martedì 17 ottobre 2023

La necessità del perdono che rinnova noi stessi e la Chiesa

 


Nostro Signore ha legato indissolubilmente il perdono di Dio e quello che noi dobbiamo ancora dare agli uomini che ci hanno fatto del male (preghiera del «Padre nostro», Mt 6, 12, e parabola dei due debitori, Mt 18, 21-35). In realtà, nella maggior parte dei casi, i peccati per i quali noi chiediamo perdono a Dio sono dei mali inflitti agli uomini. Di conseguenza dobbiamo domandarne perdono non solamente a Dio, ma anche a coloro che sono stati feriti da questi peccati. Se no, Dio non ci perdona (Mt 5, 23-26). Dietro a coloro ai quali abbiamo fatto del male, noi ritroviamo sempre Dio, e quando abbiamo peccato contro Dio, troviamo sempre gli uomini. Disprezzando Dio, diamo agli altri un cattivo esempio, che spezza in loro un’energia morale. L'uomo che non si comporta con delicatezza verso Dio, non ne ha nemmeno nei riguardi degli uomini, e contribuisce a far crescere la loro insensibilità verso Dio. Così Dio condiziona il perdono che accorda per i peccati commessi contro di Lui, alla richiesta di perdono ai nostri simili. Ma se noi, per ricevere il perdono di Dio, abbiamo bisogno di quello degli altri uomini, anche questi hanno bisogno del nostro perdono per ottenere quello di Dio.

Per ottenere da Dio il perdono, abbiamo dunque bisogno, nello stesso tempo, di perdonare agli uomini che ci hanno offeso, e domandar perdono a coloro ai quali abbiamo fatto dei torti. Non basta accordare il perdono, bisogna anche domandarlo agli altri. L'una e l’altra cosa sono molto difficili per noi. Ci è più facile chiedere perdono a Dio, perché Egli s'impone in qualche modo a noi con la sua maestà, e perché noi riconosciamo senza difficoltà teoriche la nostra dipendenza suoi riguardi - non parlo ovviamente dei non credenti, ma dei credenti. Per contro, è molto difficile, anche per noi credenti, evitare di disprezzare gli uomini che a noi non s’impongono per la loro palese grandezza. Ancora, tra il perdono che dobbiamo accordare agli altri e la necessità di chieder loro perdono, quest’ultimo atteggiamento è il più difficile. Chiedendoci perdono, gli altri sembrano porsi in una situazione d’inferiorità, e questo colpisce il nostro cuore, stuzzicando il nostro orgoglio. Chiedere, invece, perdono per se stessi implica che noi scendiamo dal piedistallo della nostra apparente superiorità, che riconosciamo la nostra dipendenza dagli altri.

È lo stesso orgoglio che si nasconde dietro il rifiuto di perdonare e la nostra difficoltà di chieder perdono. Ma, perdonando, noi non abbiamo necessariamente rinunciato a ogni orgoglio; mentre se noi andiamo più lontano, fino alla richiesta del perdono, abbiamo abbattuto l’ultimo residuo del nostro orgoglio. È in questo caso solamente che il nostro cuore è sinceramente e puramente commosso, senza alcuna ambiguità.

Il rifiuto del perdono o il richiederlo trattiene la nostra anima nella rigidità. Il male che ci ha fatto l’altro, serbato nel nostro ricordo, è un’impurità che dimora in noi, ci intossica continuamente e diffonde il suo odore nauseabondo nel nostro essere; i bagliori o le tenebre di questa tossina disturbano i nostri occhi, e noi non possiamo guardare l’altro con purezza. Così noi non possiamo amare Dio, e l’altro non può amarci.

Soltanto il perdono sincero dissolve questo corpo estraneo dalla nostra anima e libera i nostri occhi da questa trave. Allora solamente l’amore di Dio può donarci il perdono. L'abate Isaia dice: «Non provare cattiveria verso un uomo, per non rendere vane le tue fatiche; purifica il tuo cuore verso tutti al fine di vedere in te la pace di Dio. Come, infatti, se qualcuno è morso da uno scorpione, il veleno gli si diffonde in tutto il corpo fino a raggiungerne il cuore, così è della malevolenza per il prossimo nel cuore: il suo veleno ferisce l’anima e la mette in pericolo, come conseguenza del male. Pertanto, colui che si preoccupa di non perdere le sue fatiche, scuota subito da lui questo Scorpione, cioè la malizia e la malevolenza»

Il male che abbiamo fatto a un altro, turba anche la nostra anima. Noi siamo inquieti. Esso ci impedisce di avere, di fronte all’altro, uno sguardo diretto e limpido. In ciascun incontro con lui, siamo preoccupati, perché sospettiamo che egli conservi nel suo cuore il ricordo del male che gli abbiamo fatto. Il mio orgoglio mi impedisce di purificare i miei rapporti con lui. Solo la mia richiesta di perdono può condurci entrambi a relazioni aperte, dirette, libere. Se resto nel mio orgoglio, senza chiedere perdono, non posso stare di fronte a Dio a viso aperto e col cuore intenerito. Dietro questa domanda di perdono, deve esserci un sentimento sincero di penitenza. La penitenza mantiene una tristezza negli occhi, ma gli occhi, pur rivelando questa tristezza della penitenza, hanno uno sguardo diretto e limpido. E con questa onestà di sincera penitenza, che io devo presentarmi di fronte a Dio per chiedere il suo perdono, dopo aver domandato perdono al mio simile.

I miei peccati verso Dio sono innumerevoli e continui. Tutto quello che ho, proviene da Dio e dovrei farne dono, a Lui e agli altri; dovrei lodarlo costantemente per i suoi benefici, con le mie parole e i miei atti - ma non lo faccio. Per questo la mia penitenza deve essere ininterrotta, così come la richiesta del suo perdono e della sua misericordia. Ecco perché il monaco orientale implora la misericordia di Dio in una preghiera incessante. Così, al momento della morte, sant'Antonio il Grande chiede ancora del tempo per far penitenza. E poiché i peccati verso Dio sono nello stesso tempo peccati verso gli altri e, viceversa, i peccati verso gli altri sono anch'essi continui, e noi dobbiamo senza tregua chieder loro perdono. 

In ogni caso, mi è difficile dire se in ogni momento del mio rapportarmi agli altri io mi sia comportato in maniera irreprensibile, o che abbia fatto tutto il bene che avrei dovuto e potuto per tutti gli uomini che ho incontrato. Dunque, quando qualcuno mi rimprovera un atteggiamento di cui non avevo coscienza che fosse cattivo, non devo respingere questo rimprovero, ma nconoscermi colpevole. Ho commesso almeno l'errore di dare l'impressione di essere colpevole ciò di cui mi si accusa. L'abate Isaia dice: «Se per impazienza tuo fratello ti controbatte una parola, sopportala con gioia, e, se tu esamini il tuo pensero secondo il giudizio di Dio, troverai che tu hai peccato». Mi è difficile assicurare di non aver nulla a che fare con l'origine dei malesseri inevitabili, e così costanti, che sorgono negli uomini, e che colpiscono anche me. Mi è difficile affermare che tutto è buono nel mio comportamento, nei miei pensieri e nelle mie parole verso gli altri; che ho prestato agli altri abbastanza attenzione per non lasciar loro l'impressione d'indifferenza nei loro riguardi. Ognuno di noi pecca contro tutti.

 

Così dobbiamo far penitenza per il nostro comportamento verso ciascuno. Per questo noi raccomandiamo sempre ai preti di ricordarci nella proscomidia della Liturgia, e domandiamo a tutti gli uomini, che noi incontriamo, di pregare per noi, così come abbiamo l’obbligo di far memoria nelle nostre preghiere di coloro che conosciamo, per quanto possiamo, e in maniera generale, di tutti gli uomini. Nella nostra preghiera per gli altri, è implicito il nostro perdono a loro, e nella supplica che noi rivolgiamo loro di pregare per noi, quella di perdonarci.

Preghiamo per i morti che abbiamo conosciuto, e con ciò stesso noi perdoniamo loro, e vogliamo assicurarci, dopo la nostra morte, le preghiere di coloro che saranno in vita, e quelle della Chiesa in generale; noi chiediamo loro così di perdonarci, dopo la nostra morte, non soltanto una volta, ma durante tutta la loro vita. Noi preghiamo per i nostri avi, per ogni anima deceduta nella fede, e vogliamo avere anche la nostra parte in questa preghiera, per tutto il tempo che durerà il mondo. Anche l’indifferenza nei riguardi dei morti è un peccato che ci rende inquieti.

I rapporti diretti o indiretti fra tutti gli uomini portano in sé le imperfezioni di tutti; noi vogliamo che, almeno nella Chiesa, queste relazioni, che perdurano ancora dopo la morte, portino anche in sé necessariamente la richiesta e il dono reciproco del perdono, la preghiera di tutti per tutti, affinché Dio conceda a tutti il suo perdono.

È questo un aspetto essenziale della cattolicità della Chiesa, La Chiesa si purifica continuamente in questa preghiera di tutti per tutti, in questa penitenza che tutti fanno continuamente per tutti. La purezza o la santità della Chiesa è un aspetto dinamico della sua vita. I peccatori non vengono scartati dalla Chiesa e non ci sono in essa membri senza peccato: tutti sono coinvolti in questa tensione di purificazione per mezzo della penitenza, per il reciproco perdono richiesto e offerto, per mezzo della preghiera di tutti per tutti, rivolta a Dio, al fine di ottenere il suo perdono. La Chiesa non è una società statica, immobile, ma una comunione in movimento, formata da uomini peccatori che, nello stesso tempo, si purificano nella preghiera degli uni per gli altri - non per dei peccati astratti, ma per i peccati, per gli atti imperfetti e per l'indifferenza manifestata nei riguardi delle persone concrete.

In questa famiglia vivente nascono, in ogni momento, dei malesseri, ma sono superati, lavati nel mare del suo amore, dall’amore reciproco dei suoi membri. Tutti peccano, ma tutti contribuiscono alla purificazione: con la loro richiesta di perdono, con il dono del loro perdono, con la preghiera comune e reciproca per il loro perdono. Lo stato di peccato non prende consistenza Quelli che hanno peccato non possono restare nell’indifferenza, sono spinti a chieder perdono, La loro coscienza, stimolata dallo Spirito Santo, li conduce a questa richiesta. Così, fin dalla sua apparizione, il peccato comincia a dissolversi con il pentimento. Esso è dissolto dalle onde continue di perdono, di preghiera, di amore che lo Spimo Santo mette in movimento.

In questo, tutti appaiono mossi dallo Spirito Santo, che li unisce. Lo Spirito Santo è l’agente di questa vita interpersonale che si volge verso la purezza, e non si concilia con la rigidità o l’inflessibilità delle relazioni nella Chiesa. È lo Spirito di libertà, di relazione nella libertà dell’amore, quindi non può conciliarsi con la rigidità, con gli atteggiamenti di ostinata diffidenza o di distanza, generati e mantenuti dall’orgoglio, che non che dà né accorda il perdono. Là dove regnano le passioni, malgrado la loro apparenza sia molto labile, domina una rigidità, una mancanza di libertà che solo lo Spirito può piegare, quando dona agli uomini la capacità di perdonare e di chiedere perdono, elevandoli al di sopra del loro orgoglio e delle altre passioni egoistiche.

Questo perdono reciproco e la preghiera di tutti e per tutti non hanno solamente un aspetto negativo; essi rappresentano il soffio positivo dell'amore che schiude le anime le une alle altre.

Dicendo che lo Spirito soffia, noi intendiamo che egli porta l’amore, la vita, la libertà. La vera libertà è legata all'amore, e là dov'è l’amore si trova il bene per eccellenza, fonte di ogni buon pensiero, di ogni parola e azione. Là è la vita che è mobilità, disponibilità, libera da ogni fissità nell’orgoglio e le passioni egoistiche.

La Chiesa si rinnova così, grazie allo Spirito Santo, attraverso il perdono e la preghiera reciproci. Essa si rinnova continuamente e riallaccia i legami interiori dell’amore tra i suoi membri. In altri termini, essa rinnova la sua unità interiore, la sua armonia, la sua cattolicità. L'incapacità delle anime cristiane di sopportare il peccato e il male causato agli altri, il bisogno di chiedere e di donare il perdono, manifestano una delle forze che Chiesa ha per purificarsi, rinnovarsi, ricostiture continuamente la propria unità e i propri legami interiori, per essere come una sinfonia in Cnsto.

Così si manifesta il mistero della sua persistenza e del suo perpetuo ringiovanimento.

 (da "Breviario esicasta" di Dumitru Stâniloae)