mercoledì 25 ottobre 2023

Il segno più evidente che ci stiamo avvicinando al Natale è che, come ogni anno, spunta qualcuno che vuole abolirlo

Da Il Giornale di oggi, 25 ottobre 2023:

"Il segno più evidente che ci stiamo avvicinando al Natale è che, come ogni anno, spunta qualcuno che vuole abolirlo.
Ora è il turno dell'Istituto universitario europeo, sito a Fiesole, terra fiorentina, città di imponenti cattedrali romaniche, chiese, abbazie, conventi, seminari e basiliche. Il preside, Renaud Dehousse, solo incidentalmente un belga, sta pensando di togliere la ricorrenza del Natale dal calendario dell'istituto e rinominarla «Festa d'inverno». Incredibile che nessuno ci abbia mai pensato prima in 2023 anni. Serviva un belga, in effetti.
Lo scopo sarebbe quello di evitare il riferimento a una religione (a caso), in funzione di una scelta «inclusiva» che permetta a tutti di riconoscersi in un momento di serenità. Una mossa che si inquadra all'interno del «Piano per l'uguaglianza etnica e razziale» dell'ente fiesolano, finanziato da quell'Unione europea che alla fine preferì negare le proprie radici giudaico-cristiane.
Ah. Importante. L'Università ha fatto sapere che però «gli aspetti folcloristici possono rimanere parte dell'evento». Via la fede, dentro il panettone. Forse per evitare di lavorare il 25 dicembre e Santo Stefano, che cadono di lunedì e martedì.
E comunque sembra incredibile in un Paese con la nostra Storia - l'Istituto universitario europeo di Fiesole è ospitato dentro una splendida badia, quella di San Domenico. Cristiana."

Abbazia di san Domenico a Fiesole: giardino centrale con pozzo dedicato ai martiri fiesolani... 😢
... e sul chiostro si aprivano le stanze del centro studi padre Ernesto Balducci...
nel comprensorio anche una cappella... sono dei senza Dio.😢


(Nelle foto, tratte da Wikipedia, facciata della badia di San Domenico, l'altare di Giovan Battista Cennini, il chiostro rinascimentale).






martedì 24 ottobre 2023

Perché la Chiesa Cattolica ha cambiato la sua liturgia? Perché si vuole avvicinare ai Protestanti anziché agli Ortodossi?

Dove cercare il vero ecumenismo?”
Una riflessione sulle riforme liturgiche della Chiesa cattolica romana in una prospettiva ecumenica

Pubblicato su New Liturgical Movement
 

di Alessandro Adomenas, Maestro di Teologia, ortodosso

«Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21): queste parole del nostro divino Maestro risuonano con dolore nel cuore dei cristiani da molti secoli. Sfortunatamente, non abbiamo adempiuto al comandamento di nostro Signore e siamo stati divisi. Il XX secolo ha mostrato che è giunto il momento, secondo la parola dell'Ecclesiaste, di «raccogliere le pietre» (3,5), le pietre che noi cristiani abbiamo sparse per venti secoli. Il santo Papa Gregorio Magno (che in Oriente porta il nome Dialogos ) spiega così queste parole: «Quanto più si avvicina la fine del mondo, tanto più è necessario che si raccolgano pietre vive per l'edificio celeste, finché l'edificio della nostra Gerusalemme raggiunge la sua misura”. Per san Gregorio “raccogliere pietre” significa riunire il popolo nell’unica Chiesa di Cristo.

Sappiamo però bene che si possono “raccogliere pietre” in diversi modi e, cercando di raccogliere tutto, ci si può sovraccaricare del loro peso e perdere anche quello che si è raccolto. Questo articolo in forma di riflessione è un modesto tentativo da parte di un teologo ortodosso di pensare a quale percorso si possa scegliere per questa “raccolta di pietre”.

La storia dei rapporti tra cattolicesimo e ortodossia, purtroppo, è molto triste. Accuse reciproche, divergenze a volte su questioni insignificanti: tutto ciò è successo. Non darò una valutazione teologica di questi disaccordi e controversie secolari. Lasciatemi solo dire che ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide. Ed è proprio adesso il momento in cui, di fronte alla sempre crescente secolarizzazione dell’umanità e alle sfide che il mondo moderno pone ai credenti, dobbiamo trovare un terreno comune affinché tutti sappiano che siamo discepoli di Cristo-Amore incarnato (cfr. Giovanni 13, 35).


Negli ultimi cento anni, questo tentativo di conciliare ortodossia e cattolicesimo ha ricevuto il nome di “movimento ecumenico”. Sono stati proposti molti modelli di dialogo all'interno di questo movimento, ma purtroppo tutti sono arrivati ​​o stanno arrivando a un vicolo cieco. Il problema, a mio avviso, è l’approccio sbagliato al problema in quanto tale. O meglio, non esiste un nucleo attorno al quale costruire un dialogo. E mi sembra che qui la soluzione ideale sia fare appello a un patrimonio comune: la storia viva della Chiesa nello Spirito Santo.

Sia il cattolicesimo che l'ortodossia hanno una radice comune: l'insegnamento di Cristo e degli Apostoli. Abbiamo conservato l'immagine della Chiesa stabilita dagli Apostoli e dai loro successori: la successione apostolica nel sacerdozio, la struttura gerarchica della Chiesa, i santi sacramenti, il nostro modo di vita ecclesiale. Questo è esattamente ciò che può e deve unirci; non per niente ci riconosciamo quasi tutti i sacramenti dell'altro,  compreso il sacramento del sacerdozio, che parla anche del riconoscimento della gerarchia dell'altro.

Pertanto, il modo di “raccogliere le pietre” può e deve essere il nostro collegamento con quella che, sia nella Chiesa ortodossa che in quella cattolica, viene chiamata Sacra Tradizione. L'eredità secolare, l'eredità della Chiesa, è realmente ciò che ci unisce e rende possibile realizzare l'unità. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato: «L'ufficio dell'insegnamento non è al di sopra della parola di Dio, ma è al servizio di essa, insegnando solo ciò che è stato trasmesso... È chiaro quindi che la sacra tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa , secondo il sapiente disegno di Dio, sono così legati e congiunti tra loro che l'uno non può stare senza gli altri”.
Tuttavia, la mia pluriennale conoscenza del cattolicesimo, della situazione attuale della Chiesa cattolica, suggerisce che, purtroppo, il cattolicesimo dei nostri giorni non vuole scegliere la via del seguire la Sacra Tradizione . Non intendo dire che la Chiesa cattolica lo faccia deliberatamente. Affatto. Ma con molte delle sue azioni allontana davvero una possibile unità con le Chiese ortodosse. Per qualche motivo, per la Chiesa cattolica è più importante il dialogo con le varie denominazioni protestanti, anche se queste si oppongono deliberatamente alle Chiese storiche che hanno conservato la Sacra Tradizione. Non voglio in alcun modo offendere i protestanti, ma sia gli insegnamenti ortodossi che quelli cattolici dicono che l'Ortodossia e il cattolicesimo sono molto più vicini tra loro di quanto non lo siano al protestantesimo. Bisogna inoltre constatare che la maggior parte delle denominazioni protestanti si oppongono consapevolmente alle chiese storiche con successione apostolica; dicono che la loro teologia è diversa dalla nostra in tutto, e la nostra adesione alla Sacra Tradizione diventa spesso oggetto almeno di un sorriso condiscendente, se non di derisione e disprezzo da parte dei protestanti.

Da questa premessa, il tentativo di unire ortodossi e cattolici sembrerebbe essere stata la via ideale da seguire. Eppure il cattolicesimo, mi sembra, è andato nella direzione opposta. E questo è visibile in ogni cosa. Tuttavia, per spiegare il mio pensiero, vorrei considerare diversi aspetti. E tra questi il ​​principale è l'aspetto liturgico.

La sacra Liturgia, culto divino, è il fondamento della Chiesa. Senza culto, senza Eucaristia, la Chiesa non può esistere. Nel corso della storia, infatti, la Chiesa si è raccolta attorno al sacrificio eucaristico. Naturalmente tutte le Chiese storiche con successione apostolica hanno creato attorno all'Eucaristia i propri riti liturgici, alla cui compilazione la Chiesa ha lavorato per molti secoli attraverso i suoi membri, accogliendone organicamente le novità sane e scartando ciò che è estraneo. La liturgia è l'apparizione, la manifestazione della Chiesa, la sua incarnazione visibile nel mondo.
Qualsiasi cambiamento forzato e inorganico può portare a sconvolgimenti molto grandi. La Chiesa ortodossa russa ne ha avuto una tragica esperienza. Nel XVII secolo, il Patriarca ortodosso russo Nikon decise di rompere la tradizione liturgica russa sviluppatasi in oltre 500 anni, imponendo con la forza quella greca, simile ma formatasi in un contesto storico diverso. Le autorità statali ed ecclesiastiche di quei tempi attuarono queste riforme con la forza, arrestando e uccidendo tutti coloro che non erano d'accordo. Ciò portò un terzo della Chiesa russa allo scisma, uno scisma che fino ad oggi non è stato ancora sanato. Inoltre, poiché a quel tempo c’erano pochi vescovi nella Chiesa russa – solo uno non era d’accordo con la riforma e alla fine si separò – i vecchi credenti furono emarginati e alcuni di loro persero il sacerdozio e i sacramenti.

L'amara esperienza della Chiesa ortodossa russa è stata sconosciuta o ignorata dalla Chiesa cattolica nel XX secolo. Per qualche ragione, le autorità della Chiesa cattolica del nostro tempo hanno deciso di cambiare la liturgia. Non c'è niente di sbagliato nell'apportare alcune modifiche a un rito. Coloro che hanno più o meno familiarità con i principi della liturgia comparata di Anton Baumstark  sanno che i cambiamenti in qualsiasi rito sono la norma della vita della Chiesa. Ma il cambiamento rituale funziona bene solo quando, in primo luogo, è necessario, cioè quando questi cambiamenti sono chiamati a illuminare più pienamente l’uno o l’altro aspetto della vita della Chiesa, e in secondo luogo, e soprattutto, quando ciò avviene all’interno della Chiesa. quadro dell’insegnamento della Chiesa e del rito liturgico vigente vigente.
L’obiettivo delle riforme liturgiche degli anni Sessanta era alto: ravvivare la partecipazione del popolo di Dio alla Santa Eucaristia. Lo scopo è buono e, in effetti, necessario. Eppure, invece di attirare il popolo di Dio a una partecipazione più viva e attiva all'Eucaristia – attraverso il canto comune, le risposte alle esclamazioni del sacerdote, anche modificando leggermente e organicamente l'ordine della Santa Messa – l'autorità ecclesiastica della Chiesa cattolica decise di cambiare radicalmente sia l'ordine della messa che il rito latino. Ciò, nonostante le stesse decisioni del Concilio Vaticano II indichino che i cambiamenti devono essere molto equilibrati e ponderati: «Che la sana tradizione possa essere conservata, e tuttavia rimanga aperta la via ad un legittimo progresso, occorre sempre un'attenta indagine essere inserito in ogni parte della liturgia da rivedere. Questa indagine dovrebbe essere teologica, storica e pastorale… Non ci devono essere innovazioni se il bene della Chiesa non le richiede autenticamente e certamente; e bisogna fare attenzione che eventuali nuove forme adottate crescano in qualche modo organicamente da forme già esistenti.

Questa è la norma della Costituzione conciliare Sacrosanctum Conciliumstato eseguito correttamente? I fatti stessi dicono il contrario. Prendiamo ad esempio l'Offertorio (una parte dell'Ordine della Messa durante la quale si portano all'altare il pane e il vino con le preghiere in vista della consacrazione). È stato completamente riformato. Non riesco ancora a immaginare il motivo per cui si è dovuto farlo. Guardando il nuovo rito dell'Offertorio, non è affatto chiaro che tipo di “ricerca teologica, storica e pastorale” sia stata effettuata su indicazione diretta del Concilio per introdurre quel cambiamento. Perché non rivolgersi agli antichi messali romani, dove si trovano varie forme antiche praticate nel rito latino? Perché comporre nuove preghiere, ovviamente prese in prestito dall'ebraico Berakhot ? Per mostrare la connessione tra l'Antico e il Nuovo Testamento? Sono sicuro che ogni sacerdote che celebra la liturgia conosce questo collegamento. Per far rivivere gli elementi del culto ebraico? Fatta eccezione per gli elementi apportati nelle prime generazioni dopo gli apostoli, la Chiesa mai nella sua storia ha avuto una tale tendenza giudaizzante. Riconoscere l’importanza dell’ebraismo e cominciare a onorare gli ebrei come loro “fratelli maggiori”? Temo che il 99,9% degli ebrei non abbia idea che ci sia questo elemento nella Messa cattolica. Vale a dire, semplicemente non vediamo alcuna base pastorale, teologica o storica per questo cambiamento nel rito dell'Offertorio; né è emerso organicamente da qualcosa già presente; né era veramente e certamente necessario.
Inoltre, la preghiera centrale della Messa è il Canone eucaristico. Nel rito bizantino vengono usati come standard due canoni eucaristici: quello di San Basilio Magno e quello di San Giovanni Crisostomo. Questi Canoni Eucaristici sono utilizzati dalla Chiesa da oltre 1.500 anni. L'Occidente aveva il Canone Romano, di simile antichità e centralità. Ai nostri giorni la Chiesa cattolica ha intrapreso una strada completamente diversa: la strada della composizione di nuovi testi per il Canone eucaristico. Allo stesso tempo, i sostenitori del Nuovo Rito sottolineano che le nuove Preghiere eucaristiche sono state scritte sulla base di antichi testi orientali. Ma chiunque sia più o meno versato nella scienza liturgica vedrà che questa somiglianza è in realtà molto lontana e che le nuove Preghiere eucaristiche del Rito Romano sono testi nuovi, non santificati né dall'uso della tradizione  da dall’insegnamento della Chiesa, e talvolta sembrano addirittura andare contro di esso. Perché è stato fatto questo? Rimango in silenzio sul Lezionario e sul calendario liturgico completamente ridisegnati e sul mutato sistema dell'Ufficio Divino e del Proprio, testi in una certa misura scritti da Santi e santificati dal tempo, ma che cessano di risuonare durante la liturgia cattolica. Semplicemente non trovarono posto nel Nuovo Rito.

Perché è stato fatto? Perché la riforma è stata così radicale? La risposta la troveremo se guardiamo agli autori della riforma e a cosa li ha ispirati. Nell'attuare la riforma dei libri liturgici, la Commissione si è apertamente basata sull'esperienza del culto protestante, ispirandosi alla teologia protestante dell'Eucaristia (Ultima Cena, pasto, comunità…) per introdurre i cambiamenti. La Chiesa cattolica con ciò ha deliberatamente rifiutato la propria esperienza, la propria eredità, ha rifiutato l'esperienza delle Chiese orientali in cui era conservata una comprensione viva dell'Eucaristia come liturgia del Corpo e del Sangue del Salvatore, e ha invece seguito la via teologica protestante, i cui seguaci non solo non credono nella vera e reale presenza eucaristica del Corpo e del Sangue di Cristo, ma hanno addirittura creato propri riti di culto in opposizione alla Messa cattolica. Spesso questo cambiamento è spiegato dall'idea di ecumenismo, dicendo : «Ecco, la nostra liturgia è diventata più simile a quella dei protestanti e ora siamo più vicini a loro». È davvero così? I protestanti credono che i cattolici siano diventati più vicini a loro a causa del simile approccio esteriore alla liturgia? Difficilmente. Grazie a Dio, nonostante la forma esteriore carente, l'essenza dell'Eucaristia come presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nel sacramento è rimasta salda nella dottrina ufficiale della Chiesa cattolica. Per un protestante, la celebrazione eucaristica è solo un memoriale dell'Ultima Cena, a differenza delle Chiese orientali, dove c'è sempre stata la convinzione che partecipiamo realmente al Corpo e al Sangue di Cristo. Ogni sacerdote e fedele ortodosso dice prima della Santa Comunione: "Credo che ciò che è nel Calice è il tuo vero Sangue".  E i protestanti comprendono questa differenza, per cui la riforma liturgica della Chiesa cattolica non ha portato alcun reale riavvicinamento. I cattolici cioè non hanno guadagnato nulla, ma hanno perso molto.

Non solo le autorità della Chiesa Cattolica hanno creato un nuovo rito della Messa, ma hanno immediatamente e incredibilmente vietato l'uso del vecchio Rito consacrato dal tempo. Gli ultimi cinquant'anni, infatti, sono stati una lotta di persone che vogliono utilizzare l'antico rito, che ha origini anteriori ai tempi di San Gregorio Magno, e che da allora è stato vissuto e sperimentato da quasi tutti i Santi d'Occidente. È stata una lotta per ottenere il diritto di essere fedeli a questo rito dei Santi. Cinquant'anni di umiliazioni, derisioni e tentativi di restare in qualche modo a galla. L'attuale pontificato ha sostanzialmente affermato che l'Antico Rito non ha diritto di esistere, e il fatto che ora se ne consenta l'uso non è che una misura temporanea. In che modo, concettualmente, le autorità della Chiesa cattolica dei nostri giorni sono diverse da quelle che hanno costretto l'emarginazione degli antichi credenti in Russia?
Le attuali autorità della Chiesa cattolica affermano che i cattolici hanno una sola Messa, un solo rito. Stanno cercando addirittura di pervertire e “diversificare” questo rito per compiacere l’epoca attuale. Spesso si vede che molti sacerdoti nella Chiesa cattolica celebrano il nuovo rito della Messa ad libitum , inserendo di propria iniziativa modifiche e integrazioni, facendo appello a presunte finalità pastorali; possono cambiare la Messa in un modo o nell'altro, per non parlare della liturgia del Cammino Neocatecumenale e del Movimento Carismatico, o delle inculturazioni proposte.

Che cosa abbiamo, tutto sommato? Liturgicamente il cattolicesimo è andato fuori strada. È andato incontro ai protestanti, tendendo loro le braccia, e i protestanti si sono allontanati e sono andati oltre, verso il sacerdozio femminile e, in generale, diluendo l’idea stessa di cristianesimo. E il cattolicesimo rimase con le braccia vuote tese. Non si è avvicinato ai protestanti (anche se fin dall’inizio avrebbe dovuto essere chiaro che questo approccio non era realistico). Allo stesso tempo, il cattolicesimo si è allontanato dall'Oriente, che fa affidamento sulla Tradizione; anzi, si è arrivati ​​a tal punto che, ai nostri giorni, la linea rossa tra protestantesimo e cattolicesimo è diluita nella mente degli ortodossi, sia teologi che credenti comuni.

Naturalmente non chiedo alcuna azione specifica; sarebbe troppo presuntuoso. Ho semplicemente voluto condividere il dolore che prova un credente ortodosso, la cui fede si fonda sulla Sacra Tradizione, guardando la Chiesa cattolica oggi. Eppure voglio credere che Cristo, che desidera l'unità dei suoi discepoli, riporterà in comunione le Chiese storiche dell'Oriente e dell'Occidente con successione apostolica, le unirà con l'amore che avevano i Santi che crearono questo tesoro di fede e la liturgia: la vita eterna e imperitura della Chiesa, fondata sulla Sacra Tradizione nello Spirito Santo. 


lunedì 23 ottobre 2023

San Bernardino da Siena: Non prenderti una croce più grande di quanto tu possa portare

San Bernardino da Siena -  Prediche volgari sul Campo di Siena 1427 

Dalla Predica 27 (in lingua corrente)


Disse Cristo: «Tollat crucem suam, et sequatur me", prenda la sua croce, e mi segua». Non sarebbe tua quella croce, se tu non la potessi portare. La ragione è che Dio non odiò mai una cosa fatta da lui, perchè lui ci diede l'esempio di quello che dobbiamo fare. « Nichil odisti, Domine, eorum que fecisti. Signore, tu non hai odiato mai nessuna delle cose che hai fatto.» 

Egli vuole ed è contento del fatto che l’uomo castighi la sua carne; ma non vuole che l’uomo s’amazzi. Infatti disse Paolo: «Morientes, et ecce vivimus. Morendo noi ai mondo, e vivendo con la volontà di far penitenzia», (...) in modo  che possiate dire con il profeta Davide: «Fortitudinem meam ad custodiam; Signor mio, io custodirò la mia fortezza». 

Dunque, fa’ sì di metterti a fare cose da cui possa uscire con onore. Caricati tanta soma, quanta ne puoi portare: ciò  che può fare uno,  non lo potrà fare un altro. Ce ne sono di  quelli che non possono mangiare se non una volta al giorno: volendosi abituare a mangiare di più, morirebbero in poco tempo. Non ti voler mettere a far così tu: non voler mai fare cose estreme. In ogni cosa si dovrebbe prendere la via del mezzo. O tu che ti sei deciso a non bere vino, guarda a quello che fai. Vuoi far bene? Fatti consigliare, e agisci secondo quanto ti viene consigliato da un uomo buono e discreto. Se tu chiedessi un consiglio a me, io ti direi che tu ne bevessi pure, ma  temperato coll’acqua; e quell'altro che non vuole mangiare carne, doh, attento che tu non sia ingannato da chi t'ha dato quel consiglio! 

Non fidarti così leggermente: fatti dare consigli da più persone, e che siano di valore. Prendi consiglio da coloro che sono esperti in queste cose, che sanno il dritto e rovescio: quelli  ti sapranno consigliare bene. Noi abbiamo uno nostro dottore che disse così, dando consigli per vivere bene. Disse che se uno avesse fatto o volesse fare  penitenza, che prenda la croce in modo che, se dovesse vivere cento anni, la potrà portare, perseverando, sempre. Presa questa decisione, se anche vivesse solamente otto giorni, se ne va poi al volo alla vita eterna. Non volerne prendere una tanto pesante e aspra, da perderci la vita. 

Oh, questo è il grande pericolo! Ce ne sono stati molti che sono voluti andare alla vita eterna in un passo ed un salto; e molte volte sono impazziti. (...)

Donne, o donne, perché questo toccò già a me di avere  questo fervore, io ve ne posso dire qualche cosa: e vi vengo a dire il primo miracolo che io abbia mai fatto, che fu ancor prima che io fossi frate. 

Mi venne voglia di vivere come uno angelo, non dico come uno uomo. «Deh, state a udire, che Dio vi benedica!». 

Mi venne l'idea di volere vivere d’acqua e d’erbe, pensai di andare a stare in uno bosco, e cominciai a dire tra me e me: «Che farai tu in un bosco? Che mangerai? », Rispondevo così tra me e me, e mi dicevo: « Bene, farò come facevano i santi padri: io mangerò dell’erba quando avrò fame, e quando avrò sete, berò dell’acqua». 

E così decisi di fare; e per vivere secondo Dio, decisi anche di comprare una Bibbia per leggere ed una tunica da tenere addosso. E comprai la Bibbia, e andai per comprare un cuoio di camoscio, perché non passasse l’acqua al di dentro e non si bagnasse la Bibbia. E col mio pensiero andavo cercando dove io mi potesse riposare, e decisi di andare a vedere fino a Massa; e quando ero nella valle di Boccheggiano, andavo a osservare quando questo poggio quando quell’altro; quando in questa selva, quando in quell’altra; e andavo dicendo da me e me: «Oh, qui starò bene! Oh, qui anche meglio!». 

In conclusione, non andando dietro a ogni cosa, me ne tornai a Siena e decisi di cominciare a provare la vita che volevo vivere. E me ne andai qua fuori dalla Porta a Follonica, e  incominciai a cogliere una insalata di lattuga e altre erbucce, e non avevo né pane né sale né olio; e dissi: « Cominciamo per questa prima volta a lavarla a raschiarla, e poi la prossima volta, solamente la rischieremo senza lavarla; e quando ne saremo più abituati, noi la faremo senza pulirla, e  poi la mangeremo senza coglierla». E nel nome di Gesù benedetto cominciai con un boccone di insalata, e,  messala in bocca, cominciai a masticarla... Mastica, mastica..., questa non poteva andare giù. Non potendola inghiottire, io dissi: «Cominciamo a bere uno sorso d’acqua». Ebbene: l'acqua se ne andava giù; e l'insalata rimaneva in bocca. In tutto, bevvi parecchi sorsi d’acqua con uno boccone di insalata, e non la potei inghiottire. 

Sai che ti voglio dire? Con un boccone di insalata mi tolsi ogni tentazione; che certamente mi rendo conto che quella era tentazione. Questa (ndr: l'ingresso nei frati minori) che è seguita poi, è stata un'elezione, non tentazione, Oh, quanto si deve soppesare, prima di seguire certe  decisioni che talvolta risultano molto cattive, mentre parevano tanto buone! Perciò disse san Bernardo: «Non semper credendum est bone voluntati. Non bisogna sempre credere alla buona volontà, no». 

- O i santi antichi, come al tempo dei santi padri, come facevano? Pure vivevano d’erbe.-

Io ti rispondo: «Distingue tempora; et concordabis scripturas». Distingui i tempi. Sai quante cose fecero i santi, che tu non potresti fare? 

- O il santo Francesco, come fece, che digiunò. quaranta giorni e non mangiò mai? - 

Lui l'ha potuto fare, non lo potrei fare io. E ti dico che io non voglio proprio farlo; e non vorrei che Dio me ne desse la voglia. Così ti dico di san Pietro; non sai che camminò sull’acqua, come si cammina sulla terra??! Io non mi ci metterei  a farlo! 

Dunque, non voler fare quello che pensi già che non potresti fare; che se anche tu lo volessi fare, ne morresti. Pensa  se il contadino mettesse la soma all’asino, maggiore di quanto non la possa portare: lo scorticherebbe: e se glielo vuol mettere, devi  metterglielo nel luogo dove esso ha la forza. Se glielo mettesse sul collo, lo scorticherebbe; e così se glielo ponesse sulla coda: mettendoglielo in mezzo, lo potrà portare. Allo stesso modo, non vedi come sarebbe pericoloso cavalcare un puledro brado senza la briglia e senza la sella? Chi salisse su un puledro sfrenato, senza sella, mette a rischio di pericolo ambedue allo stesso tempo. 

Per cui disse san Giacomo nella sua epistola al terzo capitolo: «Potest etiam freno circumducere totum corpus. Si autem equis frena in ora mittimus ad consentiendum nobis, et omne corpus illorum circumferimus». Il fervore è un cavallo difficile da controllare: e perciò dico che la regola è un ottimo modo per domare questo cavallo perché fu ordinata per mettare un freno proprio a questi fervori; e quando sono così domati, si possono far saltare, trottare, andare di passo lento e veloce, secondo la necessità.

venerdì 20 ottobre 2023

Sensitivi buoni e sensitivi cattivi. Come riconoscerli

Occorre fare molta attenzione. Accanto ai sensitivi buoni ci sono quelli cattivi.
Come riconoscerli? Semplice. Chiedono sempre soldi. I soldi sono la prima tentazione del demonio. Perché coi soldi ci si può comprare tutto: sesso, droga, piacere e potere.
La maggior parte dei sensitivi oggi sono dei falsi sensitivi dai quali si deve fuggire. Fanno patti col diavolo. E chiedono in continuazione soldi. Soldi, soldi e ancora soldi. Non sono mai sazi. "Torni tra una settimana e porti altri soldi" dicono sempre. Hanno la gente che fa la coda fuori casa.Vogliono pubblicità. 

Sono il contrario dei veri sensitivi che nascondono il proprio carisma.
Lasciano che sia Dio a portare loro la gente. E dalla gente non vogliono soldi
. Sanno che il denaro porta all'inferno. Così fuggono da esso.
"È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli" disse Gesù. Non sono parole buttate lì a caso.
Sono parole da prendere alla lettera. Il denaro corrode l'anima.
Chi invece non ha nulla si affida solo alla provvidenza. A Dio. Prega Dio e da lui ottiene ciò di cui necessita. Dio favorisce i poveri. Se un sensitivo di Dio dovesse iniziare a ricercare il denaro, senz'altro Dio gli toglierebbe il carisma che gli ha precedentemente donato. 

Spesso questi falsi sensitivi sono dei satanisti. Fanno messe nere. Radunano attorno a sé pochi adepti uniti da un forte legame di omertà. Si riuniscono in luoghi fuori mano. Sovente in case abbandonate.
La loro riunione è una messa che segue una liturgia precisa. Una liturgia però capovolta. Non pregano Dio ma Satana. Le stanze sono dipinte di nero. Nero è il drappo che ricopre l'altare. In mezzo c'è un crocifisso rovesciato. Non manca mai una statua del diavolo con il fallo proteso. E spesso c'è anche un teschio. Vero. Non c'è luce. Ci sono solo poche candele che proiettano nella stanza ombre sinistre. I pochi adepti stanno in circolo, vestiti di nero. A volte coprono il proprio volto. Invocano Satana in latino. Chiedono a lui di venire. Di scendere tra loro.
La liturgia inverte volutamente quella cattolica. Spesso è presente una sacerdotessa, una donna giovane e vergine completamente nuda e distesa sull'altare. A volte si tratta di prede catturate. Donne innocenti. Drogate e costrette a subire quella macabra liturgia. Dissacrano le ostie con sputi.Tutti possiedono a turno la donna. Gira droga e alcol. L'anima di tutti è regalata al demonio che può farne ciò che vuole in cambio dei godimenti della carne. Satana dà loro il piacere della carne. Loro danno a lui la loro anima. Per sempre. 

Chi ci guadagna? Non è difficile rispondere.
Spesso sensitivi e maghi sono la porta a questo genere di attività. Sono la porta per pratiche sataniche dalle quali poi è difficile fuggire. Difficilissimo. Oserei dire quasi impossibile, seppure a volte si riesca.
Chi si affida loro è facile che successivamente entri in circoli satanici. Sono circoli omicidi. Infernali. Sono davvero la porta dell'inferno. La porta degli inferi. La porta del nulla eterno.

Non è un caso che una figura chiave nella storia del satanismo sia stato proprio un mago. Si chiamava Edward Alexander "Aleister" Crowley.
Nacque nel 1875 e morì nel 1947. Era un mago inglese. Andava avanti sostenendosi con morfina e oppio. Manipolava la mente delle persone. Il suo alleato era Satana. Insieme hanno distrutto molte vite. Fu lui a scrivere le regole del satanismo. Tra queste: "Fai ciò che vuoi, sarà la tua legge". E poi: "Non c'è altro Dio che l'uomo".
Nel 1920 si trasferì a Cefalù. Qui affittò una casa e fondò l'Abbazia di Thélema. La casa era in campagna. Al suo fianco c'era un cimitero. In quella casa Crowley cercò di accumulare energie magico-sataniche per conquistare il mondo intero e piegarlo sotto il proprio dominio. Da Cefalù un faro, una luce di malvagità, avrebbe conquistato il mondo assoggettandolo sotto di sé.
A Cefalù Crowley visse con due concubine, l'amencana Leah Faesi e Ninette Fraux che egli chiamava suor Cypris. Poi si aggiunsero altre donne. La casa era oggetto di diverse visite. In tutta la Sicilia si diffusero presto voci inquietanti su questa casa. Per molti Crowley era "l'uomo più perverso dell'universo", un "genio del male e del peccato".
In effetti in quella casa si svolgevano strani riti. Orge sfrenate. Incesti. Messe nere in favore della "bestia dell'Apocalisse", il grande drago del mondo, Satana. 

Dopo Crowley arrivò Anton LaVey. E uno pseudonimo che sta per Howard Stanton Levey. Morì nel 1997.
Fu lui a fondare - tutte queste vicende le racconta molto bene tra gli altri l'esperto di cose sataniche Fabrizio Artale - insieme a un cineasta hollywoodiano, Kenneth Anger, l'associazione Magic Circle che nel 1966 divenne a San Francisco la Chiesa di Satana.
Cercava adepti decisi a dedicare tutta la propria esistenza a Satana. A lui si unirono diverse star del rock. 

I satanisti sono in tutto il mondo. Ma la maggior parte pare risiedano a Londra. Poi seguono Torino, San Francisco, Chicago e Roma.
Perché? Perché il diavolo ha i suoi schemi e i suoi disegni da mettere in campo. Queste città sono legate da inquietanti geometrie esoteriche che richiamano il diavolo e l'occulto. Ma il centro del satanismo è Londra. Del resto Crowley è inglese ed è dunque logico che la capitale del Regno Unito sia il centro dove hanno maggiore presa questi gruppi demoniaci. Ma questi gruppi sono ovunque. Come ovunque sono i loro capi, i maghi, i santoni. A loro Satana, è innegabile, dà poteri speciali che li fanno essere quasi come Dio. 

Quei poteri, quei doni, che un giorno diede a Marco il quale, per un periodo di tempo piuttosto lungo, si credette Dio.
Marco è uno dei tanti santoni coi quali ho avuto a che fare. Uno dei pochi, forse l'unico, che è tornato in sé, che è sfuggito alla morsa del demonio.
Marco ha tanti doni, tutti regalatigli da Satana. Perché Satana fa così, dà più poteri che può ai suoi devoti. Spesso fa credere loro che questi doni non arrivino da lui. Per non spaventarli. Ma sono loro, i suoi devoti, che mentono a se stessi.
Hanno regalato la loro anima al diavolo e fingono di non sapere che ogni cosa che capita loro è da lui, dal demonio, che viene. Bugiardi come Satana, il grande menzognero, il re delle menzogne.
Marco stringe un patto di sangue col diavolo. Per più volte si mette in contatto con lui tramite il cosiddetto "gioco del bicchiere".

Satana parla con lui. Inizialmente gli manda messaggi di pace e fratellanza. È chiaro: non lo vuole spaventare. Al contrario intende offrirgli un'immagine di sé bonaria.
Passano i giorni. Marco si reca in pellegrinaggio a Lourdes. Ma la sua anima è tutta nelle mani del demonio. Ci va forse per sfida: "Vediamo cosa succede a un servo di Satana in un luogo santo come questo?" si domanda.
Satana decide di rifarsi vivo proprio a Lourdes. È in uno dei santuari mariani più importanti del mondo che Marco scopre di avere doni extrasensoriali. È Satana che glieli dà. È Satana che astutamente sceglie Lourdes per darglieli.
Marco diviene chiaroveggente, legge nel pensiero della gente, sa fare diagnosi cliniche, ricorda il passato di persone che non conosce. Prevede il loro futuro.

Alcune persone cominciano a seguirlo, a interrogarlo, ad affidarsi a lui.
Dopo un po' di tempo Satana torna a farsi vivo. E regala a Marco un'altra straordinaria facoltà: con l'imposizione delle mani è in grado di annullare il dolore fisico. Qualsiasi dolore fisico.
Marco ha un seguito di gente notevole. Ma diviene un uomo irascibile, sempre cattivo e incattivito. Ben presto inizia a trattare male la gente che guarisce. La insulta. Lavora per portarla come lui alla perdizione. Lavora per distruggere le loro esistenze, i loro affetti. 

La salvezza per Marco arriva quando un gruppo di cattolici sente parlare di lui. Lo conosce e inizia a pregare per lui.
Queste persone pregano e riescono a mostrargli l'origine diabolica delle sue nuove facoltà. Grazie alla preghiera di questa gente Marco inizia un percorso per liberarsi da Satana. E ce la fa.
Appena rompe il patto di sangue stipulato col demonio cessano anche tutti i suoi poteri.
Marco torna un uomo come tanti.
Meno potente di prima, certo, ma libero. Non più schiavo del principe del male. Ma libero perché figlio di Dio.

(Da "Padre Amorth, l'ultimo esorcista" )

mercoledì 18 ottobre 2023

Don Dolindo e l'apostolato dell'ombrello

Sotto l'ombrello di Don Dolindo
di Maura Roan McKeegan


 

Il Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo ha conquistato molti figli spirituali, soprattutto negli ultimi anni, attraverso l'immensa e duratura popolarità dell'Atto di Abbandono. Recentemente mi sono dedicata alla ricerca su Don Dolindo, e più apprendo, più sono convinta che Gesù ha inviato questo sacerdote umile e pieno di spirito per essere un potente intercessore per il nostro tempo.
L'obiettivo finale di don Dolindo era quello di far conoscere e amare Dio, e cercava di sfruttare al massimo ogni opportunità per raggiungere questo obiettivo. Non voleva sprecare una sola occasione di portare le persone a Gesù. 

Anche le passeggiate quotidiane divennero per lui un modo per prendersi cura con amore delle singole anime. Camminando per le strade della città, esortava i passanti e "si fermava appositamente per un po' alle edicole per avere la possibilità di edificare e ispirare i clienti", spiega nella sua autobiografia.

Dotato del dono di leggere le anime, don Dolindo era profondamente consapevole dei bisogni spirituali di ogni persona che incontrava. Questo dono gli fu di speciale aiuto mentre svolgeva quello che chiamava il suo “apostolato dell'ombrello”.
Nelle giornate in cui pioveva, don Dolindo portava con sé l'ombrello mentre passeggiava per le vie della città. Quindi, se vedeva qualcuno senza ombrello, invitava quella persona a unirsi a lui sotto il suo ombrello per ripararsi.

Rimarranno toccati da questo gesto”, scrive nella sua autobiografia, “e, essendo il campo così preparato, potrò seminare una buona parola”.

Da quando ne ho sentito parlare per la prima volta, questo apostolato degli ombrelli ha catturato il mio cuore e la mia immaginazione. Il mio cuore è stato attratto dalla tenera semplicità e dalla grande profondità del cuore di don Dolindo. E la mia immaginazione è stata stimolata dall'immagine di lui in piedi per strada, con l'ombrello aperto sui passanti, che parlava loro dell'amore di Dio mentre la pioggia cadeva intorno a loro...
Mi sembra che questa immagine sia un simbolo, una rappresentazione visiva, dell'intercessione di Don Dolindo nel nostro tempo. Perché credo che, proprio come faceva per le strade di Napoli un secolo fa, Don Dolindo tenda ancora oggi il suo ombrello alle persone di tutto il mondo.  

Foto C.Cavalletti "Domenica, dopo la Messa"

Le tempeste stanno vorticando sulla terra in questo momento. Ma lo sono anche i racconti di grazie e miracoli ricevuti attraverso la Preghiera dell'Abbandono e l'intercessione di Don Dolindo. 

I cieli nei tempi moderni possono apparire cupi e minacciosi; le nubi della cultura contemporanea possono apparire minacciose e terribili; ma c'è speranza in mezzo a questa tempesta imminente, perché sembra evidente che don Dolindo non  vuole che i suoi figli spirituali si bagnino o camminino da soli nel diluvio.
Dal suo seggio nella comunione dei santi, questo caro Servo di Dio porta costantemente il suo ombrello spirituale, raccogliendo sotto di esso i suoi piccoli, offrendo loro riparo dalla tempesta e piantando la Parola nei loro cuori. 

Quando chiediamo la sua intercessione, egli tende il suo ombrello sopra ciascuno di noi. E quando affidiamo i nostri cari alle sue cure, mettiamo anche loro sotto la protezione del suo ombrello.
Mentre percorriamo le strade di questo pellegrinaggio terreno, Don Dolindo è pronto e aspetta per aiutarci. Non si lascia superare senza offrirci il rifugio delle sue cure paterne nel cammino verso il cielo.



Nell'articolo originale c'è un ringraziamento speciale a Maria Palma Smith per aver tradotto in inglese questi passi dal libro Amore, Dolindo, Dolore (Casa Mariana Editrice “Apostolato Stampa”, 2001). Apprendiamo così  che "è di prossima pubblicazione la traduzione in inglese da parte dell'Accademia dell'Editoria dell'Immacolata".
L'apostolato di don Dolindo da Napoli sta arrivando in tutto il mondo! Ringraziamo Dio per il dono che ci ha fatto inviandoci questo suo umile, amorosissimo e ispirato servitore, un altro padre Pio (come lo stesso santo di Pietrelcina amava definirlo), e preghiamo per la sua causa di canonizzazione.


Fulton Sheen: ogni anima ha il suo prezzo

Cosa saremmo disposti a fare - e a pagare - per la salvezza di un'anima?

Il venerabile arcivescovo Fulton Sheen raccontava:

Ricordo alcuni anni fa, mi scrisse una donna e mi chiese di andare a far visita a un suo fratello. Era in ospedale. Mi disse: è un uomo molto cattivo. Era pieno d'odio, verso Dio e verso tutti. Mi disse che aveva già  cacciato dieci preti. 

Sapevo che non sarei stato trattato in modo migliore. Così ho aperto la porta, la prima volta, e ho detto: buona sera William. E ho chiuso la porta. Il giorno successivo sono tornato: buona sera William, come va? Ho chiuso la porta e sono uscito. 

Ho continuato  così  per 40 giorni. 

L'ultima sera gli ho detto: William, stanotte morirai. Mi risponde: lo so.Vuoi far pace con Dio? Mi risponde: No. Vattene.

Allora mi sono inginocchiato a lato del suo letto e ho promesso al Buon Dio che, se si fosse pentito, avrei fatto costruire una chiesa. Volevo essere associato alla redenzione di Cristo. Dopo aver pregato e fatto questa promessa gli ho chiesto: Vuoi far pace con Dio? E lui: No! Va fuori.

Sono tornato indietro, ho avvicinato il mio volto al suo, devastato dal male, e gli ho detto: William, dì "Gesù mio, pietà" prima di morire. Mi risponde: No, non lo farò.

Seppi poi che era  morto alle quattro del mattino. L'infermiera mi riferì che, dopo dieci minuti dalla mia uscita, ha cominciato a dire "Gesù  mio, pietà". E non ha smesso di ripetere "Gesù mio pietà", fino alla morte, alle quattro del mattino. 

Ecco, ogni anima ha il suo prezzo; e noi possiamo contribuire alla salvezza di ciascuna.


 


martedì 17 ottobre 2023

La necessità del perdono che rinnova noi stessi e la Chiesa

 


Nostro Signore ha legato indissolubilmente il perdono di Dio e quello che noi dobbiamo ancora dare agli uomini che ci hanno fatto del male (preghiera del «Padre nostro», Mt 6, 12, e parabola dei due debitori, Mt 18, 21-35). In realtà, nella maggior parte dei casi, i peccati per i quali noi chiediamo perdono a Dio sono dei mali inflitti agli uomini. Di conseguenza dobbiamo domandarne perdono non solamente a Dio, ma anche a coloro che sono stati feriti da questi peccati. Se no, Dio non ci perdona (Mt 5, 23-26). Dietro a coloro ai quali abbiamo fatto del male, noi ritroviamo sempre Dio, e quando abbiamo peccato contro Dio, troviamo sempre gli uomini. Disprezzando Dio, diamo agli altri un cattivo esempio, che spezza in loro un’energia morale. L'uomo che non si comporta con delicatezza verso Dio, non ne ha nemmeno nei riguardi degli uomini, e contribuisce a far crescere la loro insensibilità verso Dio. Così Dio condiziona il perdono che accorda per i peccati commessi contro di Lui, alla richiesta di perdono ai nostri simili. Ma se noi, per ricevere il perdono di Dio, abbiamo bisogno di quello degli altri uomini, anche questi hanno bisogno del nostro perdono per ottenere quello di Dio.

Per ottenere da Dio il perdono, abbiamo dunque bisogno, nello stesso tempo, di perdonare agli uomini che ci hanno offeso, e domandar perdono a coloro ai quali abbiamo fatto dei torti. Non basta accordare il perdono, bisogna anche domandarlo agli altri. L'una e l’altra cosa sono molto difficili per noi. Ci è più facile chiedere perdono a Dio, perché Egli s'impone in qualche modo a noi con la sua maestà, e perché noi riconosciamo senza difficoltà teoriche la nostra dipendenza suoi riguardi - non parlo ovviamente dei non credenti, ma dei credenti. Per contro, è molto difficile, anche per noi credenti, evitare di disprezzare gli uomini che a noi non s’impongono per la loro palese grandezza. Ancora, tra il perdono che dobbiamo accordare agli altri e la necessità di chieder loro perdono, quest’ultimo atteggiamento è il più difficile. Chiedendoci perdono, gli altri sembrano porsi in una situazione d’inferiorità, e questo colpisce il nostro cuore, stuzzicando il nostro orgoglio. Chiedere, invece, perdono per se stessi implica che noi scendiamo dal piedistallo della nostra apparente superiorità, che riconosciamo la nostra dipendenza dagli altri.

È lo stesso orgoglio che si nasconde dietro il rifiuto di perdonare e la nostra difficoltà di chieder perdono. Ma, perdonando, noi non abbiamo necessariamente rinunciato a ogni orgoglio; mentre se noi andiamo più lontano, fino alla richiesta del perdono, abbiamo abbattuto l’ultimo residuo del nostro orgoglio. È in questo caso solamente che il nostro cuore è sinceramente e puramente commosso, senza alcuna ambiguità.

Il rifiuto del perdono o il richiederlo trattiene la nostra anima nella rigidità. Il male che ci ha fatto l’altro, serbato nel nostro ricordo, è un’impurità che dimora in noi, ci intossica continuamente e diffonde il suo odore nauseabondo nel nostro essere; i bagliori o le tenebre di questa tossina disturbano i nostri occhi, e noi non possiamo guardare l’altro con purezza. Così noi non possiamo amare Dio, e l’altro non può amarci.

Soltanto il perdono sincero dissolve questo corpo estraneo dalla nostra anima e libera i nostri occhi da questa trave. Allora solamente l’amore di Dio può donarci il perdono. L'abate Isaia dice: «Non provare cattiveria verso un uomo, per non rendere vane le tue fatiche; purifica il tuo cuore verso tutti al fine di vedere in te la pace di Dio. Come, infatti, se qualcuno è morso da uno scorpione, il veleno gli si diffonde in tutto il corpo fino a raggiungerne il cuore, così è della malevolenza per il prossimo nel cuore: il suo veleno ferisce l’anima e la mette in pericolo, come conseguenza del male. Pertanto, colui che si preoccupa di non perdere le sue fatiche, scuota subito da lui questo Scorpione, cioè la malizia e la malevolenza»

Il male che abbiamo fatto a un altro, turba anche la nostra anima. Noi siamo inquieti. Esso ci impedisce di avere, di fronte all’altro, uno sguardo diretto e limpido. In ciascun incontro con lui, siamo preoccupati, perché sospettiamo che egli conservi nel suo cuore il ricordo del male che gli abbiamo fatto. Il mio orgoglio mi impedisce di purificare i miei rapporti con lui. Solo la mia richiesta di perdono può condurci entrambi a relazioni aperte, dirette, libere. Se resto nel mio orgoglio, senza chiedere perdono, non posso stare di fronte a Dio a viso aperto e col cuore intenerito. Dietro questa domanda di perdono, deve esserci un sentimento sincero di penitenza. La penitenza mantiene una tristezza negli occhi, ma gli occhi, pur rivelando questa tristezza della penitenza, hanno uno sguardo diretto e limpido. E con questa onestà di sincera penitenza, che io devo presentarmi di fronte a Dio per chiedere il suo perdono, dopo aver domandato perdono al mio simile.

I miei peccati verso Dio sono innumerevoli e continui. Tutto quello che ho, proviene da Dio e dovrei farne dono, a Lui e agli altri; dovrei lodarlo costantemente per i suoi benefici, con le mie parole e i miei atti - ma non lo faccio. Per questo la mia penitenza deve essere ininterrotta, così come la richiesta del suo perdono e della sua misericordia. Ecco perché il monaco orientale implora la misericordia di Dio in una preghiera incessante. Così, al momento della morte, sant'Antonio il Grande chiede ancora del tempo per far penitenza. E poiché i peccati verso Dio sono nello stesso tempo peccati verso gli altri e, viceversa, i peccati verso gli altri sono anch'essi continui, e noi dobbiamo senza tregua chieder loro perdono. 

In ogni caso, mi è difficile dire se in ogni momento del mio rapportarmi agli altri io mi sia comportato in maniera irreprensibile, o che abbia fatto tutto il bene che avrei dovuto e potuto per tutti gli uomini che ho incontrato. Dunque, quando qualcuno mi rimprovera un atteggiamento di cui non avevo coscienza che fosse cattivo, non devo respingere questo rimprovero, ma nconoscermi colpevole. Ho commesso almeno l'errore di dare l'impressione di essere colpevole ciò di cui mi si accusa. L'abate Isaia dice: «Se per impazienza tuo fratello ti controbatte una parola, sopportala con gioia, e, se tu esamini il tuo pensero secondo il giudizio di Dio, troverai che tu hai peccato». Mi è difficile assicurare di non aver nulla a che fare con l'origine dei malesseri inevitabili, e così costanti, che sorgono negli uomini, e che colpiscono anche me. Mi è difficile affermare che tutto è buono nel mio comportamento, nei miei pensieri e nelle mie parole verso gli altri; che ho prestato agli altri abbastanza attenzione per non lasciar loro l'impressione d'indifferenza nei loro riguardi. Ognuno di noi pecca contro tutti.

 

Così dobbiamo far penitenza per il nostro comportamento verso ciascuno. Per questo noi raccomandiamo sempre ai preti di ricordarci nella proscomidia della Liturgia, e domandiamo a tutti gli uomini, che noi incontriamo, di pregare per noi, così come abbiamo l’obbligo di far memoria nelle nostre preghiere di coloro che conosciamo, per quanto possiamo, e in maniera generale, di tutti gli uomini. Nella nostra preghiera per gli altri, è implicito il nostro perdono a loro, e nella supplica che noi rivolgiamo loro di pregare per noi, quella di perdonarci.

Preghiamo per i morti che abbiamo conosciuto, e con ciò stesso noi perdoniamo loro, e vogliamo assicurarci, dopo la nostra morte, le preghiere di coloro che saranno in vita, e quelle della Chiesa in generale; noi chiediamo loro così di perdonarci, dopo la nostra morte, non soltanto una volta, ma durante tutta la loro vita. Noi preghiamo per i nostri avi, per ogni anima deceduta nella fede, e vogliamo avere anche la nostra parte in questa preghiera, per tutto il tempo che durerà il mondo. Anche l’indifferenza nei riguardi dei morti è un peccato che ci rende inquieti.

I rapporti diretti o indiretti fra tutti gli uomini portano in sé le imperfezioni di tutti; noi vogliamo che, almeno nella Chiesa, queste relazioni, che perdurano ancora dopo la morte, portino anche in sé necessariamente la richiesta e il dono reciproco del perdono, la preghiera di tutti per tutti, affinché Dio conceda a tutti il suo perdono.

È questo un aspetto essenziale della cattolicità della Chiesa, La Chiesa si purifica continuamente in questa preghiera di tutti per tutti, in questa penitenza che tutti fanno continuamente per tutti. La purezza o la santità della Chiesa è un aspetto dinamico della sua vita. I peccatori non vengono scartati dalla Chiesa e non ci sono in essa membri senza peccato: tutti sono coinvolti in questa tensione di purificazione per mezzo della penitenza, per il reciproco perdono richiesto e offerto, per mezzo della preghiera di tutti per tutti, rivolta a Dio, al fine di ottenere il suo perdono. La Chiesa non è una società statica, immobile, ma una comunione in movimento, formata da uomini peccatori che, nello stesso tempo, si purificano nella preghiera degli uni per gli altri - non per dei peccati astratti, ma per i peccati, per gli atti imperfetti e per l'indifferenza manifestata nei riguardi delle persone concrete.

In questa famiglia vivente nascono, in ogni momento, dei malesseri, ma sono superati, lavati nel mare del suo amore, dall’amore reciproco dei suoi membri. Tutti peccano, ma tutti contribuiscono alla purificazione: con la loro richiesta di perdono, con il dono del loro perdono, con la preghiera comune e reciproca per il loro perdono. Lo stato di peccato non prende consistenza Quelli che hanno peccato non possono restare nell’indifferenza, sono spinti a chieder perdono, La loro coscienza, stimolata dallo Spirito Santo, li conduce a questa richiesta. Così, fin dalla sua apparizione, il peccato comincia a dissolversi con il pentimento. Esso è dissolto dalle onde continue di perdono, di preghiera, di amore che lo Spimo Santo mette in movimento.

In questo, tutti appaiono mossi dallo Spirito Santo, che li unisce. Lo Spirito Santo è l’agente di questa vita interpersonale che si volge verso la purezza, e non si concilia con la rigidità o l’inflessibilità delle relazioni nella Chiesa. È lo Spirito di libertà, di relazione nella libertà dell’amore, quindi non può conciliarsi con la rigidità, con gli atteggiamenti di ostinata diffidenza o di distanza, generati e mantenuti dall’orgoglio, che non che dà né accorda il perdono. Là dove regnano le passioni, malgrado la loro apparenza sia molto labile, domina una rigidità, una mancanza di libertà che solo lo Spirito può piegare, quando dona agli uomini la capacità di perdonare e di chiedere perdono, elevandoli al di sopra del loro orgoglio e delle altre passioni egoistiche.

Questo perdono reciproco e la preghiera di tutti e per tutti non hanno solamente un aspetto negativo; essi rappresentano il soffio positivo dell'amore che schiude le anime le une alle altre.

Dicendo che lo Spirito soffia, noi intendiamo che egli porta l’amore, la vita, la libertà. La vera libertà è legata all'amore, e là dov'è l’amore si trova il bene per eccellenza, fonte di ogni buon pensiero, di ogni parola e azione. Là è la vita che è mobilità, disponibilità, libera da ogni fissità nell’orgoglio e le passioni egoistiche.

La Chiesa si rinnova così, grazie allo Spirito Santo, attraverso il perdono e la preghiera reciproci. Essa si rinnova continuamente e riallaccia i legami interiori dell’amore tra i suoi membri. In altri termini, essa rinnova la sua unità interiore, la sua armonia, la sua cattolicità. L'incapacità delle anime cristiane di sopportare il peccato e il male causato agli altri, il bisogno di chiedere e di donare il perdono, manifestano una delle forze che Chiesa ha per purificarsi, rinnovarsi, ricostiture continuamente la propria unità e i propri legami interiori, per essere come una sinfonia in Cnsto.

Così si manifesta il mistero della sua persistenza e del suo perpetuo ringiovanimento.

 (da "Breviario esicasta" di Dumitru Stâniloae)

 

lunedì 16 ottobre 2023

La Nuova Dottrina Sociale della Chiesa va d'accordo con il mondo?

 

Il Dizionario vaticano di Dottrina sociale della Chiesa

Dal sito dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa  (*) riprendiamo questo articolo del prof. Stefano Fontana.

Per il Vaticano la Dottrina Sociale della Chiesa inizia con Francesco e va d’accordo col mondo
di Stefano Fontana 


Vatican News, l’agenzia di stampa del Vaticano, ha iniziato da tempo a pubblicare interventi tematici sulla Dottrina sociale della Chiesa. La rubrica, che continuamente viene aggiornata, si chiama “Dizionario di Dottrina sociale della Chiesa”.  Esperti dei vari settori tematici trattano in breve, come si conviene alla comunicazione digitale, le varie Voci. L’iniziativa si presta a qualche considerazione critica. Ma prima può essere utile ricordare qualcosa del recente passato.

Negli anni Novanta del secolo scorso, la questione di un Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa era oggetto di ampio dibattito tra gli addetti ai lavori. La posta in gioco era la natura disciplinare della Dottrina sociale della Chiesa.

Il magistero diceva contemporaneamente che essa fa parte della teologia morale e che è da considerarsi una “categoria a sé”. Chi appoggiava il rilancio della Dottrina sociale della Chiesa impostato da Giovanni Paolo II puntava a valorizzarla come un sapere a se stante, pur con l’impronta della teologia morale. 

Costoro chiedevano quindi l’istituzione di percorsi accademici specifici fino alla licenza in Dottrina sociale della Chiesa, proponevano una associazione dei cultori di questa materia distinta da quella dei moralisti e, appunto, spingevano per la redazione di un Dizionario di Dottrina sociale della Chiesa, coprendo così un ritardo rispetto a famosi Dizionari da tempo pubblicati nelle altre branche della teologia. 

In questo contesto nacque il Dizionario dell’Università Cattolica di Milano, uscito nel 2004 dopo una lunga gestazione, e quello a cura di Crepaldi e Colom edito dalla LAS, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. 

Nel 2004 fu anche pubblicato il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, ma questa è un’altra storia. 

Va da sé che quanti contestavano che la Dottrina sociale della Chiesa fosse un vero e proprio sapere o che addirittura la consideravano ideologica, puntavano a non distinguerla dalla teologia morale, della quale esistevano già Dizionari, punto e basta. Era un capitolo della eterna lotta tra due visioni teologiche contrapposte.

Con questa premessa, arriviamo ora al nuovo Dizionario on-line del Vaticano. 

Dagli anni Novanta i tempi sono alquanto cambiati e questo Dizionario lo testimonia molto bene. Esso si configura in base a due aspetti. Il primo è che fa sembrare che la Dottrina sociale della Chiesa sia nata con Francesco. Rarissime le citazioni del magistero precedente. Questa caratteristica corrisponde alla consapevolezza diffusa che con Francesco si è imposto un nuovo paradigma che riguarda anche la Dottrina sociale della Chiesa. 

Ed in effetti è così, solo che tale nuovo paradigma, a parere di chi scrive, non è in continuità con il precedente e questo viene confermato proprio da questo Dizionario on-line che non tiene conto della tradizione della Dottrina sociale della Chiesa e considera la data di elezione di Francesco al pontificato come un nuovo inizio, se non una nuova Pentecoste.

Il secondo aspetto è l’allineamento alle prevalenti tesi mondane sulle problematiche sociali attuali. Un simile atteggiamento era prevedibile, data l’idea che tutto inizia con Francesco e dato che il magistero sociale di Francesco è pure esso allineato con le tesi mondane prevalenti.

Nella voce “Moneta digitale” non si accenna ai grandi pericoli di controllo dei comportamenti dei cittadini e di possibili ricatti di una economia basata su una moneta totalmente artificiale. 

Nella voce “Rischio ambientale” si dice che finalmente la Laudato si’ pone il problema nel modo più completo e, per dire questo, si parte dalla esperienza del biennio Covid, tema ripreso in molte voci e sempre secondo la versione ufficiale diffusa dal potere. 

Nella voce “Fake News” non si dice che a diffonderle sono prima di tutto le istituzioni, ma esattamente il contrario: un tempo erano le istituzioni ora sarebbero i cittadini stessi. 

Nella voce “Tributi ambientali” si sostiene l’idea che la tutela dell’ambiente meriti aumenti fiscali con piena adesione a questa “transizione” che pure fa prevedere nuove povertà indotte. 

Nella voce “Cittadinanza sostenibile”, con ampie citazioni dalla solita Laudato si’, si parla di sostenibilità ambientale secondo la corrente di pensiero oggi prevalente e non si accenna alla sostenibilità “umana” in relazione a famiglia e procreazione. 

La voce “Migrazioni internazionali” espone le note idee di Francesco su una accoglienza strutturata e un cambiamento del sistema internazionale per poterla permettere. 

Nel Dizionario on-line del Vaticano non manca nemmeno la voce “Il discorso d’odio”, declinato anche questo in modo politicamente molto corretto, ossia per impedire che chiunque dica una qualsiasi verità su omosessualità e transessualità possa essere accusato di Hate Speech

I Dizionari degli anni Novanta non hanno prodotto granché, erano comunque un segno di un interesse per la Dottrina sociale della Chiesa nella sua complessità, compresa la sua tradizione, e alimentavano la prospettiva che essa potesse incidere per cambiare qualcosa nella società. 

Questo nuovo Dizionario è invece disancorato dalla tradizione e tutto incentrato su una attualità interessata e manipolata. Sbandiera proposte di cambiamento, ma sono le stesse volute da chi guida la vaporiera.

Stefano Fontana

 

(*) L’Osservatorio organizza le proprie attività con il fine di valorizzare, studiare, diffondere e incarnare la Dottrina sociale della Chiesa cattolica, nella fedeltà alla tradizione e con la spiritualità della speranza secondo gli insegnamenti del venerabile Cardinale Van Thuân.


La Chiesa delle origini era la Chiesa Cattolica - La Presenza Reale


Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.(Matteo 26,26-28)

Quanto letteralmente dovremmo prendere le parole di Gesù? Vuole davvero dire che il pane e il vino sono diventati il ​​suo corpo e il suo sangue? Vuol dire effettivamente che la sua carne “è vero cibo”? Ci sono molte ragioni all’interno degli stessi testi biblici per concludere che la risposta a queste domande è

Ma per ora, voglio sottolineare un punto più semplice: che questa interpretazione letterale sia vera o falsa, è così che i primi cristiani interpretarono le parole di Gesù. 

Lo studioso protestante di storia della Chiesa J.N.D. Kelly riassume quello che potremmo chiamare il “quadro generale” della prima fede cristiana: “l’insegnamento eucaristico, va capito fin dall’inizio, era in generale indiscutibilmente realista, vale a dire, il pane e il vino consacrati erano considerati, e venivano trattati e designati come corpo e sangue del Salvatore».

Troviamo questa visione letterale presente fin dall'inizio. Per avere un’idea di ciò di cui Kelly sta parlando, diamo un’occhiata ad alcuni esempi specifici. Mentre leggiamo questi primi testimoni (che siamo d'accordo o meno con loro), notiamo alcune cose: quanto è ben sviluppata la loro teologia eucaristica, quanto sembra essere accettata universalmente questa teologia e quanto è centrale questa teologia eucaristica per la loro fede e per la Chiesa del loro tempo.



Cominciamo intorno al 107 d.C.: sant’Ignazio di Antiochia è sulla via del martirio e scrive una serie di numerose lettere alle chiese dell’Asia Minore. In molte di queste mette in guardia contro alcuni eretici che negavano l'Incarnazione. In termini tecnici, erano docetisti, nel senso che insegnavano che Gesù era apparso solo in forma umana. Il docetismo è spesso legato all’eresia dello gnosticismo: poiché gli gnostici consideravano la carne un male, erano disgustati dall’idea che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni 1:14). Come si può immaginare, la negazione dell’Incarnazione implicava anche il rifiuto della Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia. L’Eucaristia non potrebbe essere il corpo e il sangue di Cristo se, in primo luogo, non avesse realmente corpo e sangue. 

Allora cosa ha da dire Ignazio a riguardo? Secondo gli apologeti protestanti come Luke Wayne del Ministero dell’Apologetica e della Ricerca Cristiana (CARM), non molto. 

Scrive infatti: "Il problema non è ciò che credono questi falsi maestri riguardo alla natura fisica del pane e del vino durante la Comunione. È ciò che credono riguardo alla natura di Gesù stesso e alla sua passione e risurrezione.(...) Non dovete evitare questi insegnanti perché potrebbero fuorviarvi riguardo alla natura del pane e del calice. Dovete evitarli perché negano ciò che insegnano le Scritture sulla sofferenza, morte e risurrezione di Cristo". 

A prima vista, l’obiezione di Wayne è perfettamente sensata (in particolare per i protestanti che non hanno mai letto Ignazio).
Se Ignazio fosse stato un protestante, la sua risposta al docetismo si sarebbe certamente concentrata solo sulle implicazioni sulla “sofferenza, morte e risurrezione di Cristo”, poiché non sarebbe particolarmente importante ciò che i docetisti credevano sulla natura del “pane e vino durante la Comunione”.
In effetti, secondo Wayne, Ignazio avrebbe potuto anche essere d’accordo con i docetisti su questo punto: mentre l’Incarnazione non era simbolica, l’Eucaristia lo è.

Ma c’è un problema con questa visione. Ignazio dice il contrario di quasi tutto ciò che dice Wayne.
Wayne sta esaminando i capitoli sei e sette della lettera di Ignazio ai fedeli di Smirne. Nel capitolo sei, Ignazio sostiene che i docetisti non possono essere salvati dal sangue di Cristo mentre rifiutano la carne e il sangue dell'Incarnazione. Ma poi, nel capitolo sette, si dedica all'Eucaristia.
E cosa ha da dire qui Ignazio riguardo al docetismo? Ecco il capitolo sette nella sua forma completa e genuina: 

"(Gli eretici docetisti) si astengono dall'Eucaristia e dalla preghiera, perché non confessano che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha sofferto per i nostri peccati e che il Padre, per la sua bontà, ha risuscitato.
Coloro dunque che parlano contro questo dono di Dio, incorrono nella morte nel mezzo alle loro dispute. E invece sarebbe stato meglio per loro trattarlo con rispetto, affinché anche loro potessero risorgere.
È opportuno dunque che vi teniate lontano da tali persone e non ne parliate né in privato né in pubblico, ma prestiate attenzione ai profeti e soprattutto al Vangelo, nel quale è stata raccontata e rivelata a noi la Passione e la Risurrezione è stata pienamente provata. Ma evitate ogni divisione, quale inizio di ogni male
".

La questione per Ignazio (o meglio, una delle questioni) è proprio «ciò che credono questi falsi insegnanti sulla natura fisica del pane e del vino durante la Comunione».
La sua argomentazione funziona così: 

  1. Poiché i docetisti negano l'Incarnazione, negano la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia (“non confessano che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo”). 
  2. Poiché “parlano contro questo dono di Dio, che è l'Eucaristia, “incorrono nella morte”, cioè nella dannazione.
  3. Sarebbe meglio, spiritualmente, per loro riconoscere la verità sull'Eucaristia, così da poter “risorgere” nella risurrezione corporea.
  4. Dal momento che i docetisti negano la Comunione, non possiamo essere affatto in comunione con loro, quindi evitateli sia pubblicamente che privatamente.
  5. Infine, dobbiamo crescere nella nostra fedeltà alla verità del Vangelo e all'unità dei cristiani (le due cose che i docetisti minano).

Le argomentazioni di Ignazio hanno senso solo se sia lui che i suoi lettori comprendono letteralmente l'insegnamento di Gesù sull'Eucaristia, compreso il suo avvertimento e la sua promessa in Giovanni 6:53–54, che collega l'Eucaristia alla risurrezione corporea:

In verità, in verità vi dico , se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi; chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’Ultimo Giorno”.
Suggerire che Ignazio o non sia concentrato sull’Eucaristia (quando le ha dedicato un capitolo specifico) o non creda che sia davvero la carne di Gesù, non è credibile.
Questo non è l'unico punto in cui Ignazio esprime la sua fede nella presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, ma è particolarmente rivelatore. 

Ignazio ha ben chiaro che la comunione della Chiesa scaturisce dalla comunione sacramentale.
Nelle parole di Paolo, “poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo, poiché tutti partecipiamo dell'unico pane” (1 Corinzi 10:17).
Al contrario, la persona che rifiuta la Presenza Reale rifiuta il fondamento della Chiesa. Ecco perché Ignazio dice che è “opportuno” interrompere i contatti personali con loro: rompono la comunione negando la Comunione.

Ignazio e i cristiani dell’Asia Minore erano gli unici ad avere questa visione dell’Eucaristia? Non lo erano.



San Giustino Martire, scrivendo a Roma intorno all'anno 160, include una descrizione della liturgia del II secolo. Egli spiega che «nel giorno detto domenica tutti gli abitanti delle città o della campagna si riuniscono nello stesso luogo e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo permette». Dopo le letture segue l'omelia, nella quale chi presiede «istruisce verbalmente ed esorta all'imitazione di questi beni».
Poi vengono le preghiere dei fedeli («tutti insieme ci alziamo e preghiamo»), seguite da quelle che oggi chiamiamo la Liturgia eucaristica, compreso il segno della pace, presentazione dei doni, preghiere eucaristiche e distribuzione della Comunione: 

«Terminate le preghiere, ci salutiamo con un bacio.
Poi viene portato al presidente dei fratelli del pane e una coppa di vino mescolato con acqua; ed egli, prendendole, rende lode e gloria al Padre dell'universo, nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e ringrazia molto a lungo per essere stati ritenuti degni di ricevere queste cose dalle sue mani.
E quando ha concluso le preghiere e i ringraziamenti, tutti i presenti esprimono il loro assenso dicendo Amen. Questa parola Amen risponde nella lingua ebraica a genoito [così sia].
E dopo che il presidente ha reso grazie, e tutto il popolo ha espresso il suo assenso, coloro che sono chiamati da noi diaconi danno a ciascuno dei presenti il ​​pane e il vino mescolato con acqua su cui è stato pronunciato il ringraziamento, e a chi è assente ne viene portata una porzione
».
I riferimenti ai “ringraziamenti” (eucaristia), al “ringraziamento” di chi presiede (eucharistēsantos), e simili, sono più ovviamente eucaristici nell’originale greco di Giustino. Ad esempio, la frase tradotta come “il pane e il vino mescolati con acqua su cui è stato pronunciato il ringraziamento” può anche essere resa “il pane e il vino e l’acqua eucaristici”.
Tutto questo è spiegato chiaramente (anche in italiano) nel capitolo successivo, in cui Giustino dice che «questo cibo è chiamato tra noi “Eucaristia” [Eucaristia]” e spiega: 
«Infatti non li riceviamo come pane comune e bevanda comune; ma come Gesù Cristo, nostro Salvatore, essendosi fatto carne mediante la Parola di Dio, ebbe carne e sangue per la nostra salvezza, così ci è stato insegnato che il cibo che è benedetto dalla preghiera della sua parola di cui si nutrono il nostro sangue e la nostra carne per trasmutazione, è la carne e il sangue di quel Gesù che si fece carne.
Gli Apostoli, infatti, nelle memorie da loro composte, chiamate Vangeli, ci hanno così trasmesso ciò che fu loro comandato; che Gesù prese il pane e, dopo aver reso grazie, disse: "Fate questo in memoria di me: questo è il mio corpo"; e che allo stesso modo, preso il calice e reso grazie, disse: "Questo è il mio sangue"; e lo diede a loro soli
».

Giustino poi menziona, quasi per inciso, che “i diavoli malvagi” hanno imitato questo rito “nei misteri di Mitra, comandando che la stessa cosa fosse fatta”.

La liturgia che Giustino descrive è immediatamente riconoscibile come Messa. Non solo le singole parti sono le stesse, ma con piccole eccezioni (come la collocazione del segno della pace), anche l'ordine è lo stesso.
Il centro di questa Messa non è un predicatore che pronuncia un sermone, ma chi presiede offre l'Eucaristia.
E come intende l'Eucaristia?
Che quello che era stato «pane comune e bevanda comune» (cioè pane e vino comuni) cessa di essere attraverso la formula di benedizione donata da Cristo, ed è invece «carne e sangue di quel Gesù che si è fatto carne». 

Persino Wayne ammette che "questo è forse il miglior argomento che i cattolici romani hanno a sostegno della loro posizione", anche se insiste comunque sul fatto che Giustino non può assolutamente credere nella Presenza Reale poiché è contrario al cannibalismo (come se i cattolici oggi pensassero che il cannibalismo sia ok!).
Scrive: «Giustino è fermamente convinto che i cristiani non mangino carne umana. Non era il solo a fare tali commenti. Anche i suoi coetanei cristiani del II secolo notarono quanto considerassero particolarmente vile il concetto di mangiare carne umana. Nell'elencare le accuse che aveva sentito muovere contro i cristiani, Teofilo di Antiochia definisce l'accusa di mangiare carne umana "la più empia e barbara di tutte"».

In nessun punto Wayne sembra considerare il fatto ovvio che se gli oppositori del secondo secolo accusano i cristiani di cannibalismo, ciò ci dice molto sulla teologia eucaristica di questi cristiani.
I cattolici di oggi, infatti, devono regolarmente difendersi dall’accusa di cannibalismo, mentre sarebbe difficile confondere la maggior parte delle Cene del Signore protestanti come qualcosa di più che simbolico.
Quindi, anche nel negare l’accusa di cannibalismo, Giustino e la Chiesa del secondo secolo appaiono cattolici, non protestanti. 

Giustino usa perfino il termine trasmutazione per descrivere la trasformazione in atto, anche se non dove ci si potrebbe aspettare. Cioè, ci descrive come trasmutati dall'Eucaristia, che la nostra carne e il nostro sangue sono spiritualmente uniti a Cristo attraverso la Comunione.
Non è solo che il pane e il vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo, ma anche che il corpo e il sangue di Cristo trasformano i nostri stessi corpi.
Cosa sta succedendo qui?

Come spiegherà più tardi san Gregorio di Nissa (c. 335–395), i cristiani credevano che, poiché

«non era possibile che il nostro corpo diventasse immortale se non partecipando all’incorruzione attraverso la sua comunione con quel corpo immortale», Gesù «si diffonde in ogni credente per mezzo di quella carne, la cui sostanza viene dal pane e dal vino, fondendosi con i corpi dei credenti, affinché, mediante questa unione con l'immortale, anche l'uomo possa essere partecipe dell'incorruzione».
Ciò che Cristo inizia nell'Incarnazione (unendo divinità e umanità) si realizza nel singolo credente mediante l'Eucaristia, ed è così che possiamo essere elevati corporalmente per diventare «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4).
È per questa ragione che sia Gesù (cfr Gv 6,55-58) sia tanti primi cristiani passano dal parlare dell'Eucaristia alla risurrezione corporea e viceversa.
Ignazio e Giustino considerano questa connessione quasi troppo ovvia per essere menzionata, lasciando i lettori moderni (che non hanno mai sentito parlare di questa connessione) a inciampare nei loro scritti.
 

Questo ci porta al terzo grande testimone della teologia eucaristica nella Chiesa prima del 200: sant'Ireneo.
Lo storico patristico (e protestante riformato) James R. Payton, Jr. lo definisce giustamente “il più grande teologo sorto nella Chiesa dai tempi degli apostoli”.
Ireneo scrisse contro l'eresia gnostica, visione che rifiuta l'Incarnazione e tratta il corpo come male.

Come spiega Ireneo:

«Ma vani sotto ogni aspetto sono coloro che disprezzano l'intera dispensazione di Dio, e negano la salvezza della carne, e trattano con disprezzo la sua rigenerazione, sostenendo che non è capace di incorruzione.
Se però questo non giunge alla salvezza, allora neppure il Signore ci ha redenti con il suo sangue, né il calice dell'Eucaristia è la comunione del suo sangue, né il pane che noi spezziamo la comunione del suo corpo.
Perché il sangue può provenire solo dalle vene e dalla carne, e da tutto ciò che costituisce la sostanza dell'uomo, come è stato effettivamente fatto il Verbo di Dio
». 

In altre parole, se neghi la bontà del corpo, allora sei costretto a negare sia la realtà della morte di Cristo sulla croce sia la Presenza Reale.
È importante riconoscere l’argomentazione sostenuta qui da Ireneo (e da Ignazio prima di lui).
In termini tecnici, è ciò che chiamiamo reductio ad assurdo, o ciò che Aristotele chiamava una deduzione all’impossibile. L’argomentazione funziona dimostrando che un’idea, se portata alla sua conclusione logica, produrrebbe risultati assurdi.
Ad esempio, se qualcuno dicesse: “Dovremmo sempre fidarci dei bambini perché non sono corrotti dal peccato”, potresti rispondere: “Dovremmo fidarci di loro quando affermano che i mostri vivono sotto i loro letti?” Questa è una riduzione ad assurdo.
Ma si noti che funziona solo se entrambe le parti concordano sul fatto che una cosa particolare è assurda o impossibile. Se la persona con cui stai parlando crede nei mostri, la tua argomentazione è logicamente valida ma retoricamente poco convincente.

Sia Ignazio che Ireneo vivevano in un mondo in cui mostrare “l’idea X è logicamente contraria al credere nella Presenza Reale” è sufficiente per sfatare  l'idea X (in questo caso, il docetismo). 

I protestanti che negano la Presenza Reale si trovano in una situazione strana, incapaci di concordare sia con gli gnostici sia con i loro oppositori cristiani.
Ireneo prosegue sostenendo che Cristo 

«ha riconosciuto il calice (che è parte della creazione) come il proprio sangue, dal quale irrora il nostro sangue; e il pane (anch'esso parte della creazione) lo ha costituito come suo proprio corpo, dal quale fa crescere i nostri corpi».

Questo è lo stesso ragionamento ma inverso:

«poiché sappiamo che Cristo trasforma la materia creata (pane e vino) nel suo corpo e nel suo sangue, dobbiamo quindi concludere che la creazione non è malvagia».
Poi dice:
«Quando dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la Parola di Dio, e viene fatta l'Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, dalle quali cose viene accresciuta e sostenuta la sostanza della nostra carne, come possono affermare che la carne è incapace di ricevere il dono di Dio, che è la vita eterna, visto che [la carne] si nutre del corpo e del sangue del Signore ed è membro di Lui? — come dichiara anche il beato Paolo nella sua lettera agli Efesini: “noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa”. Non dice queste parole di qualche uomo spirituale e invisibile, perché lo spirito non ha ossa né carne; ma [si riferisce a] quella dispensazione [mediante la quale il Signore divenne] un vero uomo, costituito di carne, di nervi e di ossa, quella [carne] che è nutrita dal calice che è il suo sangue, e riceve incremento dal pane che è il suo corpo».
Ireneo è qui esplicito: il pane e il “calice mescolato” (vino versato dentro acqua) ricevono la Parola di Dio, e l’Eucaristia “si fa”.
La formulazione è significativa: sta suggerendo che si sta verificando un cambiamento effettivo. Non cominciamo a chiamare la Comunione del pane solo per un po’ durante la liturgia. Dio trasforma il vino e il pane in qualcosa che prima non erano: “il sangue e il corpo di Cristo”. 

Come Ignazio prima di lui, Ireneo si riferisce a questo come al “dono di Dio” e sottolinea che tutto questo si riferisce a un vero corpo (con carne, nervi e ossa!), non a “qualche uomo spirituale e invisibile”. Dopo aver sottolineato il letteralismo della sua teologia eucaristica, si riferisce all’Eucaristia come al “pane che è il suo corpo”. 

Questo è un punto importante per certe obiezioni protestanti, di cui parleremo alla fine del capitolo: non c’è nulla di incoerente nel chiamare Gesù il pane della vita e nel credere che il pane diventi letteralmente il suo corpo. 

La spiegazione di Ireneo si conclude con un argomento simile a quello che abbiamo sentito sia da Giustino Martire che da Ignazio, su come ricevere l'Eucaristia sia la chiave per l'incorruzione e la resurrezione ultima del corpo:

«E proprio come un ramoscello della vite piantata nel terreno fruttifica nella sua stagione, o come il chicco di grano caduto in terra e decomposto, risorge con moltiplicazione per opera dello Spirito di Dio, che contiene tutte le cose, e poi, mediante la sapienza di Dio, serve all'uso degli uomini, e dopo aver ricevuto la Parola di Dio, diventa l'Eucaristia, che è il corpo e il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, nutriti da esso e depositati nella terra, dove subiranno la decomposizione, risorgeranno al tempo stabilito, poiché la Parola di Dio concede loro la risurrezione alla gloria di Dio Padre, che gratuitamente dona a questo immortalità mortale, e a questa incorruttibilità corruttibile».

Altrove, egli sottolinea lo stesso punto nel contesto di ciò che significa offrire il proprio sacrificio a Dio:

«Poiché noi gli offriamo ciò che è suo, annunciando coerentemente la comunione e l'unione della carne e della carne allo Spirito. Come infatti il pane, che è prodotto dalla terra, quando riceve l'invocazione di Dio, non è più pane comune, ma Eucaristia, costituita da due realtà, terrena e celeste; così anche i nostri corpi, quando ricevono l'Eucaristia, non sono più corruttibili, avendo la speranza della risurrezione all'eternità».

Con ciascuno di questi tre cristiani - Ignazio, Giustino e Ireneo - abbiamo una teologia eucaristica piuttosto sofisticata fin dai primi tempi. nella vita della Chiesa. L'ultimo di questi tre, Ireneo, scrive intorno all'anno 180. A titolo di riferimento, la prima volta che vediamo la parola Trinità usata è nel 181, quindi questa teologia eucaristica è ben consolidata anche mentre questi stessi cristiani stanno analizzando le sfumature della teologia trinitaria . 

Se non conoscessimo molto dei primi cristiani, potrebbe essere facile immaginare che la loro fede nella Presenza Reale fosse dovuta a superstizione e ignoranza o a qualche connessione con il paganesimo. Ciò che scopriamo invece è che la loro teologia eucaristica è inseparabilmente intrecciata con il loro credo sull’incarnazione, passione e risurrezione di Gesù, così come sulla nostra stessa risurrezione corporea. Quando troviamo forme successive di paganesimo, come i rituali mitraici, che praticano cose che ci ricordano l’Eucaristia, è perché (come nota Giustino) le hanno copiate dal cristianesimo, e non viceversa. 

Non meno notevole è la mancanza di un dibattito serio che vediamo sull’Eucaristia. Ciò che intendo è che questi non sono solo tre teologi, ma tre testimoni oculari di un sistema di credenze molto più ampio. 

Ignazio non dice ai fedeli di Smirne che dovrebbero credere nella Presenza Reale, ma scrive con la consapevolezza che già lo fanno e che può indicare il rifiuto della Presenza Reale da parte degli gnostici come motivo per trattarli come scomunicati.

Giustino non dice come dovrebbe essere la Messa, ma come già è. 
 
E Ireneo tratta la fede nella Presenza Reale come una dottrina così universalmente accettata che argomenta quanto segue: 
«Allora, ancora, come possono [gli gnostici] dire che la carne, che è nutrita del corpo del Signore e del suo sangue, va alla corruzione e non prende parte alla vita? Modifichino dunque la loro opinione o cessino di proporre gli argomenti appena menzionati. Ma la nostra opinione è in accordo con l’Eucaristia, e l’Eucaristia a sua volta conferma e rafforza la nostra opinione».

Data la natura radicale dell’insegnamento eucaristico di Gesù, potremmo aspettarci più controversie di quelle che troviamo. Dopotutto, i primi ascoltatori dell’insegnamento eucaristico di Cristo hanno risposto: “Questa è una parola dura; chi può ascoltarlo?” (Giovanni 6:60), ed è comprensibile che molti protestanti moderni abbiano la stessa reazione. 

Ma i primi cristiani sembrano non solo aver accettato questa “parola dura”, ma hanno costruito la loro vita (e la loro teologia, e la loro comunione ecclesiale) attorno ad essa. 

(L'Eucarestia e la Messa - L'importanza della Presenza Reale  
Da "The Early Church was the Catholic  Church" di Joe Heschmeyer)