga loro dato nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo».

Capito? «Fedele ossequio alla tradizione», su «base di diritto e di onore», «riti legittimamente riconosciuti». Si ha la netta impressione che tutto sia stato calcolato, pesato, calibrato al millesimo, proprio per togliere ogni possibilità di manipolazioni. Poi... tutto è stato stravolto. Può allora un vero cattolico non lamentarsi di essere stato tradito e frodato? A questo punto io ammiro molto di più quanti, fra i novatori, hanno avuto il coraggio di dire e di scrivere con franchezza che la riforma liturgica, non prevista nella sua attuale formulazione, è stata tutto un sotterfugio. «Gliel'hanno buttata fra le gambe» come ebbe a esprimersi felicemente, anche se un po’ grossolanamente, un noto esponente del dissenso che pontifica su riviste laiche. «Tutti i riti — dunque —legittimamente riconosciuti»..

Allora dovrei concludere che il rito romano latino di S. Pio V, in auge da secoli, «non era legittimo» e nemmeno riconosciuto? Quindi, per secoli, i cattolici, Papi e Vescovi in testa, sono stati vittima di un mostruoso equivoco? Io sono sempre stato allergico al Diritto Canonico: a scuola intanto me l'hanno spiegato male; poi l’ho studiato poco e, di conseguenza l'ho capito meno. Mi affido perciò all'intelligenza, alla conoscenza, alla precisione di quanti ne sanno più di me. Pubblico quindi un lucidissimo studio del Prof. Gabriel Chabot, un latinista svizzero che tratta il problema non in chiave polemica, ma nella sua realtà testuale e contestuale. Il tema è:  
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«La Messa di S. Pio V (la vecchia messa) è stata abolita?».

I - Affermare che lo sia è un abuso di linguaggio, è contrario alla verità, è una «facezia», è una menzogna. 

I - La messa detta di S. Pio V e la Bolla « Quo Primum»
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«Il I/II/1562, il Santo Concilio di Trento — “dottrinale” e non “pastorale” come il Vaticano Il — nomina una Commissione incaricata di rivedere il Messale. Il suo compito, ben definito, non è quello di comporre un nuovo Messale, ma di reintegrare un Messale “unico” per tutta la Chiesa latina. Non si tratta quindi di una “riforma” che avrebbe dovuto modificare l'economia del rito tradizionale, ma di una “revisione” del Messale Romano, il quale risale almeno al IV secolo, e questo per impedire qualsiasi infiltrazione protestante nel rito della Messa. Il titolo stesso dei nostri Messali di uso liturgico dice espressamente: «Missale Restitum, Recognitum», cioè: restituito alla sua forma originale, ripristinato e, a questo fine, solo restaurato.

Il 14-7-1570, il Pontefice regnante, S. Pio V, promulga questo Messale, con la Bolla “Quo Primum". Le disposizioni contenute in questa Bolla sono molteplici e complesse e sono imposte “in virtù dell'Autorità apostolica, a tutti e ad ognuno, in nome della santa obbedienza”, e come "un ordine stretto e perpetuo, sotto pena della nostra indignazione...”. Ed ecco il loro enunciato finale: “Per conseguenza, nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare questo nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo”.

La forma e il contenuto di questa Bolla mostrano con evidenza che la minaccia finale non è affatto, come qualche volta si è detto, “una semplice clausola di stile”: undici termini per precisare la volontà del Pontefice! In nessun caso, nessuna autorità potrà imporre, a nessun titolo, un altro Messale al sacerdote che vorrà usare quello emanato da S. Pio V. Il Pontefice dichiara, infatti, di concedere “in perpetuo” questo “libero e lecito uso”, come un “privilegio” o “indulto” (‘“indulgemus”), senza che il sacerdote possa incorrere in alcuna specie di censura o pena.

D'altra parte, la Bolla "Quo Primum” non è una qualsiasi legge ecclesiastica che una nuova decisione pontificia possa riformare. Essa è un “atto” del Magistero Supremo, legato organicamente al Concilio dottrinale di Trento in quanto deciso da questo Concilio. In realtà S. Pio V non fa che promulgare una decisione dottrinale di quel Concilio contro l'eresia protestante o il pericolo di infiltrazioni protestanti nella Messa cattolica.

Nella loro lettera del 1969 al Santo Padre, î Cardinali Ottaviani e Bacci lo rilevano espressamente: "... la teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio di Trento, il quale, fissando definitivamente i ‘“canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l'integrità del Mistero”.

Intaccare la Bolla "Quo Primum” significa dunque intaccare le decisioni dottrinali, e quindi irreformabili, del Concilio di Trento.

II - Paolo VI ha voluto o non ha voluto abrogare la Bolla di S. Pio V? L'ha fatto? La questione è tutta qui.

E possibile, è probabile che Paolo VI lo abbia voluto; è certo, dicono alcuni. Ebbene, anche una volontà certa di Paolo VI non è sufficiente per considerare abrogata la Bolla di S. Pio V. Come dice il teologo Suarez: “non è sufficiente che il Superiore ordini, per veramente legiferare”. È necessario, in più, che egli voglia obbligare i sudditi. Giuridicamente, canonicamente, i sudditi sono obbligati solo se la volontà del legislatore è “promulgata”, cioè espressa chiaramente, senza lasciare adito al minimo dubbio.

Paolo VI poteva farlo? Strettamente parlando, è vero che un Papa ha il diritto di modificare o di abrogare le decisioni e le leggi ecclesia.stiche dei suoi predecessori: tutti sono d'accordo su questo. Tuttavia anche supponendo che la Bolla “Quo Primum” fosse una qualunque legge ecclesiastica — cosa che non è, come abbiamo detto più sopra — occorrerebbe, perché la sua abrogazione fosse “valida” e “lecita”, la realizzazione di due condizioni "sine quibus non” che invece non si realizzano in questo caso: 
  1. l'abrogazione “esplicita”, nominatamente della detta Bolla, con un documento datato e firmato dal Papa Paolo VI e dato e pubblicato in virtà della sua Autorità apostolica; 
  2. ragioni, gravissime, proporzionate all'importanza della legge in questione. Nel caso della Messa, le ragioni che ebbe S. Pio V: la purezza del rito, l'unità e la salvaguardia contro l'eresia.

1. “Dove e quando” Paolo VI ha abrogato la Bolla di S. Pio V, secondo le condizioni richieste per farlo?

Trattandosi di un atto di portata legislativa, è certo che non bisogna cercare la manifestazione dell'obbligazione giuridica nelle allocuzioni del Santo Padre, né în una semplice "circolare di applicazione” (come l'Istruzione del 30-X-1969), e nemmeno nei colloqui privati, anche se tra il Papa e cardinali o vescovi. L'espressione della chiara volontà di obbligare si può solo cercare nell'atto costitutivo della nuova messa: la Constitutio apostolica “Missale Romanum” del 3-IV-1969. Ebbene, non vi si trova affatto questa chiara volontà.

La Costituzione di Paolo VI consta di tre parti:

A) Alcune frasi di elogio all'indirizzo del Messale di S. Pio V e una trentina di righe sulle origini del nuovo.

B) L'analisi, in tre pagine, delle innovazioni introdotte in questo messale riformato.

C) La conclusione del documento, che dovrebbe normalmente essere la parte “dispositiva”, che dichiari cioè in termini precisi la volontà del legislatore: ciò che egli ordina, ciò che proibisce, ciò che permette. E inoltre, poiché Paolo VI legifera su materia già esistente e în pieno vigore, ci si attende che dichiari espressamente il rapporto che egli intende stabilire tra la legge nuova e l'antica: abrogazione, semplice deroga, indulto, ecc...

Questa terza parte comincia appunto con la frase divenuta famosa: “Ad extremum, ex iis quae hactenus de novo Missali Romano exposuimus, quiddam nunc cogere et efficere placet”.

Qual è l'esatto significato di questa frase, capitale in questo punto e in un tale documento?

Ecco la “traduzione” (?!) diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede (cfr. Documentation Catholique, 1-VI-1969, p. 517):

— “Per finire, Noi vogliamo dare forza di legge a tutto ciò che abbiamo finora esposto sul nuovo Messale Romano".

La traduzione italiana è, del resto, identica.

Nelle due traduzioni, gli stessi controsensi, più che goffaggine o ignoranza: una deformazione effettiva e volontaria, nel modo più evidente, perché necessaria ad imporre il nuovo messale. I falsari del Vaticano hanno preso tutti i fedeli lettori per idioti. E in questo si sono proprio sbagliati: malgrado ciò che essi credono, la lingua di Cicerone e della Chiesa Romana — fino a dieci anni fa — è ancora compresa qua e là. E ogni latinista decente o soltanto un poco esperto comprende il vero senso della frase in questione. Il solo senso possibile è il seguente: “Per finire, da tutto ciò che abbiamo finora esposto circa il nuovo messale romano, ci piace ora (placet) trarre un riepilogo e una conclusione (quiddam cogere et efficere)”.

Tutt'altra cosa che la traduzione dei falsari vaticani! “...Noi vogliamo (placet) dare forza di legge (cogere et efficere) a tutto (quiddam) ciò che abbiamo...” (Sic!!).

Qualche riferimento per chi dubitasse del vero significato della formula “cogere et efficere”: Cicerone: “Ex quibus id quod volumus efficitur et cogitur”.
“Da cui deriva la conseguenza, la conclusione che cerchiamo”. (De legibus, II, 13, 35). Sant'Agostino: ‘“Ratiocinando effici Deum esse debere... ratione cogi”. “Il ragionamento stabilisce che deve esistere una divinità... la
ragione lo “conclude”.

Il canonico P. Rouget traduce, dopo una mirabile analisi, la frase in questione: 

Per finire, in seguito a quanto Noi abbiamo esposto sul nuovo messale romano, c'è un punto (quiddam) che ci piace (placet) ora dedurre e stabilire (cogere et efficere).

Il Professor Ettore Paratore dell'Università di Roma: “La traduzione della Sala Stampa della Santa Sede è una frode evidente e sfrontata... Perfino in Vaticano, ci sono ormai dei falsari pronti ai controsensi più vergognosi, nella loro fretta sfrenata di trasformare la Chiesa in un sindacato rivoluzionario”.

Si potrebbero portare decine di altre referenze di sacerdoti eminenti e di professori di Università. Ma può bastare così: la causa è decisa.

Non si potrebbe nemmeno trovare l'espressione della volontà di obbligare nell'ultimo paragrafo della Costituzione, di cui le parole essenziali sono:

Nostra haec autem statuta et praescripta nunc et in posterum firma et efficacia esse et fore volumus”,

“Queste (haec) decisioni e prescrizioni, vogliamo che ora e in futuro siano e restino ferme e efficaci”.

Infatti, lo “haec" che intende indicarle, si riferisce a tutto quello che precede. Ebbene, in tutto quello che precede si trovano solo due prescrizioni precise: in 3 nuovi canoni e l'inciso “quod pro vobis tradetur” aggiunto alle parole della consacrazione del pane. Senza parlare del perfetto dell'indicativo usato per esprimere la volontà: statuimus, iussimus" (abbiamo deciso, ordinato). Forma strana un un testo che dovrebbe esprimere una decisione attuale e durevole!

2. Quanto alle “ragioni gravissime” che avrebbe avuto Paolo VI per abrogare la Bolla “Quo Primum”, quali sono mai? Queste ragioni potrebbero essere solo quelle di sostituire una Messa migliore ad una peggiore. È proprio questo il caso? Si giudica l'albero dai suoi frutti.

La nuova messa di Paolo VI fu rifiutata, in un primo tempo, dal Sinodo romano del 1967, a cui fu presentata da Bugnini (Annibale) e i suoi Cartaginesi, sotto il nome di “messa normativa”. Il progetto fu però ripreso con la collaborazione di “sei teologi protestanti”! Il risultato di questa elucubrazione fu finalmente accolto da Taizé e altri luoghi “riformati”, come anche da Paolo VI. Si arrivò così alle “celebrazioni eucaristiche” più cervellotiche e sacrileghe, come tutti sanno, e tutte scaturite dalla nuova messa polivalente, provvisoria, “aperta al progresso”, fino alle “pagliacciate da caffé-concerto — dice Jean Madiran — co-presiedute e concelebrate come ‘messe’ da alcuni vescovi a Lourdes, nell'agosto 1972”.

La definizione ufficiale di questa nuova messa è stata data in due testi differenti, ma identici nella dottrina: 
1) il famoso paragrafo 7 della “Istitutio generalis” del “Novus Ordo”: “La Cena domenicale” ( del Signore) o Messa è la sacra riunione o assemblea del popolo di Dio, adunato in un luogo sotto la presidenza del sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Perciò vale eminentemente per l'assemblea locale... la promessa di Cristo: là dove sono riuniti due o tre in mio nome, io sarò tra loro”. È vero che questo paragrafo 7 è stato leggermente corretto, ma non lo è stato affatto il “Novus Ordo” che ne è stato ispirato 2) “L'indispensabile richiamo di fede” del “Nuovo Messale delle domeniche”, pubblicato fin dal 1969 e raccomandato ai fedeli dall'episcopato francese, con l'imprimatur del vescovo di Mende, René Boudon, presidente della Commissione liturgica francese, tristemente celebre per tutte le falsificazioni della Sacra Scrittura alle quali egli ha dato la sua garanzia. Ed ecco questo “indispensabile richiamo di fede”: “Non si tratta di aggiungere l'una all'altra delle messe, esteriormente e interiormente così ben celebrate ch'esse ottengano da Dio la sua grazia. Si tratta semplicemente di fare memoria dell'unico sacrificio già compiuto, del sacrificio perfetto nel quale il Cristo ha offerto Se stesso, e di associarvisi, di comunicarvi insieme, facendo nostra l’oblazione che Egli ha fatto a Dio della propria persona per la nostra salvezza”. (pp. 382-83).

Eccoci dunque in piena eresia luterana, ufficialmente insegnata dall'episcopato francese. Jean Madiran può a buon diritto affermare ormai “l'invalidità” della messa alla francese, secondo la dottrina del “Nuovo Messale delle domeniche” (cfr. “Itinéraires”, n° 169 e seguenti). E un avviso anche per i nostri vescovi svizzeri di lingua francese! Attenzione all’anatema “ipso facto”!

Se qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è una “semplice commemorazione del sacrificio compiuto sulla Croce e non un sacrificio propiziatorio... sia anatema” (Concilio di Trento, terzo canone sul Santo Sacrificio della Messa).
I cardinali Ottaviani e Bacci avevano già detto nella loro lettera del 1969 a Paolo VI: “Come prova esaurientemente l'annesso esame critico... il Novus Ordo Missae, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XX del Concilio Tridentino”. Poi a chiusura del “Breve esame critico” che accompagna questa lettera: “L'abbandono di una tradizione liturgica che fu per quattro secoli segno e pegno di unità di culto (per sostituirla con un’altra, che non potrà non essere segno di divisione per le licenze innumerevoli che implicitamente autorizza, che pullula essa stessa di insinuazioni o di errori palesi contro la purezza della fede cattolica) appare, volendo definirlo nel modo più mite, un incalcolabile errore”.

Resta sempre la questione sollevata da Louis Salleron già da diversi anni e che nessuno, mai, ha nemmeno tentato di risolvere: “Se la messa di Paolo VI è essenzialmente identica alla Messa di S. Pio V, perché dei protestanti, quali i Frères di Taizé, il prof. Siegewalt di Strasburgo ed altri rifiutano ostinatamente questa mentre accettano l’altra?”.

La maggiore deviazione dello spirito — dice Bossuet — è di credere nelle cose perché si vuole che esse esistano”. In altre parole: voler prendere “lucciole per lanterne”.

I risultati pratici non si sono fatti attendere. Nata da uno sfrenato desiderio di “ecumenismo" — come stupidamente si dice — la “nuova messa” non è più il “culto di Dio, come stava a significare l’altare; essa è divenuta il “culto dell'uomo”, come sta a significare la “tavola” attuale, tavola da cucina o banco di caffè. "La Messa a rovescio” come diceva Claudel.

E, da tutto questo, confusione e divisione tra il clero e tra i fedeli. distruzione del sacerdozio cattolico; diserzione di migliaia di sacerdoti e di religiosi; svuotamento dei seminari e dei conventi o loro metamorfosi in abbazie di Thélème; abbandono accelerato, a velocità precipitosa, delle chiese e delle funzioni religiose; esaurimento delle conversioni prima fiorenti; l'eresia modernista installata nelle questioni di fede, nei catechismi, nei testi liturgici della Sacra Scrittura; perversione della morale, anche di quella naturale, nelle pubblicazioni cosiddette cattoliche e religiose, soprattutto quelle destinate alla gioventù, e nell'insegnamento ufficiale delle Facoltà di teologia, come quella di Friburgo per non andare più oltre...

Il fatto è che ogni cosa è legata all'altra, in realtà, e che, se si risale dagli effetti alla causa, non si può non vedere che tutto dipende dalla distruzione della Messa. Già quattro secoli e mezzo fa, Lutero l'aveva visto e detto, come tutti sanno. E Paolo VI in persona non parlava recentemente “di una certa fessura per la quale il fumo di Satana si era infiltrato nel tempio di Dio”? Ebbene, con tutta evidenza, questa fessura non è altro che la nuova messa! Quando si pensa che Giovanni XXIII confessò di aver esitato, meditato, pregato lungamente prima di osare aggiungere al testo del Canone semplicemente il nome di S. Giuseppe!

III - Pretendere di imporre questa nuova Messa come « obbligatoria » è un intollerabile « abuso di autorità ».

Un autentico Riformato — dall'intelligenza lucida e dallo spirito retto — l'avvocato Marcel Regamev di Losanna, ha scritto ne “La Nation” del 17-11-1973: “Piegare d'autorità (i cattolici) a forme nuove, dubbie ai loro occhi e soggette, per le loro finalità stesse, ai cambiamenti del mondo, costituirebbe il peggiore eccesso di autorità, l'incursione più dannosa nel foro interno delle anime. I cattolici fedeli alla tradizione sono anche i più fedeli all'autorità dei vescovi e del Papa. Ritorcere questa obbedienza contro la sua ragione stessa, la conservazione interna del deposito sacro, significherebbe allora esigere una obbedienza cieca agli uomini e non a Dio. Sarebbe una manifestazione di clericalismo che superebbe di gran lunga l’assolutismo attribuito alla Chiesa del Sillabo. Il Sillabo proibiva di aderire agli errori moderni. Non imponeva né teologia né messe nuove”.

Come protestante, come cristiano, provo una grande compassione per i fedeli cattolici che si trovano nella “tragica alternativa” di piegarsi ad una nuova messa nella quale non trovano più, “integra”, la verità cattolica, o di ribellarsi all'autorità senza la quale non possono concepire la Chiesa”.

E, ne “La Nation” del 31-11I-1973: “La Liturgia non è un semplice regolamento di polizia del culto. È molto di più, è il respiro dell'anima, è la via per avvicinarsi ai Misteri di Dio. I fedeli cattolici, costretti a barattare la liturgia latina tradizionale con la nuova liturgia in lingua volgare, subiscono un vero “trauma psicologico”... I Valdesi hanno subìto questo trauma nel XVI secolo, forse meno grave, perché i pastori francesi che i “signori” di Berna ci imposero, credevano a molte cose che i preti del nuovo corso hanno gettato alle ortiche insieme alla sottana e al colletto romano... L'appello dei sacerdoti e dei laici della diocesi di Sion (quali sacerdoti e quali laici?) ha rivelato la profonda contraddizione che consiste nel fare appello all'autorità disciplinare per imporre una rottura con la tradizione”.

Non si potrebbe dir meglio. Fervide grazie al Riformato comprensivo! Mentre i nostri vescovi e i nostri sacerdoti... Quale paradosso!

Insomma, nella Chiesa ufficiale di oggi è permesso pressoché “tutto” a chiunque, eccetto la Santa Messa cattolica. Questa è un abominio e bisogna assolutamente proibirla — illegittimamente — e giungere con tutti i mezzi, anche i più draconiani, ad estirparla ovunque e per sempre! E ci si viene a predicare, senza ridere, “la fiducia nella Chiesa”, “l'obbedienza, frutto dell'umiltà e sollecitudine dell’unità...”. Può darsi che î predicatori stessi ne ridano di nascosto!

Dom Guéranger, caro a S. Pio X, ci illumina a questo proposito: "Quando il pastore diventa lupo — ci dice — prima di tutto il gregge deve difendersi. Normalmente, la dottrina discende dai vescovi al popolo fedele ed i sudditi, nell'ordine della fede, non devono giudicare i loro capi. Ma ci sono nella Rivelazione dei punti capitali dei quali ogni cristiano, per il fatto di essere cristiano, ha la conoscenza necessaria e l'obbligo di custodirli”. Orbene, il punto capitale è evidentemente la Messa!

Il Cardinale San Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, scrive: “Se il Papa... reca danno alla Chiesa, è lecito resistergli, non facendo ciò che egli ordina e impedendo che la sua volontà trionfi”. Non è oggi il caso, oppure mai? A fortiori quando si tratta dei vescovi e dei sacerdoti...

Infine, Mons. De Castro Mayer, vescovo di Campos (Brasile), il 27-XI-1971, pronunciò, alla Radio cultura di Campos, una dichiarazione sulla Messa e concluse con queste parole: “Dunque, la celebrazione di questa Messa continua ad essere "lecita”. Nessuno potrà venire molestato per la sua fedeltà alla messa tradizionale”.

Un vescovo fedele alla tradizione, leale verso questa e verso i cattolici tradizionali: quale rarità, oggi! Ma la Chiesa, la vera, è presso dî luî che possiamo ancora trovarla.

La causa è dunque conclusa: “La Messa di S. Pio V non è né abrogata né interdetta". »

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Ci voleva questa lunga citazione: sono troppi coloro che in perfetta buona fede, per ignoranza dei documenti, oggi sostengono per vero quel che è falso. Ma affinché nessuno pensi che la polemica possa essere una ripicca personale dei soliti destroidi, ribelli, allergici alle novità e al progresso, ecco ancora alcuni «fatterelli» illuminanti.

Scrive il Vescovo di Campos, Mons. De Castro Mayer: «I documenti relativi alla nuova Messa non abrogano in alcun modo la Messa di S. Pio V».

La stessa tesi è sostenuta in un profondissimo esame storico-critico, liturgico-pastorale, giuridico-teologico da Don Clemente Bellucco che in «Taccuino di appunti» stampato a Padova, dedica al problema un centinaio di pagine. Sulle stesse posizioni sono i cattolici degli U.S.A. che si ritrovano nelle Associazioni «The latin Mass Society, Legionary Movement, UNA VOCE e Catholic Traditionalist Movement». Per questo i Cardinali Ottaviani e Bacci presentarono al Papa un pesante documento redatto da esperti e lo sintetizzarono con una frase significativa: «...La nuova Messa rappresenta un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Messa». Forse per questo Padre Pio rifiutò il « Novus Ordo »?... Non a caso, penso, Paolo VI disse al Card. Heenan di Londra che la vecchia Messa non era stata abolita. Ci sono precisi documenti «stampati» che attestano l'affermazione.

Al problema, la rivista «Itinéraires», oltre ai sistematici e numerosi articoli di specialisti che mensilmente fanno il punto della situazione, ha dedicato tutto il numero 146 del 1970. Sono 230 pagine fitte, ricche di documenti che chiunque può consultare e che portano le firme di alcuni fra i più brillanti scrittori, studiosi, filosofi e canonisti di Francia. Non mi è possibile citare nemmeno i punti più significativi; ci sono però cose che vanno conosciute a confutazione di certi atteggiamenti vaticani che lasciano perplessi.
Paolo VI col discorso del 26/11/1969 assicura che si può continuare a celebrare la Messa in latino (secondo il vecchio rito) con o senza popolo.

Padre Bugnini, subito dopo interpellato al riguardo da alcuni dubbiosi, risponde: «Si può, ma senza popolo». C'è ancora di peggio: si tratta di due discorsi di Paolo VI: uno del 19 novembre 1969, l’altro del 28 novembre 1969. Ad appena dieci giorni di distanza il Papa stesso si contraddice! Seguitemi.

Il 19 novembre 1969 il Papa dichiara: «Il cambiamento ha qualcosa di sorprendente, di straordinario, essendo la Messa considerata come l'espressione tradizionale intangibile della nostra cultura religiosa, dell'autenticità della nostra fede». È detto mirabilmente, ma poi il 28 novembre: «Questo cambiamento tocca il nostro patrimonio religioso ereditario che sembrava dover portare sulle nostre labbra la preghiera dei nostri antenati, dei nostri Santi; darci il sostegno di una fedeltà al nostro passato spirituale, che noi rendevamo attuale per trasmetterlo in seguito alle generazioni future».

Non ci è stato detto, ma pensiamo che Paolo VI doveva avere la voce singhiozzante mentre preannunciava questa improvvisa e spontanea rivoluzione di cui egli accettava le responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini.

Lo strano è che, mentre il Pontefice giustificava il brusco passaggio dal latino al volgare per ragioni di comprensibilità (il popolo deve capire!), nello stesso discorso affermava: «La religione rivelata non è traducibile nella sua conversazione profana».

Il teologo Abbé Raymond Dulac scrive su «Itinéraires»: «Il Novus Ordo non prevede nessun obbligo strettamente detto; manca la volontà “legale” di imporlo»(3). «Quando Pio V “impose” la sua Messa, usò undici termini precisi, perentori, assoluti, inequivoci e li sanzionò con minacce di scomunica. Paolo VI nell'atto della sua Costituzione non dichiara con precisione (come lo esige la prassi canonica) né ciò che comanda, né ciò che prosbisce, né ciò che concede».

Mons. Dino Romoli, Vescovo di Pescia, è della stessa opinione e sostiene che Bugnini e Lercaro mentono quando affermano che «tutto» il volgare è stato voluto dal Vaticano II.

Il Card. Ottaviani, intervistato da Jean Madiran confessa: «Che io sappia, la vecchia Messa non è mai stata abolita».

Potrei andare oltre «sine fine» nelle citazioni, ma «ad quid»? Gli artefici della sovversione sono i primi a riconoscere lo «svicolamento»: toccherebbe a loro precisare i termini della questione con un po’ di umiltà e di sincerità, del resto... non necessaria. Paolo VI con la Sua «Mysterium fidei» inquadra la dottrina eucaristica cattolica in una cornice di chiarezza estrema e col Suo «CREDO», mentre stupisce i fedeli emozionati, scatena l'ira di Dio nel progressismo devastatore. Peccato che il Papa, da ciò intimorito, si sia subito preoccupato di affermare che quel «CREDO» così lucido, cristallino, e coraggioso (coraggioso perché ripeteva il « giuramento antimodernistico » di S. Pio X) esprimeva le sue convinzioni personali... Perché queste ritirate così poco strategiche? L'ha spiegato il filosofo Marcel De Corte in un pesante articolo, sempre su «Itinéraires» (4), dal titolo significativo: «Eresia dell'azione». Il filosofo prende lo spunto da una frase audace di Paolo VI secondo cui «il Vaticano II ha più importanza del Concilio di Nicea» (5) e dimostra (ciò che del resto tutti sanno) che il Vaticano II non volle definire nulla, a detta dello stesso Pontefice. Stupefacente dichiarazione! «Vuol dire che la fede — scrive De Corte — non è più fattore di unità fra le Chiese? Le formule dei dogmi sono dunque secondarie: quel che conta è l'azione. Il Reno sî butta nel Tevere... (...) Dunque, continua il Nostro — «oggi si deve vivere la propria Fede non secondo i dati oggettivi della Fede» — «La rivoluzione rimpiazza ormai la Rivelazione». Tutto il Concilio è viziato ormai di pericoloso umanesimo; da qui quella democrazia «integrale» (nella stessa Chiesa) che ha sostituito l’Autorità che viene da Dio e non dal popolo.

Questa mancanza di «definizioni» nella chiarezza ha portato a sbandamenti paurosi e chi ne ha fatto le spese è proprio la Santa Messa. Come la Messa di S. Pio V del Concilio di Trento, rispecchia il catechismo di quel Concilio, così la messa di Paolo VI rispecchia quel catechismo olandese che Egli condannò, ma che oggi però circola indisturbato in tutte le Chiese, come le nuove tavole della legge.

Dalla mancanza di definizioni si scatena la lunga polemica sul famigerato Articolo 7 del «Novus Ordo» («la messa è una cena in comune!») poi ritirato per le violente proteste di Cardinali e Vescovi. Per lo stesso motivo, peraltro sostenuto a spada tratta da Mons. Bugnini, è stato possibile manipolare gli articoli 36, 54, 114, 116 della Costituzione liturgica «volutamente elastica». Per certe ambivalenze, silenzi, approssimazioni etc... la Chiesa di oggi brancola nel buio.

Mons. Annibale Bugnini, il 2 marzo 1968 dichiarava: «La Costituzione liturgica non è un testo dogmatico. È un documento operativo: la programmazione d'una Riforma... Chiunque può vedervi la struttura di una costruzione gigantesca che tuttavia rimette agli organismi post-conciliari di determinare i particolari e in qualche caso di interpretare autorevolmente, quello che in termini generici viene indicato, ma non detto espressamente».

«Lo stesso modo di esprimersi, cauto, talvolta fluido e quasi incerto, fu scelto volutamente dalla commissione conciliare che limò îl testo della Costituzione... per lasciare nella fase di applicazione le più ampie facoltà e non chiudere la porta all’azione vivificante dello Spirito Santo».

E proprio il caso di ripetere col Giusti: «“Tibi quoque, tibi quoque” E' concessa facoltà Di potere “in jure utroque” Gingillar l'umanità» (6).

Tutto ciò ha incoraggiato i novatori che spudoratamente han fatto man bassa di quanto gli è capitato fra i piedi, con in testa Vescovi e Cardinali. Affermare questo può apparire imprudente e irriguardoso, ma se diamo oggi uno sguardo al passato, non ci è difficile, rileggendo certe cronache, renderci conto dello scempio che si è operato intorno alla Messa e all’Eucaristia.

Fatti e notizie orripilanti che tutti conosciamo testimoniano di un sadismo distruttivo spericolato e feroce quale nemmeno Lutero poteva prevedere: «Quando avremo fatto crollare la Messa. penso che avremo fatto crollare tutto il papato». (Contra Henricum Regem Angliae — Werke T.X. sez. II). Ciò che faceva scrivere a un Pastore protestante (in una lettera a un sacerdote cattolico Kim Zimmermann - Diisseldorf) (7): «Una Chiesa che abbandona la sua lingua abbandona se stessa»; (Pastore luterano).

«Tengo a sottolinearlo: che il “popolo” comprenda la Messa non è questione di lingua, ma di insegnamento, di istruzione». (Idem).

«Il vostro “Novus Ordo” esisteva già nel secolo dei Lumi».

«I cattolici commettono esattamente gli stessi errori che noi abbiamo commesso in passato e che, del resto, commettiamo di nuovo».

Dopo la polemica con Lefebvre «La Croix» ha pubblicato un lungo articolo del teologo Ives Congar il quale sostiene che non è il caso di esagerare: le due Messe (quella di S. Pio V e quella di Paolo VI) si equivalgono. Le differenze sono solo dettagli insignificanti. Ma ad obiezioni così scopertamente superficiali aveva già risposto con sei anni di anticipo il Padre Calmel O.P. (3). (Cfr. « Itinéraires » n. 146 - pag. 113): «Credere nella Messa non significa credere che l'offertorio sia assolutamente indispensabile alla validità, che il canone romano sia assolutamente tl solo possibile, che l'uso della lingua volgare trasformi necessariamente la messa cattolica in cena protestante, infine che sia intrinsecamente sacrilego ricevere la comunione nella mano».

«Credere nella Messa vuol dire credere che, în virtà della doppia consacrazione del sacerdote, in un quadro rituale appropriato, fissato dalla Chiesa, il sacrificio della Croce è sacramentalmente rinnovato, il Cristo è reso realmente presente come ostia e come nutrimento spirituale. Soltanto che il santo Sacrificio, stabilito dal Cristo come immutabile, deve essere offerto conservando la sua invariabilità e posché nel nostro tempo, i riti sacramentali perdono la loro viva fermezza e tendono a divenire intercambiabili con i riti eretici, ebbene, sì, se nella santa Messa voi sopprimete l'offertorio, il canone romano latino, togliendo al prete il diritto di toccare l'ostia consacrata, se voi fate tutto questo, arrivate a svuotare del suo vero senso la doppia consacrazione e a trasformare in un memoriale vuoto un sacrificio reale il Sacrificio della croce —, ma offerto sotto le specie sacramentali».

Quanto detto fin qui dovrebbe essere più che sufficiente per chi vuol ragionare — per giudicare della bontà della causa degli «scatenati tradizionalisti». Molto, molto ci sarebbe comunque ancora da dire, ma è ormai risaputo che anche nelle polemiche non sono gli argomenti che contano, ma il numero di chi li sostiene. È chiaro che nella Chiesa democratica non valgono più le ragioni, ma le ire e i furori di chi vuole a tutti i costi marciare in barba alla legge. Perché tutto questo, e come è possibile?

Ascoltate ancora una volta la confessione del Cardinale Benno Gut, il successore di Lercaro nell’«officina competente», nell'intervista rilasciata a un giornalista austriaco e riprodotta nella « Documentation catholique » N. 1551 del 16 novembre 1969 - pag. 1048 - col. 2: «Speriamo che ormai, con le nuove disposizioni, contenute nei documenti, questa malattia degli esperimenti abbia fine. Fino ad ora era permesso ai vescovi di autorizzare degli esperimenti, ma spesso si sono passati i limiti di queste autorizzazioni, e molti preti hanno semplicemente fatto quel che a loro piaceva, a volte, essi si sono imposti. Queste iniziative prese, fatte senza permesso, spesso non si potevano pià arrestare, perché st erano diffuse troppo lontano».

Perché tutto questo? Da tempo me lo chiedo e mi fa piacere che il mio pensiero sia condiviso da altri. Il P. Dulac riferisce che un amico addentro alle segrete cose, gli ha confidato: «Paolo VI ha ceduto per evitare uno scisma» («Itinéraires» n. 146 - pag. 92).

Perfetto. Non c'è dubbio che se i novatori non avessero ottenuto quello che volevano, a quest'ora non sarebbero con Paolo VI, almeno a parole. Di fatto sono già su altre sponde. E questo è il vero scisma!

Le stesse cose scrive il P. Cornelio Fabro in «L'avventura della teologia progressista» (Rusconi - pag. 288): «Il procedimento è sempre il medesimo: un paio di teologi progressisti di cartello si trovano insieme, elaborano qualche manifesto o proclama, lo pubblicano, fanno rumore, un gregge di seguaci si unisce a loro e dà man forte al coro, i mass-media prendono la palla che è loro lanciata e attizzano l'agitazione: la maggioranza dei vescovi tace, si mostra impressionata, benché alcuni siano impressionati non tanto dagli argomenti quanto dal vortice scatenatosi, un gruppo si dichiara solidale con i manifestanti, altri Sanno dichiarazioni contrastanti che vengono subito diffuse dappertutto e impediscono ogni formazione di una opposizione, ambedue i gruppi cominciano a esercitare insieme una pressione sul Papa. Il Papa è spaventato, indugia, indietreggia, compromette quelli che erano pronti a introdurla, il progetto conteso è lasciato cadere oppure è modificato secondo il desiderio dei manifestanti. L'esempio migliore: la legge fondamentale della Chiesa. La Curia romana, da una parte intimidita dalla canea, dall'altra devota al suo signore, è come paralizzata per sentimento di lealtà verso il Papa o per paura det ribelli, senza volontà, incapace di condurre una efficace opposizione.

Così la Chiesa un po’ alla volta — e questo va tenuto bene in vista — per quel che riguarda la decisione dei pastori, è scivolata in una situazione di carenza di guida la quale, sia nel campo della dottrina sia in quello della disciplina, opera con crescente disintegrazione. Ogni positiva dichiarazione dei vescovi è contraddetta subito da quelle negative di molti teologi modernisti. Ultimo esempio: l'aborto. Sembra che non ci sia più una decisione sufficiente dei titolari del magistero che tagli corto al dibattito. La permanente insicurezza del clero e dei fedeli dilaga. Così non credo, cari confratelli, di essere troppo sottile se dico che le parole terribili del Vangelo: “Voi eravate come pecore senza pastore”, devono applicarsi su larga scala alla situazione della Chiesa presente
».

E non fa certo onore alla chiarezza e alla coerenza il discorso con cui Paolo VI aprì la seconda sessione del Vaticano II il 29 settembre 1963: «Sì, il Concilio tende al rinnovamento della Chiesa. Ma non si fraintendano i desideri da Noi espressi: questi non implicano la confessione del fatto che la Chiesa dei nostri tempi possa essere accusata di infedeltà sostanziale al pensiero del suo divino Fondatore. Al contrario, la più approfondita scoperta della sua sostanziale fedeltà al Cristo, la riempie di gratitudine e di umiltà».

Che strano modo di parlare! Ne sono quasi scandalizzato. Infedeltà sostanziale, fedeltà sostanziale? Non scherziamo: le corna lunghe o corte sono sempre corna. La fedeltà o è totale o non è fedeltà. Ma... se lo dice il Papa!...

Sulla falsariga di questa semi-fedeltà è naufragata la Messa: contro le precise disposizioni del Vaticano II che vuole la Messa in latino, oggi si fa esattamente il contrario. Che poi gli stessi Padri che in Concilio decisero, decretarono, disposero, e vollero la Messa latina, oggi esultino per la Messa in volgare, significa solo una cosa: o non capirono niente allora quando firmarono, o barano oggi quando esultano per la riforma «a rovescio». Non mi so adeguare a questi rimescolamenti di carte che, come minimo, denunciano mancanza di carattere, proprio in chi il carattere dovrebbe averlo impresso anche sacramentalmente.


Un'impressionante statistica pubblicata da «Introibo» del 16 luglio 1976 ci pone di fronte a dati agghiaccianti.

«Così i preti sono “credenti”, ammettono il matrimonio dei divorziati (43%), 0 l'aborto (8%), o l'ordinazione di donne (42%). Curiosa davvero la fede di questi preti: che non è più la fede cattolica! Aggiungiamo che il 17% non credono più nell'inferno; il 28% non credono più alla presenza reale (cioè, che le messe sono probabilmente invalide: più di un quarto delle messe!); il 26% non credono alla resurrezione corporale; il 39% non sono convinti che esistano prove ragionevoli dell'esistenza di Dio.

Infine notiamo che preti di meno di 50 anni pare non sappiano più che cosa sia la messa; poiché il 61% soltanto fra essi la celebrano ogni giorno. Per gli altri, questa cerimonia non ha importanza: quel che conta, non è Dio il grande Dimenticato della nuova religione, è l'assistenza. Niente assistenza, niente messa».

La stessa «Famiglia Cristiana» del 28 agosto 1976, in un servizio sul Santuario della Guardia a Marsiglia, riferisce le parole del giovane avvocato Daniel Tarasconi che dovrebbero far pensare: «Ci sono parrocchie, come quella di Sant'Andrea, in cui il celebrante non si lava mai le mani, né pronuncia la formula della consacrazione. Se si chiede di essere confessati domanda: “Ma lei ha ammazzato suo padre o sua madre? No? Allora che bisogno c’è di confessarsi?”. In certe parrocchie (Sant'Antonio) da tre anni non si fanno più cresime. Il 17 dicembre 1974, nel corso di un funerale religioso, l’officiante ha tenuto un discorso nel quale si sono rivelate perle di questo genere: “Maria, la donna che un tempo veniva detta Vergine”; il ‘“signor Gesù ecc.". Nel dicembre del ‘75, un uomo malato di cancro viene ricoverato nell'Ospedale della zona settentrionale. Su rivolge ad una conoscente perché avverta un prete. La giovane cerca un cappellano (nell'ospedale prestano servizio diversi cappellani, tutti stipendiati) e gli fa presente il desiderio del morente. Il prete prima le chiede se la richiesta dell'incontro religioso è spontanea, poi promette di recarsi dal malato L'uomo muore il 23 dicembre. Alla fine di gennaio la ragazza viene convocata da un cappellano che le domanda se era vero che c'era stata una richiesta di assistenza religiosa. “Sì — fa la giovane — ma siete in ritardo di quattro settimane". Sembra che il malato sia stato assistito da un prete ortodosso. Nel quartiere del Viste, nel 1975, 250 ragazzi seguivano il catechismo una volta la settimana. Quest'anno i ragazzi sono 30 e le lezioni sono bisettimanali»; ecc... ecc...

Ma gli sconcertanti fatti si susseguono con ostinazione «conciliare». Mentre sto scrivendo mi capita fra le mani una notizia fresca e ...proprio in tema. La riferisce «Il Giornale» del 3 settembre 1976 in «Contro corrente».

«Il padre gesuita americano John Mc Neill ha pubblicato un libro intitolato “La Chiesa e gli omosessuali” in cui — detto alla svelta — si chiede alla Gerarchia di revocare la condanna pronunciata contro quelli che una volta si chiamavano “invertiti”. Anche storicamente, egli dice, la cosa non regge non risultando «affatto, dallo studio dei testi biblici, che Sodoma e Gomorra furono distrutte dalle fiamme perché coltivavano questo genere di amori, moralmente ineccepibili e esteticamente “più belli”. Può darsi che padre McNeill abbia, sul piano della dottrina, ragione. Anzi, l'ha di certo, visto che sul suo libro ha avuto l'imprimatur dei suoi superiori, compreso il Generale dell'Ordine, padre Arrupe. E ci sembra che, come “apertura”, non si potrebbe praticarne una più larga. Gl'innovatori hanno di che fregarsi le mani. Ma anche il Vescovo Lefebvre».

Tutto questo è nato da una Messa. Sì: da una Messa. La contraddizione nacque infatti sul Calvario quando il supremo sacrificio stava per compiersi. Da allora i due simbolici ladroni si sono divisi il posto delle incoerenze.

Per fortuna una schiera di coraggiosi (la Madonna, le pie donne, S. Giovanni, il Centurione e pochi altri) salvarono l'onore.

Sono sempre i pochi che riscattano dalla viltà e dal conformismo.

Ha ragione S. Atanasio che ha osato scrivere: «I cattolici fedeli alla Tradizione, anche se sono ridotti a un pugno, questi sono la vera Chiesa di Gesù Cristo».

E che c'entrano tutte queste divagazioni con la Messa? Il discorso potrebbe essere lungo, ma la risposta è semplice: è solo questione di fedeltà o di semi-fedeltà. La logica ha le sue esigenze...

A commento di tutto questo lungo discorso liturgico offro alla considerazione dei lettori quanto già a suo tempo scrisse il famoso liturgista benedettino di Solesmes Dom Gueranger di cui proprio quest'anno (1976) ricorre il primo centenario della nascita.

«1) Il primo carattere dell'eresia antiliturgista è “l'odio alla Tradizione nelle formule del culto divino (...)”. Ogni settario, volendo introdurre una dottrina nuova, si trova immancabilmente in presenza della liturgia che è la tradizione al sommo della sua potenza, e non si darà pace finché non avrà fatto tacere questa voce, strappato queste pagine che contengono la fede dei secoli passati (...).

2) Il secondo principio della setta antiliturgista è (effettivamente) di "sostituire le formule di stile ecclesiastico con letture della Sacra Scrittura (...)”. In tutte le epoche, e sotto tutte le forme, sarà così; niente formule ecclesiastiche, solo la scrittura, ma interpretata, scelta, presentata da' colui o da coloro che ricavano un vantaggio da questa innovazione (...).

4) Non occorre meravigliarsi della contraddizione che l'eresia presenta nelle sue opere quando si saprà che îl quarto principio 0, se volete, la quarta necessità imposta as settari dalla natura stessa del loro stato di rivolta è una "contraddizione abituale con i loro stessi principi (...). In questo modo, tutti i settari, senza eccezione, cominciano con il rivendicare i diritti dell'antichità; vogliono liberare il cristianesimo di tutto quanto l'errore e le passioni degli uomini vi hanno frapposto di falso e indegno di Dio; non vogliono altro che ciò che è primitivo e pretendono riprendere nella culla l'istituzione cristiana. A questo fine sfrondano, cancellano, sopprimono; tutto cade sotto i loro colpi e mentre ci si aspetta di vedere il culto divino risorgere nella sua pristina purezza, ci si trova ingombrati di formule nuove, sorte il giorno prima ed incontestabilmente umane, essendo chi le ha redatte tuttora in vita (...). 
 
5) La riforma liturgica essendo intrapresa dai settari con il medesimo scopo della riforma del dogma di cui è conseguenza, ne segue che, come i protestanti si sono separati dall'unità per credere di meno, essi si sono trovati indotti a “sopprimere nel culto tutte le cerimonie, tutte le formule che esprimono misteri (...)”. Non c'è più altare, ma semplicemente una “mensa”; non c'è più « sacrificio », come in tutte le religioni, ma semplicemente una “cena”; niente chiesa, ma solo un “tempio”, come presso i Greci e presso i Romani; niente archi. tettura religiosa poiché non ci sono più misteri; niente più pittura e scultura cristiane poiché non c'è più religione sensibile; infine, niente più poesia in un culto che non è fecondato né dall'amore né dalla fede (...).

8) La riforma liturgica avendo tra i suoî fini principali l'aboli. zione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori devono “rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino”. É quindi uno dei punti più importanti per î settari. Il culto è cosa segreta, dicono; occorre che il popolo comprenda quello che canta. L'odio alla lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma; vedono in essa il legame tra i cattolici in tutto l'universo, l’arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito di setta, l'arma più potente del papato (...).

11) L’eresia antiliturgica, onde stabilire per sempre il suo regno, aveva bisogno di distruggere, in fatto e în principio, ogni sacerdozio nel cristianesimo (...). Quindi non esiste più il sacerdote propriamente detto (...). La riforma di Lutero e Calvino conoscerà soltanto “ministri di Dio”, o degli uomini, come vorrete (...) scelti, insediati, da laici; indossando nel tempio le vesti di una certa magistratura, bastarda, il ministro non è altro che un laico investito di funzioni accidentali (...) e così doveva essere, visto che non vi è più liturgia, ma vi sono soltanto dei laici (...) ».
 
NOTE
(1) « Ad un esame accurato il Canone appare da un capo all'altro sparso di arbitri e rivela un'inconcepibile ignoranza del latino liturgico, così come della portata teologica e del significato tecnico dei termini... In un testo di poco più di cento righe... si notano almeno più di cinquanta errori » (Gianfranceschi - « La religione comoda » - 1969 - pag. 94 - Volpe Ed.).

(2) « Due anglicani d'Inghilterra e d'America, una rappesentanza della Federazione mondiale luterana, un esponente del Consiglio mondiale delle Chiese e un fratello di Taizé ». (Dichiarazione di Mons. Bugnini).

(3) Per quanto poi riguarda la promulgazione dei decreti che riguardano la nuova Messa, il rigore e la precisione di una volta rendevano almeno sicuri i documenti della Chiesa; oggi... vanno a farsi benedire. Ha ragione Salleron quando scrive: « ...lo vedo invece un grande disordine, e una grande confusione, perché alla fine non si sa più chi promulga, chi è qualificato per promulgare è neanche quello che è promulgato, trattandosi di tesi che cambiano da una edizione all'altra dell’ “Ordo Missae", e per quanto riguarda i testi dell' “Ordo Missae", dall'ultima edizione di questo, all'edizione del Messale Romano dove sono incorporati. In fatto di promulgazione “regolare” andiamo bene! ».

(4) Per l'occasione, compiva i 60 anni, la rivista gli dedicò ben 16 pagine di bibliografia.

(5) Il Concilio di Nicea precisò il dogma cattolico nelle formule sublimi del « CREDO ».

(6) Mons. Bugnini è stato per un po' di tempo insegnante di Liturgia al Laterano: Papa Giovanni lo licenziò per incapacità...

(7) Da « Una Voce Korrespondenz »: 1, Jahrg. 3/4 - pp. 127.129.

(8) Pochi in Italia sanno chi era P. Calmel, morto nel 1975. Giurista, liturgista, teologo. « Itinéraires » del settembre-ottobre 1976 gli dedica ben 193 pagine con l'elenco di 142 articoli di carattere religioso-pastorale e 13 libri pubblicati dal Calmel.

(9) « È troppo tempo che si parla della Messa senza mettere in risalto che essa è, anzitutto, Sacrificio commemorativo e rinnovativo dello stesso Sacrificio della Croce, ed è da questo che nasce lo squallore miserabile (occorrerebbe una parola più forte) in materia di altari e di tenuta delle Chiese » (Card. Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova).