martedì 19 marzo 2024

La detronizzazione della verità - Dietrich von Hildebrand (parte 1)

Parlando di “detronizzazione della verità”, Dietrich von Hildebrand (1889-1977) si riferisce alla detronizzazione di Dio, del cristianesimo, della rivelazione, della norma assoluta. E gli effetti che egli vede e denuncia di questa detronizzazione sono gli stessi che si producono, come oggi sempre più si vede, allorché Dio sia espunto dal nostro orizzonte intellettuale, il messaggio cristiano sia cancellato o distorto, la rivelazione messa in dubbio, la norma assoluta negata. Leggendo con attenzione il saggio di von Hildebrand, non si sa se ammirare più l’acutezza dell’analisi filosofica o la lungimiranza dell’esame delle conseguenze o l’accoratezza del suo appello alla verità. In realtà, lo scritto è mirabile per tutti e tre gli aspetti. Ed è mirabile per come von Hildebrand li colleghi in modo sistematico, come in una catena in cui un anello rimanda al successivo e questo fino a noi. Scritto ieri, parla di oggi.

dall’Invito alla riflessione di Marcello Pera

 

Dietrich von Hildebrand | Teologo e filosofo tedesco di fede cattolica. Figlio dello scultore Adolf von Hildebrand, nel 1914 si converte al cattolicesimo anche per influsso di Max Scheler. È stato uno strenuo oppositore di Adolf Hitler e del nazismo, tanto da dover emigrare definitivamente negli Stati Uniti, dopo essere stato in Svizzera, in Francia e in Portogallo. Ha insegnato filosofia presso la gesuita Fordham University di New York, ritirandosi dall’insegnamento nel 1960 e trascorrendo gli ultimi anni della sua vita scrivendo e tenendo conferenze in tutto il mondo.

 


Una delle caratteristiche minacciose dell’epoca attuale è senza dubbio la detronizzazione della verità. In passato, qualsiasi cosa si potesse professare, le dottrine sono sempre state avanzate con la pretesa di essere vere. Tutte le teorie, per quanto errato e assurdo potesse essere il loro contenuto, si appellavano sempre alla questione della verità come a un giudice ultimo e decisivo. Fin dalle origini della nostra cultura occidentale, tutti gli errori sono stati propagati in nome della verità. La domanda se qualcosa fosse vero o no è stata presa molto sul serio, e anche quando le vere ragioni dell’errore erano inconsciamente radicate nella volontà della persona che sbagliava, la verità è stata riconosciuta come il giudice supremo e definitivo di ogni teoria.

Per quanto paradossale possa sembrare, anche le varie teorie che negavano la verità oggettiva o la possibilità di conoscerla, come lo scetticismo, il relativismo, l’agnosticismo, erano avanzate in nome della verità. Sono stati scritti lunghi libri per dimostrare che la negazione della verità era inconfutabile dal punto di vista della verità. Nessuno ha esitato a riconoscere la verità come giudice supremo, nonostante la tesi proposta negasse la verità oggettiva. Negando la verità, l’uomo si appellava implicitamente alla verità.

Più avanti parleremo di questa palese contraddizione; qui basta affermare che ogni teoria, ideologia, filosofia di vita, è stata professata all'insegna della verità e che la serietà della questione se qualcosa fosse vero o no, è sempre stata riconosciuta e rispettata.

Fu l’improbabile privilegio del comunismo e del nazismo a detronizzare la verità per la prima volta, mostrando una totale indifferenza verso la questione se qualcosa fosse vero o no, e sostituendo questa domanda con misure soggettive, come la mentalità proletaria nel primo e i sentimenti della razza nordica nel secondo. La rivolta contro lo spirito che si respirava nel nazismo testimonia questa scomunica della verità da tutti i campi della vita. La conformità ai sentimenti della razza nordica o del popolo tedesco riposiziona ogni standard oggettivo di verità, bontà, bellezza e diritto.

Nel 1933 il ministro dell’istruzione bavarese, il signor Schemm, dichiarò solennemente davanti ai professori riuniti dell’Università: “Da questo giorno in poi non dovrete più esaminare se qualcosa è vero o no, ma esclusivamente se corrisponde o no all’ideologia nazista”.

Il culmine di questa spoliazione del ruolo di giudice supremo della verità si trova nel paragrafo 24 del primo programma ufficiale del partito nazista, che afferma che il cristianesimo deve essere accettato nella misura in cui è in accordo con il sentimento della razza nordica. Anche per quanto riguarda la sfera ultima da cui dipende il destino eterno dell’uomo, la questione della verità delle sue affermazioni ha perso la sua importanza. In passato, i martiri sono morti per testimoniare la verità del cristianesimo. Molto sangue è stato versato in guerre combattute in nome della verità religiosa. Gli eretici hanno sempre sostenuto di professare l’unica vera religione. Gli atei di un tempo prendevano molto sul serio la questione della verità dell’esistenza di Dio, e tutti erano d'accordo che la verità da sola doveva determinare il credo religioso dell’uomo. Tutte le loro argomentazioni contro l’esistenza di Dio avevano la funzione di difendere la verità. Qualunque fossero le loro vere motivazioni, accettavano la necessità di appellarsi alla verità come giudice supremo e presupposto indiscusso per ogni discussione. Far dipendere la questione se si debba accettare o rifiutare una religione dalla conformità al sentimento della razza nordica — cioè da uno standard completamente contingente e soggettivo — è una specie di relativismo, inaudito in tutta la storia umana.

Lo stesso vale per il bolscevismo o il comunismo. Ogni proposizione pronunciata dalla propaganda sovietica ha il carattere di un puro slogan, di un’arma di propaganda; il significato delle parole è stato sostituito con l'effetto emotivo che esse creano nella mente del pubblico. Per esempio, quando Molotov parla di “democrazia di tipo orientale”, è ovvio che ciò che intende è l’esatto contrario della democrazia; o quando i sovietici manifestano indignazione per la mancanza di libertà nella Spagna di Franco, ignorano il fatto che, rispetto alla loro mancanza di libertà, si tratta di una quantité négotiable.

Il sintomo più drastico della detronizzazione della verità, tuttavia, è il modo in cui le opinioni contraddittorie vengono accettate nella sottomissione al comando del Politbureau. Prima del 1938, la Germania nazista si caratterizzava come un aggressore arrogante e criminale; dal 1939 al 1941 lo Stato fu ingiustamente attaccato dalle feroci nazioni plutocratiche. Il fatto che uno Stato cambi il suo atteggiamento nei confronti di un altro non è certo sorprendente: è piuttosto un fatto molto comune in politica. Ma è un fatto molto insolito e sorprendente che non si faccia alcuno sforzo per spiegare come un giudizio su un sistema e un'ideologia venga sostituito da un giudizio opposto. Il fatto che questa conversione avvenga senza alcuna tentazione di giustificarla, rivela una totale indifferenza verso la questione della verità e la cinica detronizzazione della verità. La verità è stata definitivamente sostituita da un espediente.

Arrogando a se stesso il ruolo della Provvidenza, lo Stato affronta la verità come se fosse il risultato di una decisione positiva e autorevole. Il fatto che lo faccia senza alcuna pretesa di capacità divina rende ancora più ovvio il detronizzare la verità. La questione della verità è “svalutata” a tal punto che non sembra necessaria alcuna spiegazione per la difesa della validità delle affermazioni contrarie. Il fatto che siano pronunciate dallo Stato è sufficiente.

L'indifferenza verso la questione della verità di una cosa è ovviamente uno dei sintomi peggiori della perversione e della desostanzializzazione della mente umana. È, naturalmente, impossibile eliminare la verità in modo semplice. Nel porre la domanda se una cosa è in accordo con la mentalità proletaria, si suppone che la risposta a questa domanda debba essere o vera o falsa. Tuttavia, il pericolo di tentare di sostituire la verità con altre misure, e la mancanza di rispetto per la dignità ultima della verità, non possono essere denunciati con sufficiente forza.

Il ruolo della verità nella vita umana è così predominante e decisivo, l'interesse per la questione se una cosa sia vera o meno è così indispensabile in tutti i campi della vita umana, dalle più umili questioni quotidiane alle più alte sfere spirituali, che la detronizzazione della verità comporta la decomposizione della vita stessa dell'uomo. La mancanza di rispetto per la verità, non è semplicemente una tesi teoretica, ma un atteggiamento vissuto, distrugge palesemente ogni morale, anche ogni ragionevolezza e ogni vita comunitaria. Tutte le norme oggettive sono dissolte da questo atteggiamento di indifferenza verso la verità; così come la possibilità di risolvere oggettivamente qualsiasi discussione o controversia; la pace tra individui o nazioni e ogni fiducia nelle altre persone sono altrettanto impossibili. La base Stessa di una vita veramente umana è sovvertita. Esiste un legame intimo tra la detronizzazione della verità e il terrorismo. Non appena l’uomo non si riferisce più alla verità come al giudice supremo in tutte le sfere della vita, la forza brutale sostituisce necessariamente il diritto, l'oppressione e il condizionamento meccanico, sfacciato, sostituiscono la convinzione, la paura soppianta la fiducia. Infatti, detronizzare la verità significa separare la persona umana dalla base stessa della sua esistenza spirituale; è l’ateismo più radicale, pratico e quindi profondamente legato alla spersonalizzazione dell’uomo, l’anti-personalismo che è la caratteristica del comunismo e di tutti i diversi tipi di totalitarismo. Un abisso separa questa scomposizione della vita umana e della persona umana dall’atteggiamento espresso nelle parole di sant'Agostino: “Verità, Verità!”, e me ne intronavano le orecchie, ma non ce n’era briciola in essi...”. (Agostino, Le confessioni, III, 6)

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Sebbene la detronizzazione della verità si manifesti nel modo più drastico e radicale nel nazismo e nel bolscevismo, purtroppo molti sintomi di questa malattia dello spirito sono presenti anche nei paesi democratici.

Nelle discussioni si sente talvolta la seguente argomentazione: “Perché la sua opinione dovrebbe essere più valida della mia? Siamo uguali e abbiamo gli stessi diritti. Non è democratico fingere che la tua opinione sia preferibile”. Questo atteggiamento è estremamente significativo, perché riafferma la totale assenza della nozione di verità, la tacita eliminazione della verità come norma per il valore di un'opinione.

Ignorando il fatto che l'essenza stessa di ogni opinione implica una tesi che afferma o nega qualche fatto, tali persone trattano le opinioni come se fossero meri atteggiamenti di un soggetto, come un umore soggettivo. Il tema immanente di ogni opinione è la verità; l'unica cosa che conta in questo caso è se è o meno in rapporto con la realtà. La questione di chi propone un'opinione, al contrario, non ha, in quanto tale, alcuna importanza per la sua validità. Dobbiamo renderci conto che questo argomento non deve essere interpretato come se significasse: la vostra opinione non ha più possibilità di colpire la verità della mia. Un'argomentazione del genere non ignorerebbe la verità né la eliminerebbe tacitamente. Al contrario, pretende di supporre l’esistenza di una verità oggettiva, se non altro negando che il nostro avversario abbia una maggiore capacità di trovare la verità. Ovviamente, questo argomento potrebbe avere senso solo se il nostro avversario, nel proporre un'opinione, ne rivendicasse l'accettazione perché egli l’ha proposta; o, in altre parole, perché la sua autorità dovrebbe garantire la verità della sua opinione. Senza sollevare qui la questione se tale affermazione possa essere giustificata o meno, non c'è dubbio che l'eguaglianza della capacità intellettuale di cogliere la verità non può essere dedotta correttamente dall’eguaglianza ontologica degli uomini o dall’eguaglianza dei loro diritti come uomini.

Tuttavia, questo argomento non è generalmente inteso come una smentita della pretesa di un avversario di una maggiore sensibilità per la ricerca della verità, ma come una richiesta per l’eguale valore o validità di entrambe le opinioni. Così, semplicemente, si ignora ìl fatto che la validità o il valore di un’opinione dipende esclusivamente dalla sua conformità alla realtà, cioè non si chiede più se un’affermazione sia vera o falsa. Questo argomento tratta di un’opinione come se il suo valore dipendesse esclusivamente da chi la esprime. Questo tipo moderno di uomo, quindi, non esamina le argomentazioni dell’avversario, non si interessa alla correttezza delle sue conclusioni, all'evidenza delle sue premesse, ma si allontana completamente dal fatto che l'opinione conferma o nega, si limita a proclamare: “La mia opinione è buona come la tua, perché siamo tutti uguali”. Mentre nei sistemi totalitari la vera funzione di una proposizione - quella cioè di affermare la verità - è stata sostituita dal carattere meramente strumentale di essere un’arma destinata a creare un certo effetto nella mente e nell’anima del pubblico, un mezzo di propaganda, nei Paesi democratici c'è la tendenza a considerare un'opinione come una mera espressione della mente di un individuo. In entrambi i casi viene ignorata ed eliminata la funzione essenziale di qualsiasi proposizione e opinione che pretenda di essere conforme all’essere.

L'argomentazione: “La mia opinione è buona come la tua” non implica il tacito presupposto: “Siamo entrampi incapaci di trovare la verità, o almeno non possiamo sapere se siamo in grado di farlo, e quindi entrambe le nostre opinioni sono sbagliate o dubbie”. Ciò implica piuttosto che entrambe le opinioni sono ugualmente buone, valide, anche se contrariamente opposte l’una all'altra. E questo ci porta a un altro slogan che rivela la detronizzazione della verità. È più volte ripetuto “È vero per me, ma potrebbe non essere vero per te”. La verità di una proposizione è essenzialmente oggettiva; una verità che come tale sarebbe valida per una sola persona è una contradictio in adiecto. Una proposizione è vera o falsa, ma non può mai essere vera per una persona e falsa per un’altra. L’affermazione che una certa azione è moralmente buona può essere vera o falsa; ma se è vera, non potrà mai essere falsa per nessun'altra persona. Il suffisso “per”, che implica una relazione con un individuo, è essenzialmente escluso nella verità. Anche se il contenuto di una proposta si riferisce solo a un individuo, non è corretto dire che è “vero solo per lui”. Se Paul dice: “Sono arrivato venerdì alla stazione di Pennsylvania di New York”, la verità della proposizione non implica alcuna relazione con una singola persona, e se è vera, è vera per tutti. Il fatto che solo Paul sia arrivato venerdì alla stazione di Pennsylvania e non Harry, non riduce in alcun modo la verità dell’arrivo di Paul a qualcosa di valido solo per lui. L'arrivo vale solo per Paul e non per Harry, ma il fatto che Paul sia arrivato è una realtà, e quindi la verità dell’affermazione “Paul è arrivato” non è in alcun modo relativa a lui. Se un uomo sostenesse che “le arance non sono salutari” perché allergico ad esse, la sua tesi sarebbe falsa e non “vera per lui”. Al contrario, “le arance non sono salutari per me" sarebbe un’affermazione vera: non solo vera per lui, ma vera in sé.

Riassumendo, possiamo dire: una proposizione, un'opinione, una tesi, non può mai essere vera per una persona; se è conforme alla realtà, è vera in quanto tale, ed esclude qualsiasi “per”.

Quando si tratta di una relazione con una persona, il “per” deve essere nel contenuto della proposizione, come parte della realtà affermata, come, per esempio, “Le arance non sono salutari per Paolo”, o “Questo lavoro è troppo per Pietro”. Se, al contrario, qualcuno omettesse di menzionare la relazione con se stesso, o con qualsiasi altra persona, nel contesto dello stato di fatto affermato, e dicesse “Le arance non sono salutari” solo perché è allergico ad esse, la sua affermazione sarebbe decisamente falsa e in nessun modo vera “per lui”.

Certamente una persona può dire: “A me sembra che sia vero”. Ma dicendo così non si riferisce in alcun modo a una verità che vale solo per lui. Nel dire: “A me sembra vero”, vuole o affermare che secondo la sua convinzione è vero, o che la sua verità non è ancora accertata. Quando l’accento è posto su “sembra” e non su "a me”, si impone una restrizione alla nostra affermazione: invece di dire che è così, diciamo che è solo apparenza. Il “sembra” implica necessariamente una relazione con qualcuno, cioè con la mente di una persona. Ma ovviamente la restrizione della mia conoscenza o della mia convinzione riguardo alla verità di una proposizione che “a me sembra” esprime, non implica il suo essere “vero per me”. Il fatto che non sia assolutamente certo che qualcosa sia vero o meno non influisce in alcun modo sul carattere della verità in quanto tale. Se è vero, non è vero solo per me, ma è vero in sé. Tuttavia, per il momento posso solo dire: “A me sembra vero”, il che equivale a “Probabilmente è vero”.

Se l'accento è posto su “a me”, se, per esempio, qualcuno si oppone all’opinione di un altro dicendo: “A me questo non sembra vero”, la nozione di verità nella sua integrità è ugualmente presupposta. Questa affermazione equivale alla proposizione “Io credo che questo sia vero”. Naturalmente il soggetto è necessariamente coinvolto, non appena è in gioco la questione di considerare una cosa vera o falsa.

È sempre una persona che considera una cosa vera o falsa; la verità attribuita a un'affermazione da una persona ma non da un’altra, tuttavia, non è mai la verità per qualcuno. La relatività implicita nello stato mentale: “A me sembra vero”, in realtà non è altro che l'espressione del fatto che ritengo qualcosa di vero o falso. Certo, io lo ritengo vero o falso, ma per verità o falsità che attribuisco a una cosa intendo una verità o una falsità in sé. Se una proposizione non corrisponde alla realtà, è falsa, indipendentemente dal fatto che sia ritenuta vera o meno da una sola persona o da molte. Possiamo così vedere chiaramente che l’affermazione: “A me sembra vero”, differisce essenzialmente dall’affermazione: “Questo è vero per me”. La prima è l'espressione corretta di una convinzione sulla verità dj una proposizione; la seconda è una contradictio in adiecto senza senso. La prima non detronizza e non destruttura ìn alcun modo la verità; la seconda è un tipico sintomo di compromissione della nozione di verità, una totale ìndifferenza nei confronti della questione se una cosa sia vera o meno.

Così lo slogan “Questo è vero per me” rivela un radicale disinteresse per la questione della verità, una completa incomprensione della natura della verità, una detronizzazione della verità come giudice di qualsiasi tesi, opinione o teoria.

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Ci sono ancora altri sintomi della detronizzazione della verità. A volte sembra che per molte persone la nozione di progresso assuma una funzione analoga a quella della razza nordica nel nazismo e della mentalità proletaria nel comunismo.

Per queste persone le due alternative, progressista e reazionaria, hanno sostituito le alternative del bene e del male. L’interesse per la progressività di una cosa ha assorbito l’interesse per la questione della sua verità. Il significato del termine “progressista” è tanto vago, vuoto e accidentale quanto il significato del “sentimento della razza nordica” o della “mentalità proletaria”.

Il fatto che qualcosa corrisponda alla mentalità della nostra epoca non è più decisivo per la sua verità o il suo valore del fatto che corrisponda alla mentalità di tempi precedenti. Il concetto di progresso implica certamente a volte la nozione di miglioramento, come quando si parla di progresso morale o di progresso nella conoscenza, di progresso nel recupero della salute, e così via. Ma parliamo anche del progresso di una malattia, di una decomposizione o di un’inimicizia. Il progresso in quanto tale significa solo uno stadio più sviluppato di un’evoluzione, un’intensificazione, senza indicare se è un bene o un male che si sta sviluppando.

Fare della progressività la fonte di una consapevole superiorità, e la misura ultima per l’accettazione o il rifiuto di una cosa, è quindi un ulteriore sintomo di detronizzazione della verità. Fare del seguire la corrente, dell’aggiornarsi, un feticcio, è legato a un soggettivismo che sostituisce la conformità di una teoria, di una tesi, o di una proposta alla realtà, con una conformità allo “spirito” di una certa epoca. L’‘’oggettività” che una teoria possiede perché viene alla persona dall’esterno senza avere una realtà interpersonale, invece di essere solo la sua opinione o di avere origine nella sua mente, si confonde con la vera oggettività che deriva dalla conformità con l'essere.

La realtà storica posseduta dalle idee “nell’aria” sostituisce l'autentica realtà metafisica di una cosa, così come la validità e la verità oggettiva di queste idee. L'ubriacatura sperimentata nel seguire la corrente di una certa epoca, di essere sostenuti dall’opinione pubblica, di condividere una nuova, inaudita evoluzione, ha sostituito il sobrio e nobile interesse per la verità, il rispetto per la verità come giudice ultimo di ogni teoria di ogni opinione e tesi. 

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Infine, un sintomo caratteristico della detronizzazione della verità è il ragionamento con il quale vengono spesso confutate ideologie feroci e insulse teorie. Invece di dimostrare la falsità del materialismo, del razzismo, del collettivismo, alcuni propongono spesso il seguente argomento come il più conclusivo: “Queste ideologie non sono conformi alla tradizione del nostro paese”. Nella stampa svizzera si può trovare: “Il nazismo e il comunismo non sono conformi alla tradizione svizzera”. In Francia: “È contro il genio della Francia”; negli Stati Uniti: “È incompatibile con lo stile di vita americano”. Non è allarmante che anche quando ci troviamo di fronte a queste visioni infernali, a queste false ideologie, possiamo rintracciare la detronizzazione della verità sulla bocca stessa dei difensori della dignità della persona e del libero dominio? Qui si tradisce una profonda insicurezza intellettuale: la sensazione di essere più al riparo e di stare su un terreno più solido quando ci si appella a un fattore così completamente contingente come uno “stile di vita” nazionale, piuttosto che quando ci si appella alla verità e ai valori oggettivi.

Certamente, non è la loro incompatibilità con una tradizione nazionale che rende questi sistemi di governo e la loro filosofia detestabili per molte persone che sostengono questo modo di pensare. Il loro orrore può essere una valida risposta al disvalore oggettivo di questi sistemi e alla falsità della loro filosofia. Ciò che è così spaventoso è il fatto che non appena vogliono pronunciare l'argomento più decisivo e rigoroso, il più “oggettivo”, ricorrono a un appello che, in quanto tale, non prova in alcun modo il valore o il disvalore di un sistema politico, o la verità o la falsità della sua filosofia La detronizzazione della verità qui assume meno il carattere di una mancanza di rispetto per la verità, di un’ignoranza radicale della questione della verità, che il carattere di una sfiducia verso la questione della verità, di un’eliminazione di questa domanda. Qualsiasi ricorso alla verità è trattato come inefficace. Da un lato, a causa di un'insicurezza intellettuale di fondo, gli uomini non osano più fare appello alla verità; dall’altro, essi credono che l’uso di una misura completamente soggettiva sia un'arma più potente e conclusiva, un'arma più solida contro questi errori.

Se questi argomenti fossero espressi rispetto a cose che hanno il carattere di una mera espressione dell’individualità nazionale, come certi costumi o abitudini culturali, potrebbero essere corretti e certamente non sarebbero in alcun modo allarmanti. Riguardo, per esempio, alle differenze tra le forme di governo, come tra monarchia e repubblica (che secondo la dottrina della Santa Chiesa sono altrettanto buone), un tale argomento sarebbe assolutamente corretto. La monarchia, che risponde alla tradizione e allo stile di vita dell’Inghilterra, è la giusta forma di governo per il popolo inglese; mentre la monarchia non sarebbe d'accordo con le tradizioni e lo stile di vita della Svizzera e degli Stati Uniti e sarebbe quindi fuori luogo. Ma non appena sono in gioco differenze che implicano questioni morali o ideologie, tale ragionamento manifesta chiaramente la detronizzazione della verità. (continua)