Memling, polittico di San Giovanni (particolare) |
Come molti di voi sanno, UNA VOCE ha attraversato un periodo di prova. La promulgazione del nuovo ORDO MISSAE ci ha messo di fronte a quello che sta rapidamente diventando il problema numero uno del fedele cattolico: come coniugare la sottomissione filiale al Santo Padre con una critica rispettosa ma aperta di alcuni dei suoi atti?
In questioni di tale delicatezza, la prima necessità è essere precisi, nel pensiero e nelle parole. Quando si sono riuniti i Delegati delle quattordici associazioni federate UNA VOCE Zurigo in febbraio hanno deciso all'unanimità che UNA VOCE si adoperasse per ottenere il mantenimento della Messa tridentina “come uno dei riti riconosciuti nella vita liturgica della Chiesa universale”. Ma ciò non equivaleva ad una condanna della nuova ORDO. Essendo “a favore” del Rito Tridentino della Messa non siamo “contro” il nuovo Ordinario della Messa nel senso di un totale rifiuto. Così come non eravamo “contro” il volgare quando chiedevamo “per” il mantenimento del latino liturgico.
La Chiesa ha sempre conosciuto una pluralità di riti riconosciuti e di linguaggi liturgici. Ma quel “pluralismo” – per usare il termine moderno – nasceva dal “rispetto della tradizione”: così lo stesso san Pio V, quando introdusse il Messale Romano uniforme dopo il Concilio di Trento, confermò proprio la legittimità di alcuni altri riti di veneranda origine ed uso. Permettetemi, a questo punto, di ricordarvi che la tanto denigrata unificazione e anzi uniformazione dei riti della Messa, ottenuta dal Messale di Pio V, fu intrapresa da quel santo Papa su espressa richiesta dei vescovi riuniti in Concilio. Non si trattò quindi di un atto di prepotenza curiale, o di disprezzo romano per la legittima individualità dell'espressione liturgica. Lo hanno chiesto gli stessi vescovi di prescrivere un rito uniforme per tutta la Chiesa latina perché avevano constatato che, a livello diocesano o addirittura sinodale, era impossibile fermare o addirittura limitare la proliferazione di testi non autorizzati per la celebrazione dei Sacramenti.
Stiamo semplicemente assistendo al ripetersi sia della proliferazione di testi non autorizzati sia dell’incapacità episcopale di farvi fronte. Forse potremmo anche assistere al ripetersi di quell'atto di saggezza che, poco più di 400 anni fa, fece sì che i vescovi chiedessero al Papa di redigere e attuare “in perpetuo” il rito uniforme della Messa che fu promulgato nel 1570 e che ha ha portato una benedizione così immensa alla Chiesa.
Di altro genere è il pluralismo di oggi: è la parola d'ordine e il grido di guerra di chi vuole mettere da parte la tradizione. Ecco perché, nel mezzo di una nuova proliferazione di riti e testi liturgici, assistiamo alla pratica soppressione dell'unico rito che custodisce in modo perfetto il tesoro più sublime della Chiesa, il santo mistero della Messa.
Finora la soppressione è avvenuta solo de facto e non de jure . Sarebbe infatti impensabile che il vecchio Ordo Missae venisse ufficialmente proibito. Per giustificare ciò, si dovrebbe sostenere che in qualche modo era “sbagliato” o “cattivo” – sia dottrinalmente che pastoralmente. Dimostrare l’uno o l’altro equivarrebbe a negare che la Chiesa sia guidata dallo Spirito Santo. È quindi inammissibile anche solo suggerire che il vecchio Ordo possa essere legittimamente messo al bando.
Ma la repressione di fatto è comunque abbastanza reale e dobbiamo combatterla con tutti i mezzi a nostra disposizione. Un argomento è ovviamente proprio il "pluralismo" che i riformatori invocano costantemente: a meno che non abbracci la continua esistenza del vecchio rito, accanto a quello nuovo, il "pluralismo" nella liturgia viene immediatamente smascherato come pura ipocrisia, che vela sottilmente sia il disprezzo della tradizione che l'arrogante pregiudizio antiromano delle gerarchie nazionali e delle loro commissioni liturgiche.
Ricordiamo che le tre nuove Preghiere Eucaristiche, o Canoni, sono state introdotte non in sostituzione, ma in aggiunta all'antico Canone Romano, che era stato espressamente confermato e addirittura messo in primo piano (sulla carta) per le Messe celebrate la domenica. È quindi perfettamente legittimo e ragionevole chiedere che il nuovo ORDO MISSAE venga proposto, allo stesso modo, come modalità aggiuntiva e alternativa di celebrare la Messa, e non come totale sostituzione del vecchio Rito di San Pio V.
Quanto al nuovo ORDO, come tutti sapete, è diventato oggetto di critiche forti, diffuse ed estremamente convincenti. Ciò vale sia per l'ordine e le preghiere della Messa stessa, sia per la cosiddetta "Institutio Generalis" o "Presentazione generale del nuovo Ordinario della Messa". La critica riguarda i testi latini ufficiali e, in molti paesi in modo ancora più forte, le loro traduzioni in volgare. Si è constatato che i testi riflettono alcune delle nuove tendenze teologiche che ispirarono il famigerato Catechismo olandese e che Roma stessa ha condannato. Si è constatato che, anche laddove queste tendenze non si riflettevano nelle parole stesse usate né nel nuovo Ordo né nella Presentazione Generale, esse tuttavia emergevano inequivocabilmente nel contesto e, più particolarmente negli effetti psicologici a cui il nuovo rito mira chiaramente. Per questi motivi UNA VOCE, come molti altri, si è sentita autorizzata, anzi obbligata, a criticare il nuovo Ordo, così come abbiamo già criticato altri aspetti della riforma postconciliare.
Tali critiche sono sbagliate, sono indecorose, provenienti da coloro che si considerano cattolici leali e figli fedeli del Santo Padre? Del resto: il nuovo MISSALE ROMANUM è stato promulgato dallo stesso Pontefice regnante, e bisogna quindi stare certi che egli lo considera non solo esente da errori, ma anche esente da tendenze e ambiguità potenzialmente pericolose, e che considera la sua introduzione come necessari per il maggior bene della Chiesa. Esaminiamo questo problema per un momento. Vediamo cosa è successo ai più recenti importanti documenti di guida papale per la Chiesa in materia di fede, morale e liturgia.
Vi ricordate della "Mediator Dei", con i suoi gravi avvertimenti contro le stesse aberrazioni liturgiche divenute ormai pratica quotidiana. Ricordate la "Veterum Sapientia" di Giovanni XXIII, con i suoi gravi ammonimenti a salvaguardare l'uso del latino particolarmente nella Liturgia e nei seminari. Vi ricordate del "Mysterium Fidei" con la sua netta condanna di alcune nuove interpretazioni del mistero della Transustanziazione. Ricorderete la Costituzione del Concilio sulla Liturgia, promulgata da Papa Paolo VI, con le sue chiare indicazioni sul mantenimento del latino come lingua principale per la Liturgia, e con il suo permesso attentamente circoscritto per l'uso della lingua volgare in alcune parti della Messa. Voi ricordate il "Credo del popolo di Dio" con la sua riaffermazione di tutte le verità essenziali del cattolicesimo e con il suo implicito monito contro ogni dottrina che impoverisca o falsifichi il "Depositum fidei". Si ricordi – da ultimo – il Decreto “Memoriale Domini” che disapprova formalmente la pratica della Comunione in mano. E voi tutti conoscete fin troppo bene gli avvertimenti settimanali del Santo Padre contro le innumerevoli forme di sottile sovversione dall'interno, dai cardinali fino ai vicari focosi, dai cosiddetti eminenti teologi fino agli irresponsabili cosiddetti giornalisti "cattolici".
Gli ultimi vent'anni ci hanno regalato moltissimi esempi di papi regnanti che hanno espresso la loro chiara e inequivocabile disapprovazione nei confronti di certe idee, certe tendenze, certe pratiche, certi suggerimenti e atteggiamenti che si manifestavano all'interno della Chiesa. Quasi tutti sono stati totalmente ignorati: dai laici, dai sacerdoti, dai vescovi e dai cardinali, e in effetti: proprio ai vertici stessi, dove più di un pontefice regnante è andato contro le chiare ingiunzioni dei suoi immediati predecessori.
Dopo questa digressione, torniamo a UNA VOCE e alle sue due preoccupazioni principali: il latino, con il canto gregoriano, e la Messa tridentina.
È totalmente sbagliato etichettarci come reazionari, come persone che si aggrappano ostinatamente alle vie di ieri, le cui menti sono chiuse alle riforme necessarie e benefiche, o i cui concetti personalizzati di preghiera liturgica riflettono l’individualismo di un’epoca passata. Al contrario: la nostra insistenza affinché nella Liturgia si usi un linguaggio liturgico specifico e una forma liturgica specifica della musica, e che per la Messa si continui a usare un rito la cui ispirazione è teologica anziché sociologica, ieratica anziché comunitaria - - questa insistenza è in realtà un atto di “contestazione” lungimirante.
Contestazione contro una concezione impoverita di cosa sia la liturgia. La liturgia è sicuramente più del "dialogo tra Dio e il suo popolo". È la messa in atto gerarchicamente ordinata del sacro nella realtà profana. La liturgia è infatti un'azione sacra. In quanto tale è essenzialmente scritturale. Sostenere che la liturgia sia diventata “più scritturale” grazie a letture sempre più varie della Bibbia e all’uso liberale dei salmi per i canti antifonali e responsorali è fuorviante quando allo stesso tempo la liturgia viene derubata della maggior parte delle parole e gesti e accessori che denotano la sacralità dell'azione e che trasmettono questa sacralità ai partecipanti e suscitano una risposta dai loro cuori piuttosto che dalle loro teste.
Contestazione anche contro una concezione impoverita del sacerdozio. Chiedetevi soltanto questo: la "crisi del sacerdozio" si sarebbe verificata e avrebbe assunto le dimensioni terrificanti di cui siamo testimoni ogni giorno, se il sacerdote fosse rimasto "ministro dell'altare" (invece del popolo), agendo "in persona Christi"? Hanno dato una finalità e una dignità uniche al sacerdote celebrante e al suo volontario isolamento nel celibato – altro "segno" della distinzione essenziale tra il sacerdozio "ministeriale" del ministro ordinato dell'altare e il sacerdozio generale apostolico del ogni cattolico battezzato. L'eliminazione dei "segni" incide sempre su ciò che essi significano, ed è per questo che le recenti riforme liturgiche sono tra le principali cause della crisi del sacerdozio.
Di fronte a tutto questo: cosa possiamo – cosa dobbiamo – fare?
Soprattutto: dobbiamo acquisire nuovi soci per UNA VOCE. Non per il bene dei numeri, ma per rafforzare la nostra reciproca determinazione e per affrontare in modo più efficace i numerosi compiti che ci attendono. Quali sono questi compiti?
Primo: conservare tra noi, e diffondere al di fuori di questa cerchia ristretta, la familiarità con il latino liturgico. Ciò è richiesto dal Consiglio stesso. I testi liturgici latini dovrebbero essere compresi – e per questo non è necessario diventare uno "studioso" latino. Un'altra virtù di questa inestimabile lingua "morta" è che, nella forma in cui è giunta a noi come latino della Chiesa, è una lingua facile, infinitamente più facile della maggior parte delle lingue moderne. E se anche questi possono essere padroneggiati abbastanza bene in pochi mesi per una comprensione di base, allora ciò va a maggior ragione per il latino ecclesiastico. La conoscenza di base della lingua propria della Chiesa conferisce atemporalità al nostro senso di appartenenza e fornisce un legame soprattutto con i grandi santi del passato. Anche se utilizziamo poco le nostre conoscenze al di fuori della liturgia, il fatto di conoscere il latino della Chiesa rafforzerà il nostro "sensus ecclesiae". E, poiché oggigiorno i preti sono così desiderosi di emulare i laici, il nostro interesse per il latino potrebbe riportarlo anche nei seminari. Ecco allora qualcosa che i vostri Capitoli possono e devono fare: organizzare corsi di latino ecclesiastico, con particolare attenzione ai testi liturgici.
Non si creda, però, che il latino nella Liturgia debba essere compreso da tutti prima di poter riconquistare il posto che gli spetta. L'enfasi prevalente sulla comprensione razionale di ogni parola pronunciata all'altare o all'ambone è un altro di quegli impoverimenti che noi "contestiamo". Ma è nostro dovere fare lo sforzo supplementare di imparare il latino ecclesiastico anche per poter trasmettere ai nostri figli quel minimo di conoscenze linguistiche che prima faceva parte della loro ordinaria istruzione religiosa.
Secondo: si dovrebbe praticare il canto gregoriano. Se non puoi farlo in chiesa, fonda una società corale. Laddove ciò risultasse troppo difficile, il Capitolo potrebbe tenere delle riunioni periodiche in cui verranno suonati dischi in canto gregoriano, in modo che le vostre orecchie – e quelle dei vostri figli, o degli amici che potrete portare più facilmente a questo tipo di incontri che a un incontro formale UNA VOCE - dovrebbe rimanere o acquisire familiarità con la sua bellezza e rimanere, o entrare in sintonia con, la sua qualità unica di preghiera.
Terzo: i membri di UNA VOCE dovrebbero essere abbastanza esperti nella dottrina della Chiesa in materia liturgica e conoscere gli schemi fondamentali della storia liturgica. Troppo spesso rimaniamo indifesi – per mera mancanza di conoscenze di base – quando discutiamo con colleghi cattolici o con preti che hanno letto tutti i libri più recenti. I capitoli dovrebbero organizzare gruppi di studio e conferenze, e la sede centrale dovrebbe diffondere le conoscenze di base attraverso la loro newsletter e dovrebbe fornire ai capitoli una biografia selezionata ad uso dei leader del gruppo o dei singoli membri.
Quarto – e questo è molto importante: RAGGIUNGERE I GIOVANI. Senza saperlo ancora, hanno un disperato bisogno di una liturgia che sia più ricca di contenuto e di espressione del semplice "dialogo" (di cui ottengono più che a sufficienza in tutti gli altri ambiti della vita ecclesiale), del semplice intrattenimento o anche della catechesi - più ricca dello stare insieme o della un esercizio di allenamento alla "sensibilità" (o dovremmo dire "insensibilità"). Hanno bisogno del clima di ritiro, di raccoglimento, di vera "laus Dei", che è totalmente diversa dal lodare sfacciatamente il "Signore dell'Universo" attraverso le imprese o il progresso dell'uomo. Hanno bisogno dell'incontro, anzi: del confronto con il "segno di contraddizione",
Verrà una rinascita: torneranno l'ascesi e l'adorazione come molla della dedizione diretta e totale a Cristo. Si formeranno confraternite di sacerdoti, votati al celibato e ad un'intensa vita di preghiera e meditazione. I religiosi si raggrupperanno in case di “stretta osservanza”. Nascerà una nuova forma di "Movimento liturgico", guidato da giovani sacerdoti e che attirerà soprattutto i giovani, in protesta contro le liturgie piatte, prosaiche, filistee o deliranti, che presto invaderanno e infine soffocheranno anche i riti recentemente rivisti.
È di vitale importanza che questi nuovi sacerdoti e religiosi, questi nuovi giovani dal cuore ardente, trovino – anche solo in un angolo della vaga dimora della Chiesa – il tesoro di una liturgia veramente sacra che brilla ancora dolcemente nella notte. Ed è nostro compito – poiché ci è stata data la grazia di apprezzare il valore di questo patrimonio – preservarlo dal degrado, dall'essere sepolto, disprezzato e quindi perduto per sempre. È nostro dovere mantenerlo vivo: con il nostro attaccamento amorevole, con il nostro sostegno ai sacerdoti che lo fanno risplendere nelle nostre chiese, con il nostro apostolato a tutti i livelli di persuasione.
Dio ci dia coraggio, saggezza, perseveranza – e rafforzi e approfondisca ora più che mai il nostro amore per la Chiesa e per Colei, che il Santo Padre ha solennemente proclamato “Mater ecclesiae” – Maria, la Beata Madre di Dio e la nostra santissima Regina e Madre.