lunedì 14 ottobre 2024

I santi protestanti

Come introduzione alla lettura di questo studio, richiamiamo quanto scritto nella Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa "Lumen gentium", di Papa Paolo VI, al paragrafo 50:

"La Chiesa di coloro che camminano sulla terra, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e, «poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati», ha offerto per loro anche suffragi. 

Che gli apostoli e i martiri di Cristo, i quali con l'effusione del loro sangue diedero la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo, la Chiesa lo ha sempre creduto; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli e ha piamente implorato il soccorso della loro intercessione. 

A questi in breve se ne aggiunsero anche altri, che avevano più da vicino imitata la verginità e la povertà di Cristo e infine altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane e le grazie insigni di Dio raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli. Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr. Eb 13,14 e 11,10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. 

Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. 2 Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr. Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati. 

Non veneriamo però la memoria degli abitanti del cielo solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità (cfr. Ef 4,1-6). Poiché, come la cristiana comunione tra i cristiani della terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunità con i santi ci congiunge a lui, dal quale, come dalla loro fonte e dal loro capo, promana ogni grazia e la vita dello stesso popolo di Dio. 

È quindi sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che sono anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, «rivolgiamo loro supplici invocazioni e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore ». 

Infatti ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è « la corona di tutti i santi » e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato. La nostra unione poi con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, poiché specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in fraterna esultanza cantiamo le lodi della divina Maestà tutti, di ogni tribù e lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati col sangue di Cristo (cfr. Ap 5,9) e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno in tre Persone Perciò quando celebriamo il sacrificio eucaristico, ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste, comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, del beato Giuseppe, dei beati apostoli e martiri e di tutti i santi."

Ci  è caro inoltre richiamare quanto Papa Benedetto XVI scrisse nella sua enciclica Spe salvi: 

«Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro (…). Nessuno vive da solo. Così la mia intercessione per l’altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte. Nell’intreccio dell’essere, il mio ringraziamento a lui, la mia preghiera per lui può significare una piccola tappa della sua purificazione (…) nella comunione delle anime viene superato il semplice tempo terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell’altro né è mai inutile.»

Tratto da: Stefano Cavallotto - Santi nella Riforma

Lo studio analitico di un aspetto particolare, quale quello agiografico (culto dei santi e scrittura agiografica), del complesso mutamento epocale che si è avviato in modo sempre più consistente nella cristianità occidentale tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento e che già a partire dagli anni Venti del XVI secolo è confluito in concreto anche se non interamente nel pluriforme movimento evangelico ci permette di tracciare alcune osservazioni conclusive.

Certo si tratta di considerazioni parziali, non avendo esteso la nostra indagine ai martirologi e alla letteratura agiografica di vario tipo della seconda metà del Cinquecento, e tuttavia pensiamo sufficienti per capire il senso stesso di questa imponente produzione martiriale avendo studiato qui una fase che potremmo definire costitutiva della transizione protestante verso una diversa devozione ai santi.

Bisogna riconoscere anzitutto che le prospettive agiografiche che si sono precisate e realizzate all’interno della Riforma per certi versi sono già presenti nelle critiche e nelle proposte innovatrici elaborate dall’umanesimo cristiano e in particolare da Erasmo: in effetti entrambi i movimenti ancorché in modi diversi sul piano teologico, dottrinale e disciplinare contestano e propongono il superamento di quella concezione e prassi di devozione ai santi assieme alla letteratura agiografica ad essa funzionale che genericamente abbiamo chiamato medievali. 

Da tale devozione/tradizione prende nettamente le distanze l’umanista olandese, stigmatizzando come inutile, idolatrica e superstiziosa ogni sua realizzazione che non abbia Cristo quale fondamento e che non tenda al suo servizio e alla conversione interiore. Perciò ritiene urgente un cambiamento profondo nella devozione ai santi che, pur non eliminandola per principio, la riporti tra le «cose secondarie» della vita cristiana e soprattutto la purifichi da quegli elementi che l’hanno ridotta ad una richiesta di protezione e di benessere materiale, obliterando che essa si esplica invece nell’imitare le virtù dei santi, nel praticare i loro insegnamenti e in definitiva nel portare il cuore alla philosophia Christi.

In altri termini occorre recuperare quel legame strettissimo che la genuina tradizione della chiesa ha posto tra devozione-imitazione-vita autenticamente cristiana. In tal senso Erasmo giunge a sostenere che nel numero dei santi non si entra tanto per una dichiarazione ufficiale del papa, ma per la bontà di Dio che elargisce i suoi doni ai santi e per la vita da costoro spesa evangelicamente e ad indicare da buon umanista che le loro vere reliquie e i miracoli più prestigiosi sono gli scritti. 

Di qui la critica pungente ai leggendari tradizionali e ai modelli agiografici da essi veicolati; a suo giudizio infatti gran parte delle historiae sanctorum sono da eliminare in quanto intrise di falsità, miracolismo ed esagerazione, mentre l’immagine di santo spesso è irreale e appiattita su aspetti ascetico-taumaturgici spinti sino all’inverosimile. Critica, che diventa anche proposta precisa di principi metodologici atti a rendere più credibile la scrittura agiografica e più plausibili le figure di santi sotto il profilo del buon senso, della fede e dell’efficacia emulativa e tentativo altresì di applicazione concreta ancorché non sempre coerente di tali principi. 

Proprio in questi tentativi di scrittura agiografica – messi in atto da Erasmo non tanto per rafforzare un culto ma per rispondere al bisogno di rinnovamento della cristianità del suo tempo e dunque volti a presentare figure di Padri della Chiesa e persino di persone viventi riconducibili in ultima analisi al modello del santo umanista o del santo vescovo dotto e riformatore – si effettua chiaramente il superamento della versione medievale del culto dei santi bollata come incapace di fare i conti con l’imprescindibile esigenza della veritas historica e della veritas evangelica, entrambe ritrovate grazie al nuovo metodo filologico-teologico (ad fontes), e in ultima analisi l’intento di favorire la riforma della cristianità. 

Un tale superamento – confinato però ai soli scritti erasmiani senza alcuna tangibile ricaduta sull’effettivo rinnovamento della vita religiosa a causa dell’opposizione romana – giunge a compimento attraverso un processo di radicalizzazione anti-istituzionale nella riforma disciplinare e liturgica delle chiese protestanti e, ancor prima, trova una sistemazione concettuale nell’elaborazione teologica dei riformatori, negli articoli dei testi confessionali e negli ordinamenti ecclesiastici. 

Ora, in ambito evangelico il patrimonio agiografico tradizionale viene passato al vaglio non soltanto del criterio dell’attendibilità storica, ma soprattutto del principo dottrinale sostanzialmente riducibile all’assunto della giustificazione per fede.
In concreto la devozione protestante verso i santi perde ogni forma di invocatio per caratterizzarsi semplicemente come memoria sanctorum: la prima infatti è abolita perché ritenuta apertamente in contrasto con la verità evangelica e fonte di superstizione idolatrica, mentre la seconda, pur collocata tra gli adiaphora della vita cristiana, è incoraggiata potendo essere di grande utilità per la comunità.

Del resto, la purificazione del culto non intende portare i seguaci della Riforma ad un disprezzo né ad una scarsa considerazione dei santi, ma a venerarli nella maniera giusta. E ciò è vero per tutte le forme di protestantesimo nella pluralità dei calendari e dei sistemi ecclesiastico-cultuali.

Concretamente le chiese, in particolare quelle luterane, già nei primi anni Venti decidono in piena autonomia e fatta salva la centralità assoluta del culto domenicale di celebrare le feste dei santi più importanti, facendone memoria in un giorno semi-festivo o alla domenica con la lettura della historia. La convinzione infatti è che gli esempi rettamente proposti possano servire come utili insegnamenti per il rinvigorimento della fede nella misericordia divina e della pazienza di fronte alle sofferenze. Anzi si potrebbe dire che lo stesso mantenimento di una rinnovata venerazione dei santi sia ultimamente funzionale proprio alla valorizzazione dell’esemplarità della vita cristiana di queste figure attraverso racconti agiografici opportunamente appurati. 

Oltre a ciò, i protestanti sono consapevoli che le historiae sanctorum non solo aiutano ad istruire le menti sui punti fondamentali della dottrina, ma offrono anche un’attestazione preziosa dell’auto-rivelazione di Dio e della sua conduzione della storia proprio «attraverso i santi». 

Nel celebrare quindi la loro memoria, anche liturgica, viene proposto un esempio da emulare con libertà di spirito e rimanendo ciascuno nel proprio stato di vita, giacché in fondo ciò che va imitato è l’esperienza fondamentale che i santi hanno fatto, essere stati cioè giustificati/salvati/beatificati per grazia in Cristo, e che hanno tradotto per quanto possibile in una vita coerente. Di quest’unica esperienza sono in fondo declinazioni gli altri aspetti esemplari della loro personalità (fede, sopportazione delle tribolazioni e fedeltà ai doni di Dio ed alla dottrina celeste; saggezza, timore di Dio e pazienza nell’amministrazione della cosa pubblica; innocenza e pietà verso Dio; ecc.). 

Di fatto, quello che più conta nel ricordarli attraverso i testi agiografici e nella predicazione non è la loro superstiziosa preghiera o presuntuosa ascesi e neppure sono i loro fantasiosi e bizzarri prodigi, ma unicamente gli esempi di fede e di timor di Dio nella vita privata e pubblica, di come hanno annunciato il vangelo e lottato per la verità.

Sul piano della religiosità vissuta tale passaggio porta le comunità evangeliche ad una modifica radicale del calendario liturgico. 

A tale proposito si può dire in generale che le feste dei santi previste dal vecchio santorale subiscano in tutto il mondo protestante da Amburgo a Ginevra, a Londra una drastica riduzione. In moltissime chiese sono conservate soltanto le festività degli Angeli (Michele), degli Apostoli, della Conversione di Paolo, della Maddalena e di Giovanni Battista, o anche – ma solo in pochissime – un giorno
memoriale dei martiri (Gedächtnis der Martyrer) o del santo della città. 

Il criterio poi che ne legittima la celebrazione è il fatto che la Scrittura conserva di loro una testimonianza/racconto, per cui la commemorazione liturgia si riduce in ultima analisi alla lettura della storia biblica da farsi o al mattino del giorno della ricorrenza durante la predica oppure la domenica successiva dopo il vangelo. Criterio da cui scaturiscono anche i motivi e i principi per una verifica rigorosa dei tradizionali testi agiografici (Heiligentexte). 

Sui leggendari il giudizio dei riformatori e delle singole chiese è in generale estremamente negativo. Ma se la letteratura agiografica medievale va eliminata nella sua globalità, quantunque Lutero stesso riconosca che ne esiste qualche frammento accettabile e da raccogliere opportunamente «ut fragmenta Evangelicae mensae», perché fonte di un culto idolatrico, oltre che veicolo di errori dottrinali, di fantasticherie e di menzogne incredibili – e di fatto in una prima fase le leggende e gli altri testi agiografici scompaiono quasi del tutto sia dalla liturgia sia dalla predicazione –, ciò non significa misconoscerne l’utilità se viene adeguatamente purificata: da più parti ci si lamenta che le azioni insigni dei «frommen Christen» e le testimonianze della misericordia di Dio nei loro confronti non siano ancora state raccolte sulla base di racconti validi, storicamente plausibili ma soprattutto «der Schrift gemäß». 

Relativamente poi ai modelli e alle tipologie di santo, che il mondo protestante è andato via via delineando e proponendo in questi primi decenni, in primo luogo viene rigettata in modo radicale ogni figura di intercessore, asceta, taumaturgo, soccorritore («Nothelfer»), molto accentuata dai leggendari medievali, a favore di un prototipo che si precisa invece quale testimone dei Magnalia Dei e martire della verità/dottrina evangelica. Nel culto si celebrano alcuni santi non solo perché ne esiste una narrazione biblicamente attestata, ma anche perché le loro figure e loro storie sono funzionali all’annuncio dell’Evangelo: così gli Angeli e il Battista sono messaggeri e precursori del Verbo divino (testes veritatis) e gli Apostoli e la Maddalena a loro volta sono beneficiari e annunciatori della grazia misericordiosa di Dio (testes gratiae). 

Si può dire quindi che la nuova devozione tenda a proporre un modello di santo intimamente rapportato alla Scrittura, intesa come rivelazione efficace dell’agire salvifico di Dio. 

Un recupero interessante, seppure solo accennato, è quello del santo vivente: gli esempi della sua vita ammirevolmente spesa in obbedienza all’Evangelo nel governo della società e della chiesa non sono meno preziosi di quelli del santo del cielo. Proprio questa caratterizzazione del vir sanctus impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica, ma specialmente il costante invito ad emulare i santi «sed juxta propriam vocationem» ci sembra manifestino altre peculiarità del modello protestante di santità, vale a dire il suo essere da un lato per così dire pienamente secolare (inserito cioè nel mondo con funzioni e professioni secolari) e dall’altro per certi aspetti elitario (si tratta sempre di personalità eminenti). 

In concomitanza poi con le crescenti difficoltà interne ed esterne al protestantesimo viene a delinearsi anche una caratterizzazione di santo sempre più strettamente connessa con la testimonianza della verità e con la trasmissione della sana dottrina come quella di santo-strumento attraverso cui («durch») Dio si è rivelato e di santo-inviato (profeta e apostolo) e perciò di santo-Werkzeug per mezzo del quale la dottrina divina si è diffusa sulla terra (ed i cui insegnamenti ed esempi Dio esorta ad apprezzare), a cui bisogna aggiungere la rappresentazione del santo-figura esemplare di virtù capace di incoraggiare l’imitazione e del santo-esperimentatore dell’intervento salvifico e a volte miracoloso di Dio. 

A ben vedere però tutte queste varie tipologie confluiscono in un unico fondamentale prototipo che è il «frommer Mann», inteso semplicemente come l’uomo di fede (vivo o defunto che sia) e destinatario della giustificazione gratuita e della misericordia divina che quale testimone fedele della verità veicola lungo i secoli la dottrina rivelata e vive coerentemente ad edificazione della società e della chiesa. Di qui l’importanza straordinaria dei racconti agiografici rinnovati e purificati, che nel mondo evangelico (più marcatamente in ambito luterano) del XVI secolo acquistano di fatto un ruolo di primo piano accanto alla Scrittura per la formazione dei cristiani.

Nella nuova visione il modello di santo che finisce per prevalere, dando vita ad una copiosa e devota letteratura, è indubbiamente quello del martire, i cui lineamenti confermano gli approdi tipici dell’agiografia evangelica impegnata a presentare icone rigenerate di santità. Ci riferiamo in particolare alla connessione strettissima tra santità/Frömmigkeit e confessione della verità evangelica. 

In generale bisogna dire che la necessità di ricorrere ad una agiografia nuova si pone sia nel protestantesimo luterano che anabattista quasi subito, in concomitanza col martirio di alcuni seguaci di ambedue le confessioni. Ciò significa che le Flugschriften commemorative sono strettamente connesse per così dire all’attualità, celebrando i martiri protestanti uccisi in quegli anni, eccezion fatta ovviamente per Hus e Savonarola con i quali si apre un filone agiografico funzionale all’autolegittimazione storica della Riforma che si spingerà con le raccolte purificate di Bonnus, Major e Spalatino ai testimoni della fede della chiesa antica e troverà una sua sistemazione programmatica con i grandi martirologi di Rabus, Crespin, Foxe, Pantaleon e van Haemstede. 

Foxe: Book Of Martyrs. /Nadrian Chalinsky, A Protestant Clergyman, Burned To Death In Lithuania. Line Engraving, From A Late 18Th Century English Edition Of John Foxe'S 'The Book Of Martyrs,' First Published In 1563. Poster Print by Granger Collectio

 

E ancora, il legame all’attualità chiama in causa nel nostro caso un altro punto qualificante della rinnovata agiografia, la preoccupazione cioè di aderire ai fatti (veritas historica). In effetti, gran parte dei testi martiriali volanti (Märtyrerflugschriften) sono relazioni (Berichte) di testimoni oculari, in molti casi prive di intenzionalità edificante o agiografica, quando non sono addirittura verbali di processi. Né la stessa cornice teologico-agiografica in cui spesso tali resoconti sono inseriti modifica in modo rilevante la struttura originaria del testo, anche laddove l’intervento redazionale dell’agiografo si rivela più consistente. 

Per di più, qualora i racconti si presentino contraddittori o confusi o poco fedeli ai fatti, si interviene per verificare e discernere le varie fonti e presentare così alle chiese delle Geschichte storicamente più attendibili e documentate, capaci di fugare le accuse di falsità avanzate dagli avversari; un’operazione in realtà non sempre coerente e rigorosa, se si pensa agli errori di Lutero nella ricostruzione dei fatti intorno ai martiri di Bruxelles e all’assassinio di Winkler oppure alle forzature agiografiche e ideologiche di altri autori che proiettano il calco evangelico della Passio Christi sulla fine drammatica dei martiri protestanti o che “protestantizzano” Hus e Savonarola o ancora che si appropriano indebitamente di martiri non propri – com’è il caso degli anabattisti – per non parlare delle innumerevoli imprecisioni storiche riscontrabili persino nelle relazioni più accreditate. 

Ancora una considerazione riguarda la questione non marginale dell’uso effettivo di questi testi martiriali e con esso della loro natura e concreta finalità: non sappiamo esattamente se e in quale misura le historiae venissero utilizzate e lette non soltanto per l’edificazione personale e comunitaria – scopo per altro più volte espressamente dichiarato – ma anche per celebrare liturgicamente la memoria di tali eroi della fede, sebbene alcune attestazioni farebbero supporre un loro possibile uso comunitario nelle forme che abbiamo ipotizzato studiando la riforma del santorale e del calendario liturgico. 

Non c’è dubbio comunque che l’obiettivo ultimo dei racconti agiografici è per un verso mantenere vivo in mezzo alla comunità il ricordo del martire e del suo sacrificio estremo nel confessare la fede e per altro verso celebrare attraverso di esso i Magnalia Dei, lodare e ringraziare Dio e incoraggiare i cristiani a mantenere salda la fiducia nel beneficio divino della grazia giustificante nonostante le prove e le tribolazioni.

Certo i protagonisti di tale letteratura sono ovviamente i vari Vos, van Esschen, von Zütphen, Kaiser, Winkler, Barnes e il loro martirio, nella diversità delle vicende e dei tratti personali, ma ciò che canonizza sul piano agiografico l’esempio e la storia loro o di altri eroi evangelici e rende preziosa per le comunità la loro memoria è la confessio fidei proclamata coraggiosamente con l’effusione del sangue oppure vissuta coerentemente, come nel caso di Spengler, nella quotidianità dell’impegno familiare, politico ed ecclesiale sino al momento della morte. 

Si potrebbe dire anzi che proprio tale riferimento unifichi le molteplici figure in un solo modello che è quello del martyr-testis-confessor veritatis. Lo dimostrano in modo inquivocabile tutte le historiae analizzate, dove il resoconto del processo con la citazione scrupolosa degli articoli dottrinali contestati, difesi e condannati e la conseguente professione della verità da parte del martire costituiscono assieme al racconto sui patimenti e la morte il momento centrale di tutta la narrazione, per cui gli stessi aspetti biografici passano in secondo piano. In effetti, è simile strettissimo legame con la pura doctrina Christi che secondo Lutero e gli altri evangelici conferisce rilevanza agiografica alla historia del singolo «frommer Christ», e quindi la loro funzione è di perpetuare nel tempo a lode di Dio la memoria confessante. 

Lo stesso sfondo storico-teologico su cui i vari opuscoli collocano l’icona del martire o dell’uomo di Dio prende le mosse da tale concezione: a ben vedere si tratta della lotta senza quartiere da sempre in atto nella storia tra Parola di Dio e suoi nemici/Anticristo, giunta ormai al culmine col conflitto tra protestantesimo e papato, sicché nel «guter Märtyrer Christi» e nel suo martirio viene a realizzarsi, nonostante le apparenze contrarie
della sconfitta e della morte, la vittoria del puro vangelo e la prova concreta e certa che Dio guida la Riforma e continua ad operare in
essa i suoi prodigi. 

Il tipo di santo dunque veicolato da tale scrittura agiografica è sostanzialmente un eminente e perciò venerabile testis veritatis, non immune certo da difetti e manchevolezze ma fornito di virtù esemplari quali appunto la fedeltà tenace, l’accettazione serena delle tribolazioni e della morte e la fiducia assoluta nella grazia giustificante, e come tale molto diverso rispetto al modello elaborato e proposto dai leggendari medievali. 

Persino gli scritti che abbiamo definito di agiografia “rovesciata” e in particolare quelli relativi alla mitizzazione dell’Hercules Germanicus confermano in ultima analisi questa impostazione. La stessa “canonizzazione” della figura di Lutero, al di là delle esagerazioni dovute al pathos epico e all’enfasi retorica, non è basata su eventi miracolistici o sull’ascetismo o sul potere intercessorio del riformatore ma unicamente sulla sua conformazione a Cristo in quanto inviato da Dio col compito di rimettere in luce e tornare a predicare il puro Vangelo contro l’Anticristo (nemico della parola di Dio) e perciò profeta escatologico ed eroe nazionale. 

La santità e l’esemplarità della sua vita intessuta di lotte e di sofferenze, oltre che di manchevolezze personali, si misura dunque sulla base di tale altissima missione, bene espletata per altro come sta a dimostrare la pia morte. Insomma, Lutero incarna il prototipo del campione della verità, i cui lineamenti personali finiscono per identificarsi con i tratti propri del suo ministero e persino per sfumare nei contorni della causa Christi. Di qui la consapevolezza che celebrarlo significa nel concreto ringraziare Dio per i benefici elargiti alla chiesa attraverso la sua persona e la sua predicazione e nel contempo rinnovare l’annuncio fedele dell’Evangelo della grazia,
spingendo i cristiani di ogni tempo all’emulazione e all’edificazione reciproca. 

In quest’ottica la stessa ricostruzione ed esecrazione di modelli negativi quali Müntzer o Spiera si incentrano sostanzialmente sul loro tradimento della retta dottrina.

Accanto a questa produzione legata agli eroi-santi del protestantesimo delle origini, si sente anche il bisogno, in particolare da parte di Lutero e degli altri riformatori luterani, di rimettere in circolazione tra le chiese una serie di testi che ripropongano in forma purificata figure di santi appartenenti ai primi secoli della chiesa. 

A tale riguardo si può dire che l’operazione realizzata negli anni Trenta-Quaranta da Bonnus, Major e Spalatino (Melantone non rimanda in modo esplicito a specifici scritti o legendae della tradizione agiografica) si concretizzi nella redazione e nella pubblicazione di una serie di raccolte molto simili agli specula exemplorum, nelle quali per l’appunto vengono collezionati sia profili di santi Padri dei primi secoli sia esempi e insegnamenti relativi sempre a queste figure, in entrambi i casi però destinate a scopi pastorali o di edificazione personale. 

Ciò significa che l’intento agiografico non è prevalente, sebbene non possiamo escludere un uso persino liturgico di questi testi proprio in connessione con la predicazione e la catechesi. In altri termini, non servono per alimentare un culto ormai abolito, ma per mantenere viva in una rinnovata devozione la memoria di modelli eminenti della vita della chiesa antica a sostegno delle chiese evangeliche. 

Si aggancia qui l’altra finalità che ci sembra orientare queste raccolte, e cioè quella apologetica: proprio perché le varie historiae opportunamente ripulite vengono incentrate ultimamente sulla verità dell’Evangelo della grazia accolta, predicata, difesa e testimoniata quasi sempre sino all’effusione del sangue, legittimano di fatto – spesso con richiami espliciti – sul piano teologico e stori-
co il movimento protestante, che quella verità ha rimesso in auge.

L’obiettivo dell’auto-legittimazione storica appare evidente nelle digressioni di natura teologica, pastorale, morale e pedagogica e nei riferimenti all’attualità che i vari autori spesso introducono nel corpo della narrazione.
Ciò che ha messo in moto e incoraggiato l’impegno a recuperare attraverso un attento lavoro di bonifica tutto questo materiale agiografico e storiografico tradizionale è la convinzione che mostrare esempi positivi di fedeltà alla vera dottrina e di vita autenticamente cristiana serva a rendere più persuasivo lo stesso annuncio del vangelo. 

Si tratta in effetti di non lasciare perdere – dopo che Satana ha «insozzato» le Legendae sanctorum con falsità e bugie – un patrimonio preziosissimo di exempla e di dicta et facta; un’operazione questa portata avanti in concreto dai vari autori sulla base di criteri verificativi atti a guidare la prudente purificazione delle legendae da tutti gli elementi ritenuti inaccettabili sul piano della dottrina e della verità storica oltre che del buon senso e in coerenza con la nuova impostazione di scrittura agiografica ispirata ai principi della Riforma. 

E così l’interesse di Bonnus e degli altri si rivolge unicamente ai docentes verbum Dei o ai testes veritatis nell’esercizio concreto del loro ministero di annunciatori, confessori e testimoni, ritenendo del tutto secondario il racconto della loro vita e delle loro virtù private e persino della modalità della loro morte. 

Per i nostri autori ciò che conta è la celebrazione di quella dottrina e di quella fede che i santi hanno professato in vita e in morte e per il cui tramite sono stati salvati. E dunque, non sono per nulla l’ascetismo, la forza taumaturgica e il potere intercessorio gli aspetti esemplari da commemorare o celebrare, ma soltanto il loro costante e fedele riferirsi alla verità nell’esercizio concreto della fede, del ministero della Parola e della testimonianza. In quasi tutti i casi i racconti recuperati si concentrano sul momento confessante del personaggio il cui culmine è la testimonianza/confessione pubblica della verità di Cristo. Gli stessi elementi biografici più significativi sono selezionati proprio sulla base del loro rapporto con la parola di Dio. In un certo senso la verità dottrinale diventa il criterio per accertare la stessa attendibilità storica di una narrazione. 

Ciò spiega anche perché l’interesse agiografico si rivolga unicamente a quelle figure che appartengono alla chiesa dei primi secoli: tale periodo infatti costituisce il momento più alto del cristianesimo a cui occorre ritornare per ritrovare il vangelo autentico.
La necessità della ricerca del fondamento biblico condiziona a monte anche la scelta del materiale agiografico. Secondo i nostri autori la preferenza deve andare alle historiae tramandate dalle Sacre Scritture proprio perché più sicure riguardo alla dottrina e ai fatti. 

Ciò non significa però che non si possa attingere ad altre fonti, come quelle storiche della chiesa antica, ritenute per altro più attendibili rispetto ai leggendari tradizionali; in tal caso però occorre passarle al vaglio della «regula seu analogia fidei». Sempre a proposito dei lineamenti dei prototipi che le historiae si prefiggono di restituire ai loro tratti originari e autentici vale la pena rilevare come le raccolte da un lato non manchino di mostrare, in conformità per altro con un orientamento che abbiamo visto essere di tutta l’agiografia protestante, che i santi sono stati degli uomini e così sono rimasti sempre, soggetti quindi alla debolezza e al peccato, e che soltanto nella grazia di Dio essi hanno trovato la salvezza; dall’altro spingano ad un’imitazione che non deve essere la riproposizione pedissequa e goffa di un modello ma l’incarnazione e l’adattamento allo stato di vita proprio di ciascuno di un atteggiamento e di un’esperienza esemplari riconducibili in fondo all’accoglienza nella fede della grazia giustificante senza con ciò ignorare altri aspetti comunque edificanti e degni di essere emulati di quelle personalità come ad esempio la vocazione pubblica (ecclesiale e secolare), i carismi e altro ancora. 

Dei miracoli, infine, che qualora siano accaduti i nostri autori non disdegnano di raccontare (mai però quelli post-mortem) sebbene in maniera molto sobria e misurata, le raccolte offrono un’interpretazione in linea con i principi evangelici: essi non sono tanto la dimostrazione della forza taumaturgica dei santi, ma la testimonianza della loro appartenenza per dono divino alla chiesa di Cristo; appartenenza di fatto già confermata dalla confessione della retta dottrina. Del resto con la loro vita di giustificati per grazia e la morte confessante i santi sono la prova che Dio è presente in mezzo alla sua chiesa e ne dirige provvidenzialmente la storia nel solco della verità del vangelo. 

Quanto fin qui compendiato sta a dimostrare che in realtà la vicenda dell’agiografia nel periodo che abbiamo preso in considerazione con particolare riferimento al protestantesimo non registra affatto né a livello di prassi devozionale né di elaborazione di testi agiografici una sorta di vuoto quasi che dall’eliminazione del tradizionale culto dei santi nelle giovani comunità evangeliche negli anni Venti-Trenta si passi direttamente alla pubblicazione dei martirologi protestanti negli anni Cinquanta. 

Al contrario è possibile registrare – ed è il senso, la ragione e il proposito di questo nostro studio – tutto un intenso e complesso processo di transizione teologico-concettuale e liturgico-devozionale non solo nella venerazione dei santi ma anche nella letteratura agiografica; un processo, i cui approdi sul piano concreto della nuova devozione e altresì dei metodi, delle finalità e dei compiti della nuova scrittura agiografica ci sembrano imprescindibili per poter avviare un’analisi corretta e approfondita di quel fenomeno che si manifesterà a partire dagli anni Cinquanta in poi con la pubblicazione di tutta un serie di testi martiriali o anche genericamente agiografici.

 

Tratto da: Stefano Cavallotto - Santi nella Riforma