Ora,
mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò
e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il
mio corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.(Matteo 26,26-28)
Quanto letteralmente dovremmo prendere le parole di Gesù? Vuole davvero dire che il pane e il vino sono diventati il suo corpo e il suo sangue? Vuol dire effettivamente che la sua carne “è vero cibo”? Ci sono molte ragioni all’interno degli stessi testi biblici per concludere che la risposta a queste domande è Sì.
Ma per ora, voglio sottolineare un punto più semplice: che questa interpretazione letterale sia vera o falsa, è così che i primi cristiani interpretarono le parole di Gesù.
Lo studioso protestante di storia della Chiesa J.N.D. Kelly riassume quello che potremmo chiamare il “quadro generale” della prima fede cristiana: “l’insegnamento eucaristico, va capito fin dall’inizio, era in generale indiscutibilmente realista, vale a dire, il pane e il vino consacrati erano considerati, e venivano trattati e designati come corpo e sangue del Salvatore».
Troviamo questa visione letterale presente fin dall'inizio. Per avere un’idea di ciò di cui Kelly sta parlando, diamo un’occhiata ad alcuni esempi specifici. Mentre leggiamo questi primi testimoni (che siamo d'accordo o meno con loro), notiamo alcune cose: quanto è ben sviluppata la loro teologia eucaristica, quanto sembra essere accettata universalmente questa teologia e quanto è centrale questa teologia eucaristica per la loro fede e per la Chiesa del loro tempo.
Cominciamo intorno al 107 d.C.: sant’Ignazio di Antiochia è sulla via del martirio e scrive una serie di numerose lettere alle chiese dell’Asia Minore. In molte di queste mette in guardia contro alcuni eretici che negavano l'Incarnazione. In termini tecnici, erano docetisti, nel senso che insegnavano che Gesù era apparso solo in forma umana. Il docetismo è spesso legato all’eresia dello gnosticismo: poiché gli gnostici consideravano la carne un male, erano disgustati dall’idea che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni 1:14). Come si può immaginare, la negazione dell’Incarnazione implicava anche il rifiuto della Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia. L’Eucaristia non potrebbe essere il corpo e il sangue di Cristo se, in primo luogo, non avesse realmente corpo e sangue.
Allora cosa ha da dire Ignazio a riguardo? Secondo gli apologeti protestanti come Luke Wayne del Ministero dell’Apologetica e della Ricerca Cristiana (CARM), non molto.
Scrive infatti: "Il problema non è ciò che credono questi falsi maestri riguardo alla natura fisica del pane e del vino durante la Comunione. È ciò che credono riguardo alla natura di Gesù stesso e alla sua passione e risurrezione.(...) Non dovete evitare questi insegnanti perché potrebbero fuorviarvi riguardo alla natura del pane e del calice. Dovete evitarli perché negano ciò che insegnano le Scritture sulla sofferenza, morte e risurrezione di Cristo".
A prima vista, l’obiezione di Wayne è perfettamente sensata (in particolare per i protestanti che non hanno mai letto Ignazio).
Se Ignazio fosse stato un protestante, la sua risposta al docetismo si sarebbe certamente concentrata solo sulle implicazioni sulla “sofferenza, morte e risurrezione di Cristo”, poiché non sarebbe particolarmente importante ciò che i docetisti credevano sulla natura del “pane e vino durante la Comunione”.
In effetti, secondo Wayne, Ignazio avrebbe potuto anche essere d’accordo con i docetisti su questo punto: mentre l’Incarnazione non era simbolica, l’Eucaristia lo è.
Ma c’è un problema con questa visione. Ignazio dice il contrario di quasi tutto ciò che dice Wayne.
Wayne sta esaminando i capitoli sei e sette della lettera di Ignazio ai fedeli di Smirne. Nel capitolo sei, Ignazio sostiene che i docetisti non possono essere salvati dal sangue di Cristo mentre rifiutano la carne e il sangue dell'Incarnazione. Ma poi, nel capitolo sette, si dedica all'Eucaristia.
E cosa ha da dire qui Ignazio riguardo al docetismo? Ecco il capitolo sette nella sua forma completa e genuina:
"(Gli eretici docetisti) si astengono dall'Eucaristia e dalla preghiera, perché non confessano che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha sofferto per i nostri peccati e che il Padre, per la sua bontà, ha risuscitato.
Coloro dunque che parlano contro questo dono di Dio, incorrono nella morte nel mezzo alle loro dispute. E invece sarebbe stato meglio per loro trattarlo con rispetto, affinché anche loro potessero risorgere.
È opportuno dunque che vi teniate lontano da tali persone e non ne parliate né in privato né in pubblico, ma prestiate attenzione ai profeti e soprattutto al Vangelo, nel quale è stata raccontata e rivelata a noi la Passione e la Risurrezione è stata pienamente provata. Ma evitate ogni divisione, quale inizio di ogni male".
La questione per Ignazio (o meglio, una delle questioni) è proprio «ciò che credono questi falsi insegnanti sulla natura fisica del pane e del vino durante la Comunione».
La sua argomentazione funziona così:
- Poiché i docetisti negano l'Incarnazione, negano la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia (“non confessano che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo”).
- Poiché “parlano contro questo dono di Dio, che è l'Eucaristia, “incorrono nella morte”, cioè nella dannazione.
- Sarebbe meglio, spiritualmente, per loro riconoscere la verità sull'Eucaristia, così da poter “risorgere” nella risurrezione corporea.
- Dal momento che i docetisti negano la Comunione, non possiamo essere affatto in comunione con loro, quindi evitateli sia pubblicamente che privatamente.
- Infine, dobbiamo crescere nella nostra fedeltà alla verità del Vangelo e all'unità dei cristiani (le due cose che i docetisti minano).
Le argomentazioni di Ignazio hanno senso solo se sia lui che i suoi lettori comprendono letteralmente l'insegnamento di Gesù sull'Eucaristia, compreso il suo avvertimento e la sua promessa in Giovanni 6:53–54, che collega l'Eucaristia alla risurrezione corporea:
“In verità, in verità vi dico , se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi; chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’Ultimo Giorno”.
Suggerire che Ignazio o non sia concentrato sull’Eucaristia (quando le ha dedicato un capitolo specifico) o non creda che sia davvero la carne di Gesù, non è credibile.
Questo non è l'unico punto in cui Ignazio esprime la sua fede nella presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, ma è particolarmente rivelatore.
Ignazio ha ben chiaro che la comunione della Chiesa scaturisce dalla comunione sacramentale.
Nelle parole di Paolo, “poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo, poiché tutti partecipiamo dell'unico pane” (1 Corinzi 10:17).
Al contrario, la persona che rifiuta la Presenza Reale rifiuta il fondamento della Chiesa. Ecco perché Ignazio dice che è “opportuno” interrompere i contatti personali con loro: rompono la comunione negando la Comunione.
Ignazio e i cristiani dell’Asia Minore erano gli unici ad avere questa visione dell’Eucaristia? Non lo erano.
San Giustino Martire, scrivendo a Roma intorno all'anno 160, include una descrizione della liturgia del II secolo. Egli spiega che «
nel giorno detto domenica tutti gli abitanti delle città o della campagna si riuniscono nello stesso luogo e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo permette». Dopo le letture segue l'omelia, nella quale chi presiede «
istruisce verbalmente ed esorta all'imitazione di questi beni».
Poi vengono le preghiere dei fedeli («
tutti insieme ci alziamo e preghiamo»), seguite da quelle che oggi chiamiamo la Liturgia eucaristica, compreso il segno della pace, presentazione dei doni, preghiere eucaristiche e distribuzione della Comunione:
«Terminate le preghiere, ci salutiamo con un bacio.
Poi viene portato al presidente dei fratelli del pane e una coppa di vino mescolato con acqua; ed egli, prendendole, rende lode e gloria al Padre dell'universo, nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e ringrazia molto a lungo per essere stati ritenuti degni di ricevere queste cose dalle sue mani.
E quando ha concluso le preghiere e i ringraziamenti, tutti i presenti esprimono il loro assenso dicendo Amen. Questa parola Amen risponde nella lingua ebraica a genoito [così sia].
E dopo che il presidente ha reso grazie, e tutto il popolo ha espresso il suo assenso, coloro che sono chiamati da noi diaconi danno a ciascuno dei presenti il pane e il vino mescolato con acqua su cui è stato pronunciato il ringraziamento, e a chi è assente ne viene portata una porzione».
I riferimenti ai “ringraziamenti” (eucaristia), al “ringraziamento” di chi presiede (eucharistēsantos), e simili, sono più ovviamente eucaristici nell’originale greco di Giustino. Ad esempio, la frase tradotta come “il pane e il vino mescolati con acqua su cui è stato pronunciato il ringraziamento” può anche essere resa “il pane e il vino e l’acqua eucaristici”.
Tutto questo è spiegato chiaramente (anche in italiano) nel capitolo successivo, in cui Giustino dice che «questo cibo è chiamato tra noi “Eucaristia” [Eucaristia]” e spiega:
«Infatti non li riceviamo come pane comune e bevanda comune; ma come Gesù Cristo, nostro Salvatore, essendosi fatto carne mediante la Parola di Dio, ebbe carne e sangue per la nostra salvezza, così ci è stato insegnato che il cibo che è benedetto dalla preghiera della sua parola di cui si nutrono il nostro sangue e la nostra carne per trasmutazione, è la carne e il sangue di quel Gesù che si fece carne.
Gli Apostoli, infatti, nelle memorie da loro composte, chiamate Vangeli, ci hanno così trasmesso ciò che fu loro comandato; che Gesù prese il pane e, dopo aver reso grazie, disse: "Fate questo in memoria di me: questo è il mio corpo"; e che allo stesso modo, preso il calice e reso grazie, disse: "Questo è il mio sangue"; e lo diede a loro soli».
Giustino poi menziona, quasi per inciso, che “i diavoli malvagi” hanno imitato questo rito “nei misteri di Mitra, comandando che la stessa cosa fosse fatta”.
La liturgia che Giustino descrive è immediatamente riconoscibile come Messa. Non solo le singole parti sono le stesse, ma con piccole eccezioni (come la collocazione del segno della pace), anche l'ordine è lo stesso.
Il centro di questa Messa non è un predicatore che pronuncia un sermone, ma chi presiede offre l'Eucaristia.
E come intende l'Eucaristia?
Che quello che era stato «pane comune e bevanda comune» (cioè pane e vino comuni) cessa di essere attraverso la formula di benedizione donata da Cristo, ed è invece «carne e sangue di quel Gesù che si è fatto carne».
Persino Wayne ammette che "questo è forse il miglior argomento che i cattolici romani hanno a sostegno della loro posizione", anche se insiste comunque sul fatto che Giustino non può assolutamente credere nella Presenza Reale poiché è contrario al cannibalismo (come se i cattolici oggi pensassero che il cannibalismo sia ok!).
Scrive: «Giustino è fermamente convinto che i cristiani non mangino carne umana. Non era il solo a fare tali commenti. Anche i suoi coetanei cristiani del II secolo notarono quanto considerassero particolarmente vile il concetto di mangiare carne umana. Nell'elencare le accuse che aveva sentito muovere contro i cristiani, Teofilo di Antiochia definisce l'accusa di mangiare carne umana "la più empia e barbara di tutte"».
In nessun punto Wayne sembra considerare il fatto ovvio che se gli oppositori del secondo secolo accusano i cristiani di cannibalismo, ciò ci dice molto sulla teologia eucaristica di questi cristiani.
I cattolici di oggi, infatti, devono regolarmente difendersi dall’accusa di cannibalismo, mentre sarebbe difficile confondere la maggior parte delle Cene del Signore protestanti come qualcosa di più che simbolico.
Quindi, anche nel negare l’accusa di cannibalismo, Giustino e la Chiesa del secondo secolo appaiono cattolici, non protestanti.
Giustino usa perfino il termine trasmutazione per descrivere la trasformazione in atto, anche se non dove ci si potrebbe aspettare. Cioè, ci descrive come trasmutati dall'Eucaristia, che la nostra carne e il nostro sangue sono spiritualmente uniti a Cristo attraverso la Comunione.
Non è solo che il pane e il vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo, ma anche che il corpo e il sangue di Cristo trasformano i nostri stessi corpi.
Cosa sta succedendo qui?
Come spiegherà più tardi san Gregorio di Nissa (c. 335–395), i cristiani credevano che, poiché
«non era possibile che il nostro corpo diventasse immortale se non partecipando all’incorruzione attraverso la sua comunione con quel corpo immortale», Gesù «si diffonde in ogni credente per mezzo di quella carne, la cui sostanza viene dal pane e dal vino, fondendosi con i corpi dei credenti, affinché, mediante questa unione con l'immortale, anche l'uomo possa essere partecipe dell'incorruzione».
Ciò che Cristo inizia nell'Incarnazione (unendo divinità e umanità) si realizza nel singolo credente mediante l'Eucaristia, ed è così che possiamo essere elevati corporalmente per diventare «
partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4).
È per questa ragione che sia Gesù (cfr Gv 6,55-58) sia tanti primi cristiani passano
dal parlare dell'Eucaristia alla risurrezione corporea e viceversa.Ignazio e Giustino considerano questa connessione quasi troppo ovvia per essere menzionata, lasciando i lettori moderni (che non hanno mai sentito parlare di questa connessione) a inciampare nei loro scritti.
Questo ci porta al terzo grande testimone della teologia eucaristica nella Chiesa prima del 200: sant'Ireneo.
Lo storico patristico (e protestante riformato) James R. Payton, Jr. lo definisce giustamente “il più grande teologo sorto nella Chiesa dai tempi degli apostoli”.
Ireneo scrisse contro l'eresia gnostica, visione che rifiuta l'Incarnazione e tratta il corpo come male.
Come spiega Ireneo:
«Ma vani sotto ogni aspetto sono coloro che disprezzano l'intera dispensazione di Dio, e negano la salvezza della carne, e trattano con disprezzo la sua rigenerazione, sostenendo che non è capace di incorruzione.
Se però questo non giunge alla salvezza, allora neppure il Signore ci ha redenti con il suo sangue, né il calice dell'Eucaristia è la comunione del suo sangue, né il pane che noi spezziamo la comunione del suo corpo.
Perché il sangue può provenire solo dalle vene e dalla carne, e da tutto ciò che costituisce la sostanza dell'uomo, come è stato effettivamente fatto il Verbo di Dio».
In altre parole, se neghi la bontà del corpo, allora sei costretto a negare sia la realtà della morte di Cristo sulla croce sia la Presenza Reale.
È importante riconoscere l’argomentazione sostenuta qui da Ireneo (e da Ignazio prima di lui).
In termini tecnici, è ciò che chiamiamo reductio ad assurdo, o ciò che Aristotele chiamava una deduzione all’impossibile. L’argomentazione funziona dimostrando che un’idea, se portata alla sua conclusione logica, produrrebbe risultati assurdi.
Ad esempio, se qualcuno dicesse: “Dovremmo sempre fidarci dei bambini perché non sono corrotti dal peccato”, potresti rispondere: “Dovremmo fidarci di loro quando affermano che i mostri vivono sotto i loro letti?” Questa è una riduzione ad assurdo.
Ma si noti che funziona solo se entrambe le parti concordano sul fatto che una cosa particolare è assurda o impossibile. Se la persona con cui stai parlando crede nei mostri, la tua argomentazione è logicamente valida ma retoricamente poco convincente.
Sia Ignazio che Ireneo vivevano in un mondo in cui mostrare “l’idea X è logicamente contraria al credere nella Presenza Reale” è sufficiente per sfatare l'idea X (in questo caso, il docetismo).
I protestanti che negano la Presenza Reale si trovano in una situazione strana, incapaci di concordare sia con gli gnostici sia con i loro oppositori cristiani.
Ireneo prosegue sostenendo che Cristo
«ha riconosciuto il calice (che è parte della creazione) come il proprio sangue, dal quale irrora il nostro sangue; e il pane (anch'esso parte della creazione) lo ha costituito come suo proprio corpo, dal quale fa crescere i nostri corpi».
Questo è lo stesso ragionamento ma inverso:
«poiché sappiamo che Cristo trasforma la materia creata (pane e vino) nel suo corpo e nel suo sangue, dobbiamo quindi concludere che la creazione non è malvagia».
Poi dice:
«Quando dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la Parola di Dio, e viene fatta l'Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, dalle quali cose viene accresciuta e sostenuta la sostanza della nostra carne, come possono affermare che la carne è incapace di ricevere il dono di Dio, che è la vita eterna, visto che [la carne] si nutre del corpo e del sangue del Signore ed è membro di Lui? — come dichiara anche il beato Paolo nella sua lettera agli Efesini: “noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa”. Non dice queste parole di qualche uomo spirituale e invisibile, perché lo spirito non ha ossa né carne; ma [si riferisce a] quella dispensazione [mediante la quale il Signore divenne] un vero uomo, costituito di carne, di nervi e di ossa, quella [carne] che è nutrita dal calice che è il suo sangue, e riceve incremento dal pane che è il suo corpo».
Ireneo è qui esplicito: il pane e il “
calice mescolato” (vino versato dentro acqua) ricevono la Parola di Dio, e l’Eucaristia “
si fa”.
La formulazione è significativa: sta suggerendo che
si sta verificando un cambiamento effettivo. Non cominciamo a chiamare la Comunione del pane solo per un po’ durante la liturgia. Dio trasforma il vino e il pane in qualcosa che prima non erano: “
il sangue e il corpo di Cristo”.
Come Ignazio prima di lui, Ireneo si riferisce a questo come al “dono di Dio” e sottolinea che tutto questo si riferisce a un vero corpo (con carne, nervi e ossa!), non a “qualche uomo spirituale e invisibile”. Dopo aver sottolineato il letteralismo della sua teologia eucaristica, si riferisce all’Eucaristia come al “pane che è il suo corpo”.
Questo è un punto importante per certe obiezioni protestanti, di cui parleremo alla fine del capitolo: non c’è nulla di incoerente nel chiamare Gesù il pane della vita e nel credere che il pane diventi letteralmente il suo corpo.
La spiegazione di Ireneo si conclude con un argomento simile a quello che abbiamo sentito sia da Giustino Martire che da Ignazio, su come ricevere l'Eucaristia sia la chiave per l'incorruzione e la resurrezione ultima del corpo:
«E proprio come un ramoscello della vite piantata nel terreno fruttifica nella sua stagione, o come il chicco di grano caduto in terra e decomposto, risorge con moltiplicazione per opera dello Spirito di Dio, che contiene tutte le cose, e poi, mediante la sapienza di Dio, serve all'uso degli uomini, e dopo aver ricevuto la Parola di Dio, diventa l'Eucaristia, che è il corpo e il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, nutriti da esso e depositati nella terra, dove subiranno la decomposizione, risorgeranno al tempo stabilito, poiché la Parola di Dio concede loro la risurrezione alla gloria di Dio Padre, che gratuitamente dona a questo immortalità mortale, e a questa incorruttibilità corruttibile».
Altrove, egli sottolinea lo stesso punto nel contesto di ciò che significa offrire il proprio sacrificio a Dio:
«Poiché noi gli offriamo ciò che è suo, annunciando coerentemente la comunione e l'unione della carne e della carne allo Spirito. Come infatti il pane, che è prodotto dalla terra, quando riceve l'invocazione di Dio, non è più pane comune, ma Eucaristia, costituita da due realtà, terrena e celeste; così anche i nostri corpi, quando ricevono l'Eucaristia, non sono più corruttibili, avendo la speranza della risurrezione all'eternità».
Con ciascuno di questi tre cristiani - Ignazio, Giustino e Ireneo - abbiamo una teologia eucaristica piuttosto sofisticata fin dai primi tempi. nella vita della Chiesa. L'ultimo di questi tre, Ireneo, scrive intorno all'anno 180. A titolo di riferimento, la prima volta che vediamo la parola Trinità usata è nel 181, quindi questa teologia eucaristica è ben consolidata anche mentre questi stessi cristiani stanno analizzando le sfumature della teologia trinitaria .
Se non conoscessimo molto dei primi cristiani, potrebbe essere facile immaginare che la loro fede nella Presenza Reale fosse dovuta a superstizione e ignoranza o a qualche connessione con il paganesimo. Ciò che scopriamo invece è che la loro teologia eucaristica è inseparabilmente intrecciata con il loro credo sull’incarnazione, passione e risurrezione di Gesù, così come sulla nostra stessa risurrezione corporea. Quando troviamo forme successive di paganesimo, come i rituali mitraici, che praticano cose che ci ricordano l’Eucaristia, è perché (come nota Giustino) le hanno copiate dal cristianesimo, e non viceversa.
Non meno notevole è la mancanza di un dibattito serio che vediamo sull’Eucaristia. Ciò che intendo è che questi non sono solo tre teologi, ma tre testimoni oculari di un sistema di credenze molto più ampio.
Ignazio non dice ai fedeli di Smirne che dovrebbero credere nella Presenza Reale, ma scrive con la consapevolezza che già lo fanno e che può indicare il rifiuto della Presenza Reale da parte degli gnostici come motivo per trattarli come scomunicati.
Giustino non dice come dovrebbe essere la Messa, ma come già è.
E Ireneo tratta la fede nella Presenza Reale come una dottrina così universalmente accettata che argomenta quanto segue:
«Allora, ancora, come possono [gli gnostici] dire che la carne, che è nutrita del corpo del Signore e del suo sangue, va alla corruzione e non prende parte alla vita? Modifichino dunque la loro opinione o cessino di proporre gli argomenti appena menzionati. Ma la nostra opinione è in accordo con l’Eucaristia, e l’Eucaristia a sua volta conferma e rafforza la nostra opinione».
Data la natura radicale dell’insegnamento eucaristico di Gesù, potremmo aspettarci più controversie di quelle che troviamo. Dopotutto, i primi ascoltatori dell’insegnamento eucaristico di Cristo hanno risposto: “Questa è una parola dura; chi può ascoltarlo?” (Giovanni 6:60), ed è comprensibile che molti protestanti moderni abbiano la stessa reazione.
Ma i primi cristiani sembrano non solo aver accettato questa “parola dura”, ma hanno costruito la loro vita (e la loro teologia, e la loro comunione ecclesiale) attorno ad essa.
(L'Eucarestia e la Messa - L'importanza della Presenza Reale
Da "The Early Church was the Catholic Church" di Joe Heschmeyer)