martedì 26 settembre 2023

Non si possono ammirare gli insegnamenti di Gesù e, nello stesso tempo, rifiutare le verità di fede (Alessandro Manzoni)

Testo semplificato.  Fonte: "Osservazioni sulla morale Cattolica", Capitolo III
di Alessandro Manzoni
 
Molti affermano d'essere perfettamente d'accordo con gli insegnamenti di Gesù  nel Vangelo e, nello stesso tempo, sostengono d'essere invece indifferenti o contrari alle verità di fede della Chiesa Cattolica; come se si trattasse di due cose diverse e distinte!
 
Invece l'insegnamento morale e quello di fede sono sempre uniti, in ogni discorso di Gesù, dal "Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli" al "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare..." sul quale si fonda la fede sulla Sua seconda venuta, sulla retribuzione finale e sulle opere di misericordia.
 
È assurdo credere in un Gesù autorevole nell'insegnamento morale e invece non credibile in quello riguardante i fondamenti della fede!  


Infatti l'idea di perfezione proposta agli uomini nel Vangelo, da dove può derivare se non dall'esistenza del Dio perfetto, che nessuno ha mai visto, e che fu rivelato dal Suo Figlio Gesù Cristo?

Come poteva Gesù dire alle folle: "Siate perfetti" se non avesse potuto aggiungere: "come è perfetto il vostro Padre che è nei cieli?" 

Come poteva Gesù raccomandarci di "essere tutti una cosa sola" se non poteva associare quel meraviglioso esempio: "come tu o Padre sei in me ed io sono in te" ? 

E i mezzi per mettere in pratica i suoi comandi, da chi potevano venire se non da Dio stesso?

Chi poteva  chiedere a noi uomini la forza di superare tutte le avversità, se non Chi questa forza ce la poteva promettere, dicendo: "Chiedete e vi sarà dato?"

Chi ci poteva dare la forza di sostenere per la giustizia tutte le violenze di cui è capace il mondo, se non Chi poteva dire: "Io ho vinto il mondo?"

E la forza ancor più ammirevole, di sostenere tutte le avversità restando in pace, chi ce la può fornire se non Chi ci ha promesso: "affinché abbiate pace in me?"

E da dove mai potevano venirvi le ricompense promesse?

Chi poteva assicurarle, non solo alla virtù manifesta ma a quella segreta se non Chi parlava in nome del "Padre che vede nel segreto"?

Chi poteva assicurare una ricompensa superiore anche all'atto più eroico, al sacrificio più doloroso, se non chi poteva promettere una ricompensa nei cieli?

Quando dunque ammiriamo la morale del Vangelo, alla quale la nostra mente non si sarebbe potuta elevare  da sola, siamo perfettamente nella ragione; ma quando non riconosciamo in essa l'impronta divina; quando in ciò che il Vangelo prescrive e in ciò che annuncia non vogliamo vedere una sola e medesima rivelazione; quando rifiutiamo di ammettere motivi soprannaturali per precetti ugualmente soprannaturali, pur riconoscendone la perfezione, allora entriamo in totale contraddizione.

Soprattutto considerando che, per darci la possibilità di adempiere a quanto prospettato e promesso ci viene data quella grazia che non è mai dovuta, ma che non è mai negata a chi la chiede con sincero desiderio e con umile fiducia.

Certo, non era necessaria la rivelazione per farci riconoscere che troppo spesso troviamo in noi stessi non solo una miserabile debolezza, ma una vera e propria ripugnanza a seguire i dettami della legge morale. San Paolo diceva: "Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio" , ma Ovidio aveva detto prima di lui: "Il cuore e la mente mi danno opposti consigli: vedo il meglio, l'approvo; e vado dietro al peggio". E quando l'apostolo medesimo esclama: "Me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte?" si direbbe quasi che non faccia altro che ripetere il lamento di Socrate.

Ma da un uomo che non conosce il Dio di Gesù mai  avrebbe potuto provenire questa risposta: "La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro". 

La morale cattolica è quindi principio di indiscutibile autorità; sistema di regole alle quali si riduce ogni atto e ogni pensiero; spirito di perfezione che in ogni cosa dubbia rivolge l'animo al meglio; promesse superiori a ogni immaginabile interesse del mondo; modello di santità, proposto nell'Uomo-Dio; mezzi efficaci per aiutarci a imitarlo, sia nei sacramenti istituiti da Lui (e nei quali anche chi ha la disgrazia di non riconoscere l'azione divina, non può non vedere azioni che dispongono a ogni virtù), e nella preghiera, a disposizione della quale, per così dire, è messa la potenza divina da quel: "Chiedete, e vi sarà dato".

Tale è la morale della Chiesa cattolica: quella morale che sola potè farci conoscere quali noi siamo, che, sola, dal riconoscimento di mali umanamente irremediabili, potè far nascere la speranza; quella morale che tutti vorrebbero praticata dagli altri, che praticata da tutti condurrebbe la società umana al più alto grado di perfezione e di felicità che si possa conseguire su questa terra; quella morale a cui il mondo stesso non può negare una perpetua testimonianza d'ammirazione e d'applauso.

 

Guercino (Giovanni Francesco Barbieri), Cristo e la Samaritana al pozzo (olio su tela, 1640-'41 ca.)

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 (Testo originale)
 
Troviamo qui l'occasione d'osservar di passaggio quanto sia inconsistente la distinzione che alcuni credono di poter fare tra la morale del Vangelo, per la quale professano ammirazione, non che stima, e i dogmi del Vangelo, che dicono opposti alla ragione; come se queste fossero nel Vangelo due dottrine estranee l'una all'altra. 

E ci sono invece essenzialmente e perpetuamente connesse; a segno che non ci si trova quasi un insegnamento morale del Redentore, che non sia confermato da Lui con un insegnamento dogmatico, dal suo primo discorso alle turbe, nel quale chiama beati i poveri di spirito, perchè di questi è il regno de' cieli, [21] fino a quello che precedette di due giorni la celebrazione della sua ultima pasqua, e nel quale fonda il precetto dell'opere della misericordia sulla rivelazione della sua futura venuta a giudicar tutti gli uomini. [22] (...)

(Sarebbe una) supposizione, ripeto, assurda non meno che empia, d'un maestro sempre sapiente ne' precetti, e sempre fallace ne' motivi, il quale, in una norma del credere, indegna dell'assentimento della ragione, abbia ritrovata una norma del volere e dell'operare, che la ragione medesima deva poi riconoscere superiore a qualunque sua speculazione, come fa quando l'ammira, senza poterla rivendicar come sua, col darle, di suo, un diverso fondamento. 

Infatti donde poteva essere ricavata l'idea di perfezione proposta agli uomini nel Vangelo, se non dall'esemplare del Dio perfetto, che nessuno ha mai veduto, e che fu rivelato dal Figlio unigenito, che è nel seno del Padre?[23] 

Chi poteva dir loro: Siate perfetti, se non Quello che poteva aggiungere: come è perfetto il vostro Padre che è ne' cieli? [24] 

Qual maestro avrebbe insegnato a' suoi discepoli, a tutti quelli che fossero per credere in lui fino alla fine de' secoli, a esser tutti una sola cosa, se non Quello che all'inaudito insegnamento poteva aggiungere quell'ineffabile esempio: come, o Padre, una sola cosa siamo noi? [25] 
E i mezzi d'eseguire una tal legge, donde potevano venire se non dall'onnipotenza del Legislatore medesimo? 
Chi poteva esigere dall'uomo la forza di superare tutte le tendenze contrarie, se non Chi gliela poteva promettere, dicendo: Chiedete e vi sarà dato? [26] 
Chi la forza di sostenere per la giustizia tutte le violenze di cui è capace il mondo, se non Chi poteva dire: Io ho vinto il mondo?
Chi la forza più mirabile ancora, di sostenerle in pace, se non Chi poteva dire: Quella pace l'avrete in me? [27]
E donde finalmente poteva aspettarsi una ricompensa perfetta come questa legge medesima?
Chi poteva prometterne una, non solo alla virtù, ma al segreto della virtù, se non Chi parlava in nome del Padre che vede nel segreto? [28]
Chi prometterla abbondante in paragone di qualunque sforzo più eroico, di qualunque sacrifizio più doloroso, se non chi poteva prometterla ne' cieli? [29]
Chi nobile al pari del precetto d'aver fame e sete della giustizia, anzi perfettamente connaturale ad esso, se non Chi poteva dire: La vostra beatitudine starà nell'essere satollati? [30]

Si può egli non vedere in questi esempi (e sarebbe facile il moltiplicarli, se ce ne fosse bisogno) una connessione unica, una relazione necessaria, tra i precetti e i motivi?
Quando dunque la ragione ammira la morale del Vangelo, alla quale non si sarebbe potuta sollevare da sè, fa rettamente il suo nobile ufizio: ma quando ne sconosce l'unità divina; quando in ciò che il Vangelo prescrive e in ciò che annunzia non vuol vedere una sola e medesima rivelazione; quando ricusa d'ammettere motivi soprannaturali di precetti ugualmente soprannaturali, che confessa eccellenti (che non vuol dir altro se non conformi a delle verità d'un ordine eccellente), allora non può più chiamarsi ragione, perchè discorda da sè medesima.(...)


Ai precetti poi che essa sola poteva promulgare, e ai motivi che essa sola poteva rilevare, la religione aggiunge (ciò che ugualmente poteva essa sola) la cognizione di ciò che può darci la forza d'adempire i primi, e d'adempirli per riguardo e secondo lo spirito de' secondi: cioè quella grazia che non è mai dovuta, ma che non è mai negata a chi la chiede con sincero desiderio, e con umile fiducia. [32] 

Certo, non era necessaria la rivelazione per farci conoscere che troppo spesso troviamo in noi medesimi non solo una miserabile fiacchezza, ma una indegna repugnanza a seguire i dettami della legge morale. E l'apostolo de' gentili, dicendo: Non fo il bene che voglio, ma quel male che non voglio, quello io fo, [33] ripeteva una verità ovvia anche per loro. Ovidio aveva detto prima di lui: Il core e la mente mi danno opposti consigli: vedo il meglio, l'approvo; e vo dietro al peggio. [34] 

E quando l'apostolo medesimo esclama: Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte? [35] si direbbe quasi che non faccia altro, che ripetere il lamento di Socrate. [36] 

Ma da qual uomo non istruito nella scola di cui Paolo fu così gran discepolo e così gran maestro, poteva uscire quella divina risposta alla desolata domanda, allo sterile lamento: La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro? [37] Principio d'irrecusabile autorità; regole alle quali si riduce ogni atto e ogni pensiero; spirito di perfezione che in ogni cosa dubbia rivolge l'animo al meglio; promesse superiori a ogni immaginabile interesse temporale; modello di santità, proposto nell'Uomo.Dio; mezzi efficaci per aiutarci a imitarlo, e ne' sacramenti istituiti da Lui (e ne' quali anche chi ha la disgrazia di non riconoscere l'azione divina, non può non vedere azioni che dispongono a ogni virtù), e nella preghiera, a disposizione della quale, per dir così, è messa la potenza divina da quel: Chiedete, e vi sarà dato; tale è la morale della Chiesa cattolica: quella morale che sola potè farci conoscere quali noi siamo, che sola, dalla cognizione di mali umanamente irremediabili, potè far nascere la speranza; quella morale che tutti vorrebbero praticata dagli altri, che praticata da tutti condurrebbe l'umana società al più alto grado di perfezione e di felicità che si possa conseguire su questa terra; quella morale a cui il mondo stesso non potè negare una perpetua testimonianza d'ammirazione e d'applauso.


 

Note:

21. Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum cœlorum. Matth. V, 3.
22. Cum autem venerit Filius hominis in maiestate sua, et omnes angeli cum eo, tunc, sedebit super sedem maiestatis suæ... Ibid. XXV, 31 et seq.
23. Deum nemo vidit unquam: unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, ipse enarravit. Ioan. I, 18.
24. Estote ergo vos perfetti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est. Matth. V, 48.
25. Ut sint unum, sicut et nos unum sumus. Ioan. XVII, 22.
26. Petite, et dabitur vobis. Luc. XI, 9.
27.  Hæc locutus sum vobis, ut in me pacem habeatis. In mundo pressuram habebitis; sed confidite, ego vici mundum. Ioan. XVI, 33. Pater tuus, qui videt in abscondito, reddet tibi. Matth. VI. 4. Merces vestra copiosa est in cœlis. Id. V, 12.
32. . . . quanto magis Pater vester de cœlo dabit spiritum bonum petentibus se? Luc. XI, 13.
33. Non enim quod volo bonum, hoc facio; sed quod nolo malum; hoc ago. Ad Rom. VII, 19.
34.  . . . . . . . . . . . . . . aliudque cupido  Mens aliud suadet: video meliora proboque;  Deteriora sequor.  Metam. VII, 19 et seq.
35. Infelix ego homo! quis me liberabit de corpore mortis huius? Ad Rom. VII, 24
36. Donec corpus habemus, animusque poster tanto malo erit admixtus, etc. Plat. Phæd.
37. Gratia Dei per Jesum Christum Dominum nostrum. Ad Rom. VII, 25.

Tratto da: "Osservazioni sulla morale Cattolica", Capitolo III
di Alessandro Manzoni