Ascendens Christus in altum, captivam duxit captivitatem, dona dedit hominibus etc. (PAULUS, EPHES., IV, 8).
Andrea Mantegna, Ascensione, pannello sinistro del Trittico degli Uffizi, 1463-64 |
Li curiosi scrutatori dello universo domandati filosofi, dilettissimi in Cristo Iesù, hanno distinte tutte le cose create in due parti: e l'una chiamano sustanzia, l’altra accidente. La sustanzia è quella cosa che per sé sta senza appoggiarsi ad altro, come è la terra, l'acqua, l’aria, el cielo, gli animali le pietre, le piante e simili. Li accidenti sono quelli che per sé non stanno senza appoggiarsi ad altra cosa, ma sono appoggiati ad altra cosa, non come parte di quella, ma come accidente; e questi sono come è bianchezza, nigrezza, odori, sapori e simili. E perché tutta la nostra cognizione viene da’ sensi, e li sensi non cognoscono se non li accidenti, ideo li accidenti sono quelli che vengano prima a’ sensi; però noi abbiamo prima cognizione delli accidenti che della sustanzia. Li occhi sono dati alli colori, le orecchie al suono, il naso alli odori, la lingua al sapore, il tatto al caldo, al freddo, al grave, al duro, al molle.
E dipoi che il senso ha avuta la sua tognizione, conduce queste cose alla fantasia, e lei le manda allo intelletto, il quale dicitur intus legens, perché illustra quelli fantasmi e giudica, e viene alla cognizione della sustanzia. Ma perché l'intelletto ha poca luce, se fussi scparato dal corpo perverria alla cognizione della sustanzia confusamente; e però è stato da Dio messa l’anima nel corpo, acciocché mediante e' sensi acquisti scienzia più determinata e perfetta. E se l’anima avessi più inteso fuori del corpo. indarno saria stata messa nel corpo; ma perché Deus el natura nihil agunt frustra, però diciamo che l'anima è stata messa nel corpo acciocché impari più perfettamente. Tamen, essendo ancora messa nel corpo, non ha però la sua cognizione perfettamente; donde confessono questi filosofi che l’intelletto dell'uomo non perviene alle ultime differenzie, e le proprietà intrinsece le cognosciamo per le estrinsice, e le cose materiale cognosciamo ancora imperfettamente.
Or pensa quanto più imperfettamente cognosce l’uomo le cose immateriali. Non cognosce l’uomo la sustanzia di uno angelo come sia fatta, benché sia creatura finita. Or quanto manco cognosce la sustanzia divina, che è increata e infinita. E se non cognosciamo la sustanzia di Dio, non cognosciamo ancora molte cose infinite che sono in Lui. Non è maraviglia adunque se molte cose sono in Dio, delle quale non è capace l’intelletto nostro, e se molte cose della fede noi non le intendiamo e non cognosciamo ogni cosa. E però il magno Dio, il quale è larghissimo nella sua misericordia, vedendo quanto avevamo poca cognizione di Lui,
si degnò venire in carne e farci partecipi della sua sustanzia e in qualche modo demonstrarcela; però venne al mondo e prese carne umana, e volse morire per noi, e poi resuscitò e fece molte cose, per le quale demonstrò apertamente la sua umanità e il corpo suo essere veramente resuscitato, È molte altre cose ancora fece, che demonstrorno la sua divinità, acciocché ci levassi su dal senso e tirassici in vita eterna, Ma perché conversando el Salvatore nostro con li suoi apostoli, troppo amavano la carne sua, e fermavansi nello amore sensuale e non andavano troppo allo spirituale, però fu necessario che quella carne andassi su in cielo, acciocché tirassi l'intelletto fuori de’ sensi lassù ad amarlo come Dio. E perché a questo non bastava el lume naturale, dette li doni del lume sopra 'l naturale alli suoi eletti; e però dice lo Apostolo: Ascendens Christus în altum, captivam duxit captivitatem, cioè “ salendo in alto al cielo, ne menò la captività ”, cioè la preda che aveva fatto el diavolo delle anime per il peccato del primo parente. Et dona dedit hominibus, cioè “ dette a gl’uomini e’ sette doni dello Spirito Santo ”, acciocché lasciassino le cose del mondo e andassino suso in alto, e seguitassino Cristo in cielo mediante el lume sopranaturale della fede che Lui ci ha dato.
Chi avesse adunque una ottima e viva fede, quale si richiede, senza dubbio seguiteria Cristo. Bisogna adunque fede, della quale vogliamo parlare questa mattina, acciocché seguitiamo el Salvatore nostro.
Surge qui dormis, et illuminabit te Christus. Lie vati su, tu che dormi, non stare più in questa carne; ella è quella e questi sensi che ti tengono a dormire;
lascia el senso e va’ su a Cristo, e Lui ti illuminerà. Vedi che questa carne di Cristo è andata in su: Ascendit Christus in altum.
Che dite voi, filosofi? Omne grave tendit deorsum; ecce quod caro ascendit. La carne e il corpo di Cristo è andato in su: la vostra regola, o filosofi, ha fallito a questa volta. Dicono ancora che uno corpo non passa un altro corpo. Ecco che Cristo ha passato el cielo. Non credere però che el cielo si aprissi, o che Lui lo stracciassi, ma passò el cielo senza muoverlo di niente. E però la tua regola, o filosofo, ha ancora fallito a questa volta, maxime tenendo quella opinione che li corpi celesti sieno solidi. Dice ancora el filosofo: Nihil est extra caelum, " e’ non è nulla sopra el cielo”. Questa regola oggi falla. Ecce Christus ascendit super omnes caelos “ Cristo è salito sopra tutti e’ cieli”, dove non è luogo; e non ha bisogno Cristo di luogo, né di continente che lo conservi in essere, perché si conserva per virtù della sua divinità, e sta sopra e’ cieli il corpo di Cristo.
Sicché vedi quanta speranza ci dà lo onnipotente Dio; perché s’ el v'è andato il nostro capo, speriamo che el vi andaranno ancora le membra. Noi espettiamo questo, e questo speriamo, e questo predichiamo, per questo facciamo ogni cosa.
Omo, sappi che tu hai "andare in Paradiso, se tu vorrai, perché el v'è ito el nostro Cristo; ma sappi che tu non vi hai ‘andare per natura, non per danari, non per tua virtù, ma, come dedit dona hominibus, tu vi hai ’andare, se tu vorrai, per doni che ti ha dati Cristo. Lui t'ha dati e' doni del Spirito Santo; e prima el
dono dello intelletto, per il quale Lui ti illumina e monstra chiaramente il tuo fine, e che Lui è andato in Paradiso, e che tu vi andrai ancora tu, se tu vorrai; e fermati l'intelletto in questo. Secundo, t'ha dato il dono della sapienzia, per el quale tu ami el fine e assapori, perché e' bisogna amore. Dice Cristo all'uomo: “ Innamorati di me e lascia le cose di questo mondo, vienne dietro a me in cielo”. E perché e’ bisogna che tu cognosca che questo mondo è nulla, t'ha dato el dono della scienzia, per il quale tu cognosci che di qua l'uo| mo manca presto, e che non c'è nulla stabile. E perché a questo l'uomo ha a passare per molte difficultà e dubbii, e ha a discorrere molte cose, perché sappia consigliarsi, t'ha dato el dono del consiglio. Appìccati adunque a questo consiglio, e séguita Cristo: questo, ti | dico, è buono consiglio. Lui non ti promette ricchezze di questo mondo, ma una gloria sempiterna e una beatitudine perpetua.
Che vuo’ tu fare adunque, omo? Lascia questo mondo, vieni a servire a Cristo; io t’invito, Lui t'aspet? ta e remunereratti del tuo servizio, perché è larghîssimo remuneratore. Ognuno si sforzi adunque di servire a Cristo. Ma perché ognuno è anche obligato alla salute del fratello e a tirarlo a Cristo, però Lui t'ha dato il dono della pietà, per il quale ti dice che tu esorti e inviti il tuo fratello, il tuo vicino, il tuo amico; tu, marito, la tua moglie, e ognuno esorti l'uno l’altro a servire a Cristo, non più tepidamente, ma ferventemente.
Ma perché l’omo ha a camminare in questo mondo fra le cose prospere e le avverse, t'ha dato el dono
del timore nelle cose prospere, ché tu tema sempre diì non cadere, e ché tu non ti lasci dalle cose prospere levare dalla grazia di Gristo; e contra le cose avverse t'ha dato el dono della fortezza, acciocché tu vi possa resistere. Che state voi adunque a fare, uomini? Ché non seguitate voi el nostro Cristo, il quale è asceso in alto e è andato a prepararvi el luogo e la gloria suaò Perché non vieni tu adunque, omo, al servizio di Cri. sto? Perché tu non credi queste cose; se tu le credessi, non staresti più così tepidamente. Tu se’ incredulo, tu se’ ingrato; e se’ da essere ripreso, come fa questa mattina el Salvatore nello Evangelio alli suoi discepoli, il quale exprobravit incredulitatem illorum “e’ gli riprese molto della loro incredulità”. E però, esponendoti stamane questo Evangelio, ti voglio demonstrare la durezza del tuo core e quanto tu se’ ingrato a non seguitare Cristo, el quale è andato a prepararti tanta gloria.
Io invito tutti, uomini e donne. Voi vi turbate; di che avete paura? Chi ha fede che Cristo sia lassù non ha paura di nulla. Venga dunque ognuno al servizio di Cristo. Ma acciocché tu sia più capace di quello che io ti dirò, io ti introdurrò una figuretta, la quale è scritta nel libro de' Numeri al xxii capitolo.
Quando Balach vidde passato el populo di Israel per il Mare Rosso, temendo di lui, mandò a dire a Balaam che venisse e maladicessi quel populo. L'angelo gli parlò, e dissegli che non andasse. Dipoi, un'altra volta, gli disse che egli andassi, ma non maladicessi il populo di Iacob, ma solo parlassi quello che Dio gli porrebbe in bocca. Preparossi, adunque, Balaam e acconciò l’asina per cavalcare e con lui menò due garzoni. ma andava per fare male, e con mala intenzione. Per la quale cosa l'angelo venne con la spada e posesi dinanzi alla asina, e non la lasciava passare. Balaam né lì suoi garzoni non vedevano l'angelo, ma l'asina sola lo vedeva, — e questo l'angelo lo può fare, che uno lo vegga e l'altro no —. Questa asina adunque, vedendo l'angelo che sé gli contraponeva, non voleva andare per la via, ma entrò nel campo, e Balaam, vedendo, comenza a bastonare, e dice: — Va' di qua, torna alla via — L'asina entrò tra due macerie, cioè tra due muri senza calcina; e l'angelo un’altra valta si fa incontro alla asina con la spada, e lei, non volendo andare, si accostò al muro e conterì el pede di Balaam; il quale, adirato, comenza dì nuovo a bastonare l'asina, e dice: — Va' di qua—; e pure voleva farla ritornare per la via, tanto che pervenne a una via stretta, che non si poteva declinare né dalla destra né dalla sinistra, E quivi l'angelo la terza volta si pose incontro alla asina, la quale, non potendo andare né in qua né in lì, si inginocchiò dinanzi allo angelo, e Balaam, quando l'asina si gittò in terra si percosse e' piedi Allora più fortemente adirato, cominciò di nuovo la terza volla a bastonare l'asina; e, in questo, el Signore fe' parlare alla asina, la quale disse: Quid feci tibi? quid me percutis ecce Ivan trio? " che t'ho io fatto, Balaam, che tu mi percuoti già la terza volta? " Rispose Balaam: Quia commeruisti " Perché tu I'hai meritato ”; tu m'hai ingannato, tu t'hai fatto beffe de’ fatti mia: Utinam haberem gladium, ut te percuterem: — Dio volesse (disse Balaam) che io avessi la spada, che io t'ammazzerei, e non mi faresti più di questi giuochi —. Al quale rispose l’asina: Nonne animal tuum sum, cui semper sedere consuevisti usque in presentem diem? Dic, quid simile unquam fecerim tibi. Cioè: — Non sono io il tuo animale, sopra el quale tu hai seduto sempre, e sono sempre camminata dove tu hai voluto? Hotti io mai fatti più di questi giuochi? Ho io fatto mai più cosa simile? — Quasi volendo dire questa asina: “e’ ci è qui qualche cosa più delle altre volte”. Rispose Balaam: Nunquam, “tu non m'hai più fatto a questo modo ”. E allora el Signore gli aprì gli occhi, e vide l’angelo con la spada evaginata, e subito si inginocchiò e adorollo; il quale gli disse: — Cur tertio verberas asinam tuam? “ Perché hai tu battuta l’asina già tre volte? ” Se non fussi stato che l’asina ha declinato dalla via che tu volevi che ella facessi, io ti dico che io arei ammazzato te, e lei saria viva —. Rispose Balaam: Peccavi nesciens quod tu stares contra me: — lo non sapevo che tu facessi resistenzia alla asina. Ma io tornerò indrieto, se tu non vuoi che io vada più innanzi —. Allora l'angelo gli disse: Va’, e non maladire il populo, ma solo dirai a Balach quello che io ti metterò in bocca.
Questa è la istoria, ora adattiamola allo Evangelio. Recumbentibus undecim discipulis apparuit Iesus, et exprobravit incredulitatem illorum et duritiem cordis, quia his, qui viderant eum resurrexisse, non crediderant. El Salvatore riprese questi discipuli, perché non avevano voluto credere a coloro che l'avevano visto resuscitato. Bisogna notare bene queste parole, perché il Signore vuole che si creda; bisogna, ti dico,
fede, altrimenti è impossibile a piacere a Dio. Oh! (potevono dire quelli discipuli), abbiamo noi a credere a donne? cioè a Maria Magdalena, che diceva averlo vi sto resuscitato, o a quelli due discipuli che l'avevano visto, andando in Emaus?
Dicono questi filosofi che non è cosa creata più ampla dello intelletto, quia quodam modo infinitus est, non quia infinita intelligat, ma perché quanto più cose gli metti dentro sempre diventa più capace di più cose, e non fa come il sacco, che, quando tu gli hai messe molte cose, non può più tenere. Ma l'intelletto del uomo è sempre più capace quanto più cose tu li metti, et ideo è capacissimo, non però infinito simpliciter, perché solo Dio è intelletto simpliciter infinito. L’intelletto del beato, benché possa cognoscere nella divina essenzia cose infinite, nientedimeno non sono simpliciter infinite. Ma solo Dio cognosce cose infinite simpliciter, perché comprende la sua essenzia: onde molte cose sono che non cognoscono li beati, come sono le cogitazioni de' cuori, quia solus Deus penetrat animam. Né li angeli ancora possano cognoscerle, se non per revelazione; perché l'intelletto e la volontà del uomo è libera, né può sapere l'angelo a quale parte determinatamente si declinerà. Non intendano ancora le cose contingente future, perché le cause che producono quelli effetti sono indifferenti.
E però quando Dio vuole fare una cosa nella Chiesa sua fuori del naturale, la rivela prima all'angelo superiore, e dipoi el superiore allo inferiore. E benché lo inferiore non vegga nella essenzia divina quella cosa, ma da l’angelo superiore, tamen ne è certo, e voltasi allo inferiore e illuminalo; e lui gli crede per quattro cose. Prima, perché ha il lume della gloria, per el quale gli si manifesta quella cosa essere certa, come per il lume naturale si manifesta a te che due e due fa quattro, e come ti sono manifesti e’ primi principi. La seconda è, perché l’angelo inferiore ha certezza che 'l superiore non può errare, perché è pervenuto alla sua perfetta virtù, e non può simulare né dire bugia. La terzia è, perché cognosce la bontà di Dio essere tanto grande verso di lui, essendo già beato, che sa che Lui non lo lascerebbe ingannare. La quarta cosa è, perché e’ sa che quella cosa, che l’angelo superiore gli monstra, è verisimile e non è impossibile, anzi è necessaria alla Chiesa di Dio. Così fa il profeta, il quale è illuminato da Dio per lume superiore. Prima, è certo di quello che li annunzia lo angelo, che lo illumina, per quello lume della profezia, come se’ certo tu, per il lume dello occhio tuo, che vedi se questo è bianco o nero. Secundo, perché il profeta sa che l’angelo non può errare e che gli è confirmato in grazia. Terzio, perché cognosce la bontà di Dio in lui, e sa che andando lui retto a Dio non lo lasceria errare, maxime nelle cose della salute, e praesertim quando da lui depende la salute d’uno populo, dicendo el nostro Salvatore: Qui quaerit gloriam Dei, hic verax est, et iniustitia non est in illo, cioè: “ Chi cerca la gloria di Dio e va retto a Lui è verace, e in lui non è iniustizia”, perché Dio lo dirizza in ogni cosa, e però sa che, dicendo lui cose buone, che non può errare, e non lasceria, per quello che e’ dice, venire cosa di errore.
Questo medesimo è ancora nelle cose naturali, perché nessuna causa non lascia mai errare cl suo effetto ben disposito, se non è impedita da qualche altra cosa. E però, quando Dio vede l'uomo ben disposito, e che ha retta intenzione, non lo lasceria mai errare in cose grande, maxime appartenente alla salute della sua Chiesa, Ultimo, el profeta vede quello che e’ dice essere verisimile e non impossibile, anzi utile alla Chiesa di Dio, e però crede e è certo di quello che e’ dice,
Illuminato che è a questo modo il profeta, vuole Dio che lì uomini li credino quello che egli annunzia da parte di Dio. Dimmi: — Perché credi tu a santo Giovanni e alla Scrittura Sacra? — Tu risponderai: — Perché l’ha detto Dio —. Dimmi: — Che ne sai tu? E' l'hanno scritto e’ nostri padri passati —. E' si potria rispondere, chi volessi protervire, che chi ha scritto può avere errato, E però bisogna dire che questa nostra cognizione viene dal lume della fede che ci ha donato Dio, el quale ci fa certi che sia così. Secundo, perché crediamo che tali uomini buoni non ariano detto o scritto quello che non fussi, e non ariano sparso il sangue per quello che non fussi stato vero. Terzio, per la bonità di Dio; perché, essendo stati buoni, come sono stati, Dio non li arebbe lasciati errare. Quarto, perché le sono cose buone, però le crediamo; e però sempre quelle cose che ti conducono al bene, credile quando etiam non fussino vere. Così, etiam se la fede di Cristo non fussi vera (il che è impossibile), la voglio credere, perché ella conduce al bene. E queste sono le cause per le quali dovevano e’ discepoli di Cristo credere perfettamente, e non vacillare, conoscendo che chi nunziava
loro la Resurrezione erano uomini buoni e donne buone, e retti di core, E però questa mattina el Salvatore gli ha esprobati della loro incredulità.
Certo certo, s'el venisse Cristo un'altra volta in terra, Lui esproberia più la vostra durezza, che non fece quella de’ discepoli, e' quali non credevono che fussi resuscitato come gli era stato detto. Voi meritate più reprensione, perché e’ discepoli lo avevono udito dire da donne e dalli due discepoli che andavano in Emaus.
Ma voi avete inteso tutto quello, e anche ciò che ha fatto Cristo, da poi, nello universo. Io vi ho testificato più volte, e così vi testifico: Quod vidimus et tractavimus manibus nostris. Io vi dico che abbiamo visto con gli occhi nostri e tocco con mano; e sì vi testifico: Che questo è vero, che Cristo è vero Dio e vero uomo, e che gli è in cielo; e non solo ve lo dico per el lume della fede, ma ne sono certo per altro lume.
Che facciamo noi adunque? Ché non andiamo a servire a Cristo? Sapete voi perché? Ecco che lo dice lo Evangelio: Recumbentibus undecim illis. Voi siate undici; el quale numero si piglia nella Scrittura, perché è sopra dieci, per la transgressione e inosservanzia de’ dieci comandamenti. Ecco adunque perché non credete perfettamente, perché voi siate pieni di peccati e non osservate e’ comandamenti di Dio, e però non meritate el dono della fede. Chi crede veramente la fede, la séguita con le opere.
Io vorrei vedere che le opere tue conseguitassino con la fede che tu di’ che hai; perché, dato che tu sappi la fede e che chi l’ha scritta non può errare, e che cognosca la bontà di Dio, e che la fede induce al bene, tamen tu non hai, per li tuoi peccati, quello vero lume che te la faria osservare,
Tu se’ immerso ne’ vizi, inebriato nella avarizia e nella lussuria, e in tutte le altre cose del mondo; tu vuoi pure Stato. Che ti bisogna tanto Stato? Se tu avessi fede, tu non lo cercheresti; perché tu sapresti che hai ’avere più bello Stato di questo. Da questi peccati viene la incredulità, e di qui nasce la durezza del cuore. E però, quando si parla della fede, queste parole non ti passano il core; perché, essendo tu in peccato, l'hai indurato. Tu hai uno cuore di sasso e uno cuore di ferro, e però tu non hai fede. Spogliati, dunque, di tutti e’ tuoi peccati e comincia a volere vivere bene, e passerà via la tua durezza e Dio ti darà il dono della fede. Li discepoli erravano semplicemente, tu hai più forti argumenti da farti credere la fede, che non avevono loro. Ora ritorniamo alla parabola di Balaam.
Balach è interpretato involvens. Questo significa il diavolo che involge e inviluppa li uomini nel peccato. Balaam vuol dire devorans gentes “ devoratore del popolo”. Questo mi significa a me tutti quelli membri grandi del diavolo, cioè: gran maestri contradittori della fede di Cristo, come furono Scribi, Farisei, prìncipi, tiranni, filosofi, dotti e indotti che hanno contradetto alla fede di Cristo. E' due garzoni di Balaam mi significano quelli cattivi del popolo ebreo per l'uno, e per l’altro quelli cattivi del popolo gentile, li quali seguitavano e servivano e’ gran maestri. L’asina significa la simplicità, e quelli del popolo ebraico e del popolo gentile che per ignoranzia peccavano, e che erano me